“RAFFORZA LA
GERMANIA, PENALIZZA I PAESI DEBOLI”
di Pier Paolo
Flammini
13 dicembre 1978, l’Italia discute l’ingresso nello Sme, anticamera della moneta unica. Lucido il discorso del futuro Presidente della Repubblica: “La resistenza tedesca a dare garanzie economiche per il riequilibrio interno della Comunità imporrà una linea di rigore a senso unico e di tagli ai salari: servono garanzie per l’economia altrimenti sarà un grave problema”. Peccato che oggi l’ex comunista migliorista ignori le sue convinzioni
Per gli Stati Uniti d’Europa servono circa 3 mila miliardi di euro all’anno, che dai Paesi più forti dell’Eurozona prendano la strada di quelli più deboli. L’ho scritto già qui, ribadito ancora. Altrimenti il sistema salta (è già saltato).
Questo pensava anche Giorgio Napolitano, quando, il 13 dicembre 1978, si discuteva in Parlamento l’ingresso dell’Italia nel Sistema Monetario Europeo, l’anticamera dell’euro. Il meccanismo delle “garanzie da conseguire” per la “nascita dell’euro” (moneta più volte citata da Napolitano) gli era ben chiaro.
Allora Napolitano era nel Partito Comunista Italiano e non Presidente della Repubblica Italiana. L’Unione Monetaria “senza garanzie” era per Napolitano – ovviamente – “un rilevante problema politico” che rischiava di creare “gravi problemi ai Paesi più deboli che vi entravano a far parte“. Questo a causa della “resistenza dei paesi più forti, come la Germania e della banca centrale tedesca in particolare, ad assumere impegni effettivi e sostenere oneri adeguati per un maggiore equilibrio tra gli andamenti delle economie di paesi della Comunità“. Chiaro che, in assenza di svalutazione, l’unico fattore di riequilibrio era la riduzione dei salari interni: fattore espressamente citato da Napolitano (“deflazione“).
Peccato che oggi Napolitano abbia dimenticato tutto. E che non dica queste semplici verità agli italiani, durante i suoi discorsi di fine anno, il che darebbe una sponda seria al dibattito parlamentare ed elettorale. Nessuno glielo potrebbe impedire. Non traggano in inganno i 34 anni trascorsi: le regole economiche ed istituzionali sono sempre le stesse.
Anzi, nel frattempo, le misure di austerità si sono notevolmente irrigidite: nel 1979 nascita dello Sme, nel 1981 divorzio Banca d’Italia-Tesoro, nel 1990 irrigidimento dello Sme, nel 1992 vincoli di bilancio del Trattato di Maastricht, nel 1998 euro (moneta unica), nel 2012 pareggio di bilancio e Fiscal Compact. Tutto senza “garanzia” alcuna.
Come giornalista e cittadino ringrazio i politici italiani che, in 34 anni, non hanno saputo ottenere nulla.
Qui il documento Pdf integrale con gli interventi di tutti i parlamentari: Camera dei Deputati 14 dicembre 1978, discorso di Napolitano
(…) Ma mi si permetta, onorevoli colleghi, di ripartire dalla posizione assunta da noi di fronte alle indicazioni scaturite questa estate dalla riunione dei Capi di Stato e di Governo dell’Unione. Guardammo allora con interesse ai propositi di rilancio del processo di integrazione e di maggiore solidarietà, per far fronte ad una crisi di portata mondiale, per accelerare lo sviluppo delle economie europee, combattere la disoccupazione e, insieme, ridurre l’inflazione. Ponemmo in questo senso il problema delle condizioni in cui l’euro avrebbe potuto nascere come strumento valido e vitale, al quale l’Italia avrebbe potuto aderire fin dall’inizio. Quello delle garanzie da conseguire affinché l’euro possa avere successo, favorire un sostanziale riequilibrio all’interno dell’Unione europea (e non sortire un effetto contrario), è un rilevante problema politico.
