venerdì 15 febbraio 2013

L’ITALIA DELLA “LIRETTA” NON ERA POI COSÌ MALE



Fonti autorevoli, di recente Eugenio Scalfari, terrorizzano gli ascoltatori o i lettori sulle conseguenze dell’abbandono dell’euro, con conseguente ritorno ad una valuta nazionale. Scalfari ritiene che “…non hanno ben chiaro che cosa significa il ritorno alla moneta nazionale: le banche americane e la speculazione giocherebbero a palla con la liretta, roba da emigrazione forzata”
Su simili toni, in un recente, interessante incontro con Stefano Fassina, quest’ultimo ribatteva ad un tavolo di euro-scettici “mica vorrete tornare agli anni ’70???”, con riferimento alla situazione precedente al “divorzio” tra Banca d’Italia e Tesoro, in un assetto istituzionale in cui l’Italia aveva il controllo, sia pur relativo, sul tasso di cambio della lira, e la Banca d’Italia acquistava eventuali titoli pubblici di nuova emissione non sottoscritti dai mercati.

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Guardando ai dati, non sembra che gli anni ’70 della “liretta” siano stati catastrofici. E’ vero che in quel periodo l’inflazione – in buona parte a causa dell’aumento nel costo del petrolio – è stata elevata. Ma se guardiamo al PIL reale pro-capite, l’Italia ha fatto passi avanti, come mostra il primo grafico, costruito sui dati della Penn World Table. Nel grafico ho evidenziato il periodo tra il 1971 – fine della convertibilità del dollaro – e il 1981, data del “divorzio” tra Banca d’Italia e Tesoro. E ciò nonostante la crisi del 1975, la peggiore in termini di caduta del PIL prima della Grande Recessione (grafico in basso).
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Di più, se stiliamo una classifica basata sul PIL reale pro-capite, l’Italia aveva raggiunto nel 1981 il 15mo posto, dal 17mo del 1960. L’ultimo dato, del 2010, la riporta al 19mo posto, scavalcata da Finlandia, Giappone, Regno Unito, e anche dall’Irlanda, anche se quest’ultima avrà perso posizioni negli ultimi due anni.
Nell’Italia della liretta e dell’alta inflazione degli anni ’70 le prospettive per i nostri figli non erano così nere come nell’Italia dell’euro e del pareggio di bilancio.

Detto questo, concordo con Scalfari sul fatto che ridare (di nuovo!) a Berlusconi la responsabilità di gestire il Paese sembra una barzelletta, in cui c’è poco da ridere
di Gennaro Zezza(*).
(*) Docente di Economia Politica, Università di Cassino, Research Scholar presso il Levy Institute of Economics http://gennaro.zezza.it/

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