Dagli
inizi dell’era cristiana la politica economica e monetaria continuò a
evolvere articolandosi e affinandosi, pur rimanendo sostanzialmente
invariata fino all’età moderna.
Il sistema monetario si fondava
sull’oro, prima usato direttamente come moneta, quindi, dall’Ottocento,
come base di calcolo della cartamoneta circolante.
Fino alla prima
guerra mondiale vigeva il principio di convertibilità totale della
moneta in oro: a tanto oro corrispondeva tanta capacità di emettere
valuta, secondo un rapporto di cambio fisso (sistema aureo o gold
standard). Le banche centrali, pertanto, dovevano conservare una
quantità di riserva aurea corrispondente alla moneta complessivamente
emessa.
Essendo le monete dei diversi Stati commisurate a un unico denominatore (la quantità d’oro), i cambi tra le
valute
erano fissi. Il sistema sembrò efficace, ma i terribili fatti legati
allo scoppio della prima guerra mondiale, lo fecero franare. Durante la
guerra, l'enorme spesa bellica richiese un’emissione di moneta superiore
alla riserva aurea, che fu parzialmente superata. Inoltre, i flussi di
capitale dagli Stati partecipanti agli Stati Uniti, dove avevano sede
numerose industrie belliche, fece sì che non ci fosse più corrispondenza
tra valuta emessa e oro effettivamente presente. Questo provocò
fenomeni inflattivi e una crisi che ebbe ripercussioni in tutto il
mondo.
Passarono molti anni prima che gli Stati coinvolti dalla
prima e dalla seconda guerra riuscissero a darsi una politica monetaria
comune. Finalmente, nel 1944, gli accordi di Bretton Woods diedero vita
al fondo monetario internazionale, rinnovarono il sistema aureo e
fissarono il prezzo del metallo a 35 dollari per oncia. Legando il
valore dell’oro al dollaro, si ristabilivano cambi fissi tra tutte le
monete degli Stati firmatari con base diretta il dollaro e indiretta
l’oro (gold exchange standard). Ma, nel corso degli anni centrali del XX
secolo, l’economia diventò troppo complessa perché anche questo sistema
potesse reggere. Il presidente Nixon svincolò il dollaro dall'oro nel
1971, segnando così la fine del gold standard.
Il sistema economico
che ne emerse ebbe nuove basi: un sistema di cambi flessibili, nel quale
l’entità di valuta circolante è svincolata dalla quantità di oro
propria dello Stato. Si parla, infatti, di corso legale della moneta.
Il valore della moneta oggi è determinato dalle banche centrali, che lo
adeguano in funzione dello stato economico del Paese (leggi
l’approfondimento sul costo del denaro).
Il peso di una valuta in
rapporto alle altre non è più fisso ma oscilla sulla base della fiducia
che può essere riposta nello Stato che la emette e, quindi, sulla sua
forza economica. Sulla base di questa oscillazione si calcola il tasso
di cambio, che esprime quanto il mercato apprezza una certa moneta
rispetto alle altre e è un indicatore significativo della condizione
finanziaria di un Paese: un rialzo del cambio è indice di forza
economica, un ribasso di debolezza.
Passarono molti anni prima che gli Stati coinvolti dalla prima e dalla seconda guerra riuscissero a darsi una politica monetaria comune. Finalmente, nel 1944, gli accordi di Bretton Woods diedero vita al fondo monetario internazionale, rinnovarono il sistema aureo e fissarono il prezzo del metallo a 35 dollari per oncia. Legando il valore dell’oro al dollaro, si ristabilivano cambi fissi tra tutte le monete degli Stati firmatari con base diretta il dollaro e indiretta l’oro (gold exchange standard). Ma, nel corso degli anni centrali del XX secolo, l’economia diventò troppo complessa perché anche questo sistema potesse reggere. Il presidente Nixon svincolò il dollaro dall'oro nel 1971, segnando così la fine del gold standard.
Il sistema economico che ne emerse ebbe nuove basi: un sistema di cambi flessibili, nel quale l’entità di valuta circolante è svincolata dalla quantità di oro propria dello Stato. Si parla, infatti, di corso legale della moneta.
Il valore della moneta oggi è determinato dalle banche centrali, che lo adeguano in funzione dello stato economico del Paese (leggi l’approfondimento sul costo del denaro).
Il peso di una valuta in rapporto alle altre non è più fisso ma oscilla sulla base della fiducia che può essere riposta nello Stato che la emette e, quindi, sulla sua forza economica. Sulla base di questa oscillazione si calcola il tasso di cambio, che esprime quanto il mercato apprezza una certa moneta rispetto alle altre e è un indicatore significativo della condizione finanziaria di un Paese: un rialzo del cambio è indice di forza economica, un ribasso di debolezza.
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