Le esigenze poste da parte italiana non riflettevano solo il nostro interesse nazionale: la preoccupazione espressa dai nostri negoziatori fu innanzitutto quella di dar vita a un sistema realistico e duraturo, in quanto – cito parole e concetti del ministro del tesoro e del governatore della Banca d’Italia: “Un suo insuccesso comporterebbe gravi ripercussioni sul funzionamento del sistema monetario internazionale e sulle possibilità di avanzamento della costruzione economica europea”.
Ma dal vertice è venuta solo la conferma di una sostanziale resistenza dei Paesi più forti, della Germania, e in particolare della banca centrale tedesca, ad assumere impegni effettivi e sostenere oneri adeguati per un maggiore equilibrio tra gli andamenti delle economie di paesi della Comunità. E’ così venuto alla luce un equivoco di fondo: se cioè il nuovo sistema debba contribuire a garantire un più intenso sviluppo dei paesi più deboli della Comunità, o debba servire a garantire il Paese più forte, ferma restando la politica non espansiva della Germania, spingendosi un Paese come l’Italia alla deflazione.
Queste valutazioni sono a noi apparse tali da giustificare pienamente una scelta che si limitasse ad una dichiarazione di principio favorevole e che escludesse l’entrata dal primo gennaio nell’euro, tanto più in presenza di una analoga decisione della Gran Bretagna, con tutto ciò che questa decisione comportava e comporta.
Perché non si sono ascoltate abbastanza nei giorni scorsi queste voci e si è giunti ad una decisione precipitata ed arrischiata?
No, onorevoli colleghi, noi siamo dinanzi a una risoluzione che assume le caratteristiche ristrette di una unione monetaria, le cui caratteristiche rischiano per lo più di creare gravi problemi ai Paesi più deboli che entrino a farne parte. Naturalmente non sottovalutiamo l’importanza degli sforzi rivolti a creare un’area di stabilità monetaria. Ma se è vero che le frequenti fluttuazioni dei cambi costituiscono una causa di instabilità, è vero anche che esse sono il riflesso di squilibri profondi all’interno dei singoli Paesi.
La verità è che forse – come si è scritto fuori d’Italia – si è finito per mettere il “carro” di un accordo monetario davanti ai “buoi” di un accordo per le economie.
Onorevoli colleghi, in quest’aula si è parlato (vi si è riferito poco fa anche il collega Cicchitto) delle sollecitazioni e delle assicurazioni pervenuteci da governi amici. Queste sollecitazioni confermano l’esistenza di un reale e forte interesse degli altri Paesi membri della Comunità ad avere l’Italia al più presto presente nell’euro. Si sarebbe, dunque, potuto far leva su questo interesse, non dando adesione immediata, per portare avanti un serio negoziato. Ma se ci si vuole, onorevoli colleghi, confrontare con i problemi di fondo, i problemi delle politiche economiche, bisogna sbarazzarsi di ogni residuo di europeismo retorico e di maniera. Si è giunti a sostenere che “l’Italia non dovesse scegliere in questi giorni se appartenere o meno all’euro, ma se recidere” – dico recidere – “o meno i suoi legami con i Paesi dell’Europa occidentale, sul terreno economico e sul terreno politico”. Ma questa è una tesi che non trova alcun riscontro obiettivo, che non poggia su alcun argomento razionale e si colloca, invece, nel quadro di una drammatizzazione gratuita ed esasperata della scelta che era davanti tal nostro Paese.
Se oggi, comunque, tra i fautori dell’ingresso immediato circolasse il calcolo di far leva su gravi difficoltà che possono derivare dalla disciplina del nuovo meccanismo di cambio europeo per porre la sinistra – eludendo la difficile strada della ricerca del consenso – dinanzi ad una sostanziale distorsione della sua linea ispiratrice, dinanzi alla proposta di una politica di deflazione e di rigore a senso unico, diciamo subito che si tratta di un calcolo irresponsabile e velleitario“.
FONTI:
http://www.rivieraoggi.it/
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