In un editoriale al
vetriolo a firma di Wolfgang Munchau, dal titolo che è tutto un programma: “Why
Monti is not the right man to lead Italy”, cioè “Perché Monti non è l’uomo
giusto per condurre l’Italia”, il Financial Times stronca definitivamente, dopo
le pesantissime critiche già rivoltegli nel recente passato, il premier
italiano uscente, in pratica augurandosi di non vederlo mai più a Palazzo
Chigi. Spiega l’autorevole quotidiano finanziario londinese, che a suo tempo
era stato il più convinto assertore del prof worldwide, che il governo
Monti ”ha provato a introdurre riforme strutturali modeste, annacquate
fino all’irrilevanza macroeconomica, ha promesso vere e sostanziali riforme
finendo solo per aumentare le tasse”. Poi la spruzzata di veleno niente male:
“Monti ha iniziato come tecnico ed è emerso come un duro politico”, spiega il
quotidiano, sottolineando che anche sul calo dello spread molti italiani “sanno
che è legato ad un altro Mario, cioè a Draghi, presidente della Bce”. Notiamo
con malcelato compiacimento che dopo che Qelsi glielo ha spiegato per più
di un anno, finalmente il Financial Times ha preso atto di questa
incontestabile verità. Ma c’è di più. Nella sua disanima del panorama
politico italiano, ovviamente frettolosa, ma non per questo meno incisiva,
il Financial Times si pone il problema della credibilità di Bersani, arrivando
a concludere che il politico di Bettola appare tutt’altro che affidabile
perché adesso tenta di prendere le distanze da quel Monti di cui ha sostenuto
con risoluta convinzione le politiche di austerità. Inoltre, il leader del PD
vuole la patrimoniale, la Tobin Tax e si è mostrato molto “esitante” rispetto a
necessarie riforme strutturali anche se, rispetto a Monti, potrebbe vantare
maggiori chances di successo nel confronto diretto con Angela Merkel, grazie
alla sua migliore possibilità di intesa con il socialista Hollande. Infatti
Monti, prosegue il quotidiano nel suo j’accuse, da premier si è sempre ben
guardato dal pretendere dalla cancelliera tedesca “che l’impegno per la moneta
unica fosse condizionato all’unione bancaria, al varo degli Eurobond ed a
politiche economiche più espansive da parte di Berlino”. Per quanto riguarda
Silvio Berlusconi, il FT nota che, dopo l’alleanza con la Lega, il consenso per
la coalizione di destra sta aumentando, seppur ancora indietro nei sondaggi.
“Fino ad ora la campagna dell’ex primo ministro è stata positiva. Ha lanciato
un messaggio anti-austerità cui è sensibile l’elettorato deluso. E ha inoltre
continuato a criticare la Germania per la sua riluttanza ad accettare gli
eurobond ed a permettere che la Bce acquistasse bond italiani
incondizionatamente”. Detto da chi aveva invocato a tutta pagina l’aiuto di Dio
perché l’inviso ed odiato – dagli inglesi – Berlusconi lasciasse il governo a
favore di Monti equivale ad un clamoroso dietro-front del quotidiano
finanziario nella considerazione delle qualità dell’ex premier e quasi ad una
investitura politica dello stesso. Dopodiché il FT torna su Monti a
proposito del quale ricorda anche che tra i suoi argomenti c’è stato
quello di aver “salvato l’Italia dal baratro e da Silvio Berlusconi”. E qui
arriva la bomba finale laddove il prof Munchau, autore dell’editoriale,
afferma che Monti gli ricorda molto da vicino Henrich Brüning, augurandosi
sarcasticamente che la “storia gli accordi un ruolo simile a quello
giocato dal cancelliere tedesco tra il 1930-1932, che faceva parte della
schiera di quelli che creavano un consenso attorno al fatto che non ci fossero
alternative all’austerity”. E conclude l’articolo chiosando che “l’Italia ha
ancora poche scelte. Ma le deve fare veramente, (non
fingere demagogicamente di farle come ha fatto Monti, ndr)”. Ma
perché il Monti attuale ha suggerito al Financial Times il geniale accostamento
con un cancelliere tedesco di 80 anni fa, e cosa aveva combinato di tanto
nefando costui? Ecco la storia.
Il 29 marzo del 1930, l’esperto di finanza Heinrich Brüning fu nominato cancelliere della Germania da Paul von Hindenburg, un generale eroe della prima guerra mondiale, nonché Reichspraesident della Repubblica di Weimar sino alla sua morte, avvenuta nel 1934. In Germania ci si aspettava che il nuovo governo portasse ad uno spostamento verso un conservatorismo moderato, ispirato ad ideali di democrazia e libertà, che potesse rilanciare sul piano socio-economico un Paese prostrato dalla tragedia di una guerra, per di più rovinosamente persa.
Il 29 marzo del 1930, l’esperto di finanza Heinrich Brüning fu nominato cancelliere della Germania da Paul von Hindenburg, un generale eroe della prima guerra mondiale, nonché Reichspraesident della Repubblica di Weimar sino alla sua morte, avvenuta nel 1934. In Germania ci si aspettava che il nuovo governo portasse ad uno spostamento verso un conservatorismo moderato, ispirato ad ideali di democrazia e libertà, che potesse rilanciare sul piano socio-economico un Paese prostrato dalla tragedia di una guerra, per di più rovinosamente persa.
