Fonti autorevoli, di recente Eugenio Scalfari, terrorizzano gli ascoltatori o i lettori sulle conseguenze dell’abbandono dell’euro, con conseguente ritorno ad una valuta nazionale. Scalfari ritiene che “…non hanno ben chiaro che cosa significa il ritorno alla moneta nazionale: le banche americane e la speculazione giocherebbero a palla con la liretta, roba da emigrazione forzata”
Su simili toni, in un recente, interessante incontro con Stefano Fassina, quest’ultimo ribatteva ad un tavolo di euro-scettici “mica vorrete tornare agli anni ’70???”, con riferimento alla situazione precedente al “divorzio” tra Banca d’Italia e Tesoro, in un assetto istituzionale in cui l’Italia aveva il controllo, sia pur relativo, sul tasso di cambio della lira, e la Banca d’Italia acquistava eventuali titoli pubblici di nuova emissione non sottoscritti dai mercati.
Guardando ai dati, non sembra che gli anni ’70 della “liretta” siano stati catastrofici. E’ vero che in quel periodo l’inflazione – in buona parte a causa dell’aumento nel costo del petrolio – è stata elevata. Ma se guardiamo al PIL reale pro-capite, l’Italia ha fatto passi avanti, come mostra il primo grafico, costruito sui dati della Penn World Table. Nel grafico ho evidenziato il periodo tra il 1971 – fine della convertibilità del dollaro – e il 1981, data del “divorzio” tra Banca d’Italia e Tesoro. E ciò nonostante la crisi del 1975, la peggiore in termini di caduta del PIL prima della Grande Recessione (grafico in basso).
Di più, se stiliamo una classifica basata sul PIL reale pro-capite, l’Italia aveva raggiunto nel 1981 il 15mo posto, dal 17mo del 1960. L’ultimo dato, del 2010, la riporta al 19mo posto, scavalcata da Finlandia, Giappone, Regno Unito, e anche dall’Irlanda, anche se quest’ultima avrà perso posizioni negli ultimi due anni.
Nell’Italia della liretta e dell’alta inflazione degli anni ’70 le prospettive per i nostri figli non erano così nere come nell’Italia dell’euro e del pareggio di bilancio.
Detto questo, concordo con Scalfari sul fatto che ridare (di nuovo!) a Berlusconi la responsabilità di gestire il Paese sembra una barzelletta, in cui c’è poco da ridere
di Gennaro Zezza(*).
(*) Docente di Economia Politica, Università di Cassino, Research Scholar presso il Levy Institute of Economics http://gennaro.zezza.it/
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