Dopo che il 9 dicembre un accordo fra governativi ed opposizione ha portato all’ evacuazione del quartiere di Al Wa’er, a nord est di Homs, abbandonato da centinaia di miliziani delle varie formazioni ribelli, che sono stati disarmati e scortati nella roccaforte settentrionale di Idlib da uomini delle Nazioni Unite, questo accordo ha fornito un precedente gradito sia ai Siriani che ai miliziani per consentire un transito relativamente morbido verso la nuova realtà di progressiva restaurazione del potere centrale creatasi nel paese seguito all’ intervento russo.
Il 25 dicembre è stato annunciato un secondo accordo per l’evacuazione di circa 2.000 jihaidsti dell’ISIS da due quartieri meridionali di Damasco, Qadam e Hajar al-Aswad e dal campo profughi palestinese di Yarmouk. Sebbene tale accordo sia oggi sospeso in seguito alla morte di Zahran Alloush, leader del gruppo salafita Jaish al-Islam, visto che gli uomini da evacuare sarebbero dovuti passare sul territorio da questi controllato prima di dirigersi a Raqqah, “capitale” del Califfato, la situazione logistica e tattica di questi uomini è ormai tale da far ritenere che la sospensione dell’accordo sia solo temporanea, e che, nel giro di giorni, massimo settimana, sarà attuato come previsto.
Infine oggi è stato reso noto che la stessa procedura viene seguita a Zabadani (questa volta gli evacuati sono alcune centinaia), una località al confine fra Siria e Libano teatro di sanguinosi combattimenti nel corso dell’estate scorsa. Nella primavera del 2015 la “sacca di Zabadani” si estese fino a mettere in pericolo le comunicazioni fra gli uomini di Hezbollah impegnati in Siria e le loro basi libanesi. Il gruppo di Nasrallah si è quindi impegnato in cruente operazioni di riduzione delle aree controllate dalla ribellione, concluse con il cessate il fuoco dello scorso settembre. Oggi la notizia dell’evacuazione di quello che resta della sacca, evacuazione che porterà i miliziani prima a Beirut poi in Turchia.
Sebbene questo modello sia chiaramente un sollievo per territori provati come quelli in cui si svolge la guerra civile siriana, questo tipo di notizie dovrebbero suggerire a noi ed alle dirigenze europee alcuni interrogativi.
Il primo riguarda i numeri. Se ambienti operativi di dimensioni modeste come quelli di cui si è parlato (si veda la mappa) ospitavano centinaia o migliaia di combattenti, quale può essere l’ordine di grandezza di “sacche” dieci o cento volte più ampie e presidiate, come quella di Est Gouta, o di Talbisah, su cui esercito Siriano ed aviazione russa stanno da mesi esercitando una pressione sempre più difficile da contenere? Verosimilmente migliaia, forse decine di migliaia.
Il secondo interrogativo sospeso concerne la destinazione finale dei combattenti. Sebbene le carovane degli autobus scortati dagli uomini delle Nazioni Unite li conducano verso territori controllati dal Califfato (Raqqah) o dai ribelli (Idlib) dall’inizio dell’intervento russo non esiste più alcun “santuario” in cui questi combattenti siano al sicuro: è chiaro che dal giorno successivo al loro arrivo il loro destino sarà quello di bersagli del tiro al piccione russo. L’unico territorio in cui si troveranno veramente al sicuro sarà quindi quello turco, così che la Turchia è destinata a diventare il rifugio di tutte le formazioni radicali operanti in Siria mano a mano che milizie Curde, iracheni e governativi siriani restringeranno gli spazi operativi degli insorti islamisti. Altrettanto evidente il pericolo che il passo successivo possa essere l’Europa (o la Libia, opzione che, dal punto di vista Italiano, non è molto più rassicurante), visto che che la Russia ha da tempo in atto misure di sicurezza eccezionali e si appresta a chiudere il transito senza visti con la Turchia a partire dal 1 gennaio 2016.
E questo ci porta al quesito conclusivo, ovvero all’accordo di cooperazione Euro turco del 29 novembre scorso, una intesa che consegna di fatto ad un governo di dubbia lealtà come quello di Ankara le chiavi di casa dello spazio Europeo, affidando alla “buona fede” turca il controllo dei flussi di migranti e concedendo (presumibilmente a partire da metà del 2016) un regime di transiti senza visti la cui compatibilità con la sicurezza dei cittadini europei è quantomeno dubbia.
Discorso che vale, con le varianti del caso, anche per altri due governi con gravi problemi di ordine pubblico che hanno dimostrato di anteporre gli interessi propri e statunitensi a quelli europei (ci riferiamo al caso si Ucraina e Georgia) e a cui la Commissione Europea il 24 dicembre ha proposto di estendere il regime di esenzione dai visti. Vero è che il regime di esenzione riguarda solo i cittadini di questi paesi, ma è altrettanto vero che la cittadinanza si ottiene anche per naturalizzazione, così che, di fatto, l’Unione Europea sta concedendo ad Erdogan e a Poroshenko il diritto di decidere chi può entrare senza controlli sul suo
territorio.Jean C. Junker con il prim ministro turco Ahmet Davutoglu
Abbiamo visto, nel 2015 che sta per chiudersi, due terribili atti di sangue (gli attentati di Parigi del 7 gennaio e del 13 novembre) provocare una ondata di emotività nazionale e un generale rafforzamento di una classe dirigente screditata, che ha beneficiato della doppia minaccia rappresentata dal terrorismo e dalla xenofobia (con la prospettiva di una “guerra di civiltà” alle porte come catalizzatore del consenso delle opinioni pubbliche democratiche e moderate).
Sin ora abbiamo pensato che questo vantaggio fosse frutto di circostanze fortuite. Ma se anche nel 2016 i governi bifronte “di salvezza nazionale” ed i loro referenti di Bruxelles continueranno come negli anni passati, a ignorare pericoli gravi, incombenti ed evidenti, moltiplicandoli, anzi, con politiche insensate, saremmo costretti a chiederci se quella che appare come esasperante ingenuità, non sia altro, ovvero una sorta di criminale “strategia della tensione” a livello continentale, mirante a “destabilizzare per stabilizzare” l’opinione pubblica attraverso una dirigenza che può trarre in questo modo legittimità per condurre politiche economiche sempre più impopolari e classiste.
Abbiamo visto, nel 2015 che sta per chiudersi, due terribili atti di sangue (gli attentati di Parigi del 7 gennaio e del 13 novembre) provocare una ondata di emotività nazionale e un generale rafforzamento di una classe dirigente screditata, che ha beneficiato della doppia minaccia rappresentata dal terrorismo e dalla xenofobia (con la prospettiva di una “guerra di civiltà” alle porte come catalizzatore del consenso delle opinioni pubbliche democratiche e moderate).
Sin ora abbiamo pensato che questo vantaggio fosse frutto di circostanze fortuite. Ma se anche nel 2016 i governi bifronte “di salvezza nazionale” ed i loro referenti di Bruxelles continueranno come negli anni passati, a ignorare pericoli gravi, incombenti ed evidenti, moltiplicandoli, anzi, con politiche insensate, saremmo costretti a chiederci se quella che appare come esasperante ingenuità, non sia altro, ovvero una sorta di criminale “strategia della tensione” a livello continentale, mirante a “destabilizzare per stabilizzare” l’opinione pubblica attraverso una dirigenza che può trarre in questo modo legittimità per condurre politiche economiche sempre più impopolari e classiste.
fonte:http://www.controinformazione.info/
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