Fino a ieri
mattina, checché se ne dicesse, il movimento 5 Stelle non aveva sbagliato una
mossa. A parte le trascurabili defezioni sulla presidenza del Senato, aveva
mantenuto compatti i suoi variopinti ed eterogenei gruppi parlamentari,
sfuggendo a tutte le trappole che i partiti e i giornalisti al seguito avevano
seminato sul suo cammino. Aveva messo all’angolo il Pdl con l’annuncio del sì
all’ineleggibilità e a un’eventuale richiesta d’arresto di B. (spingendo il Pd
ad allinearsi). Aveva costretto il Pd a rottamare i candidati di partito per le
due Camere e a inventarsi in fretta e furia i nuovi arrivati Boldrini e Grasso,
a loro volta obbligati a esordire col taglio degli emolumenti che, per quanto
modesto, avrebbe innescato l’effetto valanga. Infine aveva cucinato a fuoco
lento Bersani, fino alla figuraccia in diretta streaming e alla resa sul Colle
camuffata da congelamento.
Intanto i dogmi pidini dei rimborsi elettorali e del
Tav Torino-Lione venivano rimessi in discussione.
Insomma, pur avendo vinto solo
moralmente le elezioni, 5Stelle era diventato in pochi giorni il dominus della
politica italiana. Se Grillo avesse chiesto a Bersani le chiavi di casa e della
macchina, quello gliele avrebbe consegnate senza fiatare e con tante scuse per
il ritardo. Insomma, da oggi un movimento nato appena tre anni fa avrebbe avuto
l’ultima parola sul nuovo governo e sul nuovo presidente della Repubblica. Con
notevoli benefici per gli italiani, visto che alcuni punti del programma
pentastelluto, al netto delle follie e delle utopie, sono buoni e giusti e
realizzabili in poco tempo. E visto che B. sarebbe rimasto irrimediabilmente
all’angolo.
Sarebbe bastato che ieri i capigruppo fossero saliti
al Quirinale con una proposta chiara e netta: un paio di nomi autorevoli per un
governo politico guidato e composto da personalità estranee ai partiti (parrà
strano, ma ne esistono parecchie, anche fuori dalla Bocconi, dalle gran logge,
dai caveau delle banche e dalle sagrestie vaticane). Siccome Bersani, anche in
versione findus, era rimasto fermo all’asse con M5S, secondo la volontà dei due
terzi degli elettori, i grilli avrebbero dovuto sfidarlo ad appoggiare quel
tipo governo. Che naturalmente non può essere né a guida Bersani, né tantomeno
a guida M5S. Di qui la necessità di una rosa di personalità che potessero
incarnare, per la loro storia e le loro idee, alcuni dei punti chiave del
movimento. Sarebbe stato lo scacco matto al re. Invece lo scacco i grilli se lo
son dato da soli. Col rischio di perdere un treno che potrebbe non ripassare
più; di accreditare le peggiori leggende nere sul loro conto; e di gettare le
basi per drammatiche spaccature.
Ieri infatti al Colle non hanno fatto nomi, ma solo
allusioni, anche perché Napolitano non vuole sentir parlare di nomi
extra-parti. Poi hanno chiesto ciò che non potevano avere: l’incarico. Ha
prevalso l’inesperienza, o la supponenza, o la paura di essere incastrati in
giochi più grandi e inafferrabili. Paura infondata, visto che i partiti sono
alla canna del gas e non sono più in grado di incastrare nessuno, se non se
stessi. E in ogni caso la mossa era a rischio zero e a vantaggio mille (per
loro e per il Paese). É vero, come sospettavano i complottisti (che spesso ci
azzeccano) che Napolitano e parte del Pd sono già d’accordo col Pdl per
l’inciucio: ma, a maggior ragione, la proposta di un governo Settis o
Zagrebelsky li avrebbe messi tutti con le spalle al muro. E li avrebbe
costretti alla ritirata, non foss’altro che per non assumersi la responsabilità
di aver bocciato il miglior governo degli ultimi 15 anni (almeno sulla carta).
Ora invece l’unica alternativa alle urne, che tutti invocano ma tutti temono,
sarà un inciucissimo con B., più o meno mascherato. Che magari era nella testa
di Napolitano e dei partiti fin dal primo giorno. Ma che ora ricadrà sulla
testa dei 5 Stelle. E naturalmente degli italiani. Bel risultato, complimenti a
tutti.
http://www.controlacrisi.org/notizia/Politica/2013/3/30/32299-autoscacco-a-5-stelle/
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