Per facilitarne l’iniziativa
politica, al nuovo governo furono conferiti poteri d’azione un po’ speciali,
pur sempre rimanendo nell’ambito del perimetro della nuova Costituzione
promulgata dall’Assemblea di Weimar, da esercitarsi sotto il diretto
controllo e la responsabilità del Reichspraesident, in quanto il
neo-cancelliere, non essendo stato eletto dal popolo, non godeva di una propria
maggioranza nel Reichstag. Fatte le debite proporzioni, se sostituiamo la
prima guerra mondiale con la crisi esplosa nel 2008 – dapprima solo
finanziaria, ma poi divenuta anche economica – von Hindenburg con
Napolitano, Monti con Brüning - e si tenga presente che entrambi
erano reputati esperti finanziari, ma senza alcuna esperienza di
politica – poi sostituiamo i poteri speciali concessi al Cancelliere tedesco
con la strana maggioranza PD, UdC, PdL e la possibilità di legiferare a colpi
di voti di fiducia e di decreti legge, ecco che la Repubblica di Weimar dei
primi anni ’30 trova una sua incredibile, ancorché puntuale immagine riflessa
in questa mortificata e mortificante repubblica che Monti ha portato ad essere
l’Italia. Le analogie tra le due situazioni hanno dell’incredibile e non si
limitano a quelle elencate, perché come fa adesso Monti,
anche Brüning a suo tempo commise il nefasto errore di puntare tutto
sul risanamento dei conti e sull’austerity. Dal 1930 al 1932 Brüning inseguì
disperatamente, né più né meno di come adesso tenta di fare Monti senza
riuscirci, il “pareggio di bilancio” per “salvare” il Paese che si trovava
in una situazione disastrosa. Dal 1930 al 1932 Brüning tentò di rimettere in
sesto l’economia tedesca continuando a legiferare in modo scoordinato e senza
una precisa strategia, dovendo accontentare tutti e nessuno in mancanza di una
propria maggioranza in Parlamento, andando avanti con l’abuso di decreti
presidenziali d’emergenza. In quel periodo la grande depressione raggiunse
il culmine. In linea con le teorie economiche liberali ortodosse, applicate
sulla carta e mai sperimentate de facto, una minore spesa pubblica avrebbe
dovuto avviare la ripresa economica, ma non fu così. Brüning tagliò
drasticamente le spese statali, avendo messo in conto che la crisi economica
sarebbe, per un certo tempo, peggiorata ancora prima di poter invertire la
tendenza e che avesse inizio la ripresa, proprio come asserisce adesso Monti.
Tra le altre cose, Brüning bloccò i contributi pubblici per
l’assicurazione obbligatoria sulla disoccupazione che era stata introdotta solo
nel 1927, un ammortizzatore sociale simile alla Cassa integrazione guadagno
nostrana, il che risultò in maggiori contributi da parte dei pochi lavoratori e
minori benefici per la marea dei disoccupati, non esattamente la misura
popolare che il popolo tedesco s’aspettava. Vi ricorda niente tutto ciò?
Insomma, non vi sembra di stare a parlare del Monti della “luce in fondo al
tunnel”, della riforma del lavoro e della spending review? Stessa cultura,
stessa politica, stessa professione, stesso modo di procedere, stessi errori e
stessi risultati catastrofici. Si vede che al prof la storia nulla ha insegnato
se si è incamminato sulla stessa strada percorrendo la quale Brüning portò
la Germania, che avrebbe voluto e dovuto “salvare”, alla catastrofe di un
completo disfacimento del sistema produttivo ed alle profende lacerazioni del
tessuto sociale che la fecero precipitare nel baratro di una nuova guerra
planetaria. In poco più di un anno, l’austerità del governo Monti ha portato al
tracollo dell’economia con 100.000 imprese chiuse, all’aumento del 50 %, dicesi
il cinquanta percento, dell’indice di disoccupazione passato dall’8 % al 12 %,
alla creazione di 300.000 esodati, ha fatto retrocedere di 27 anni il potere
d’acquisto delle famiglie, ha portato i livelli di consumo a quelli
dell’immediato dopoguerra, ha fatto riforme che hanno sortito un effetto
esattamente opposto a quello atteso, senza dire dei regali che ha fatto
alle banche ed all’Europa. L’ultimo, in ordine di tempo, il regalo da 3,9
miliardi fatto alla banca rossa del Montepaschi di Siena per non farla fallire
dopo che i demagoghi del PD ne hanno dilapidato le enormi risorse virtuosamente
accumulate prima di divenire il salvadanaio della sinistra, un regalo che
equivale più o meno al gettito Imu sulla prima casa. La tredicesima degli
italiani regalata dal prof alla MPS per fare un favore al PD. Una vera infamia
che il prof ha commesso per avviare il “dialogo sulle riforme dopo il voto” con
la sinistra di Bersani e Vendola. Una austerità, quella di Monti, che ha
imposto sacrifici tremendi alla gente di questa Nazione senza neanche avere la
contropartita del risanamento dei conti pubblici, né di prospettive di ripresa,
né di porre un freno all’indebitamento che è arrivato al 126 % del Pil, o la
riduzione di un debito che ha sforato la soglia dei 2000 miliardi, aumentando
di ben 90 miliardi in un anno solo. Risultati che Brüning, nel disastro
che combinò anche lui puntando sull’austerity, anziché sulla crescita, non
s’era neanche sognato di poter raggiungere nelle dimensioni esibite da Monti.
di Rosengarten © 2013
Qelsi
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