Un attentato suicida avvenuto ieri a Kidal, nel nord del Mali,
ha causato almeno quattro vittime e ha ancora una volta segnalato il cambio di
strategia dei gruppi armati che fino a gennaio tenevano sotto controllo questa
parte del paese. Ieri l’obiettivo è stato un posto di blocco del Movimento
nazionale di liberazione dell’Azawad (Mnla, gruppo armato che sostiene i
francesi); ma i precedenti attentati di Gao e le incursioni fatte a più riprese
in aree ufficialmente tornate sotto controllo di Bamako lasciano aperti diversi
interrogati.
Sul Journal du Mali sono proprio questi interrogativi ad
alimentare un articolo di fondo molto chiaro fin dal titolo: “Abbiamo forse
sottovalutato il nemico?”. I combattenti islamisti, si legge, “hanno capacità
proprie di un esercito… sono pesantemente armati, utilizzano ordigni esplosivi
artigianali, ricorrono ad attentati suicidi oppure fanno esplodere ordigni con
comandi a distanza”. Per Le Pays, giornale del vicino Burkina Faso, “il nemico
non è scomparso e la pace è ancora lontana”.
Ad alimentare la preoccupazione che la guerra sia ancora
lunga è d’altronde la stessa Francia che da gennaio guida l’offensiva contro i
ribelli. Come detto ieri dal ministro della Difesa francese, Jean-Yves Le
Drian, “combattimenti molto violenti” sono in corso sulle montagne dell’Adrar
degli Ifoghas e questo, ha aggiunto, significa che è ancora prematuro parlare
di un ritiro di truppe dal Mali.
Pochi tra gli attori in campo hanno finora diffuso notizie
particolareggiate su quanto sta avvenendo a nord e su bilanci. L’esercito
maliano ha riferito della morte di 37 suoi soldati e del ferimento di altri
138; il Ciad, impegnato nella missione al fianco dei francesi, lamenta almeno
23 vittime; molti, sarebbero poi i caduti tra i ribelli.
Questo scenario di guerra peggiora ulteriormente le
condizioni di vita di una popolazione che doveva fare già i conti con la
siccità e la carenza di beni di prima necessità. Secondo dati dell’Onu almeno
430.000 maliani sono stati costretti alla fuga. Di loro, ha detto John Ging,
dirigente dell’Ufficio dell’Onu per il coordinamento degli aiuti umanitari da
poco rientrato a New York dal Mali, deve occuparsi con urgenza la comunità
internazionale.
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