L’avete mai sentita la battuta “ti faccio donna”? Ché tu
potresti dirgli “ma secondo te prima ero un cetaceo?”. Me l’ha ricordata una
delle amiche che mi fanno compagnia su questo blog.
Attorno al “farti donna” c’è tutta una tradizione culturale
che pare un thriller o a momenti una trama splatter. C’entra la cosa del sangue
e della verginità.
Femmina con imene sta per ragazzina. Femmina senza imene
invece è fatta donna. Per donna intendasi, e scusate il tono da dottoressa
improvvisata, immaginatemi con l’occhiale in punta al naso e la posa
conturbante, si intende dunque un po’ colei che è stata deflorata e c’ha
l’ovulo pronto ad essere ingravidato.
Donna è uguale a incubatrice futuribile. Poi c’è il “donna”
che assume il senso di “ti faccio sentir donna” (ché prima ero un mollusco!),
perché secondo alcuni è ovvio che senza l’apporto terapeutico di un pene questo
involucro che mi porto appresso potrei mollarlo alla donazione organi.
Sentirsi donna, poi, non lo trovo neppure un concetto così
rivoluzionario. Io mi sento persona, poi un po’ di gente mi ricorda che ho
delle caratteristiche biologiche e in base a quelle mi colloca e mi qualifica.
Mi si dà lavoro, o mi si toglie, mi si precarizza o mi si offende. Mi sento
anche abbastanza cercopiteco, a volte, e in parte anche un po’ albero. Non so.
Mi sento cielo, vento, aria, sole, terra, fuoco. Mi sento un sacco di cose, io,
e questo fatto che il farmi sentire donna dovrebbe costituire un optional
relazionale non incentiva il mio interesse per certi uomini.
E volendo attribuire un merito alla frase diciamo che io mi
sento donna già di mio, mi faccio certe partite del sentir donna che manco te
l’immagini. Ho donnità ovunque, a prescindere, e poi ce l’ho fin dentro le
narici e nelle orecchie. Ho donnitudine pregressa e in successione, avulsa dai
contesti o contestualizzata. C’ho la donna inside e non si scappa. Ma c’ho pure
l’omo, il gay, la lesbica, la trans. C’ho un sacco di mirabolanti soggettività
che mi porto dietro. Ciascuno è ciò che vuole essere e certe battutacce le
relegherei nell’archivio delle forme idiomatiche degli anni oramai andati.
L’amore è amore, il sesso è sesso, non è un bollino di
qualità. Non è che prima io non esistessi e poi mi paghi il bollo e posso
circolare. Sono una persona e non un mezzo di locomozione.
E pure voi, vi prego, lo dico a quelle che recitano a
memoria frasi fatte, smettetela di dire “fammi sentire donna”. Inventate altre
forme espressive. Dite, che so, magari… “lascia che io sia ciò che voglio
essere”… ché non ho bisogno del tuo intervento divino per mutare forma ed
evolvermi ad essere umano. Non mi plasmare, non mi “creare”, non “farmi”
proprio niente. Anzi non “farmi” e basta. Fatti da solo. Poi ripassa e vediamo…
NB: Antonella, Meno&Pausa, è un personaggio
di pura invenzione. Spin Off di Malafemmina,
precaria un po’ più giovane. L’about di Antonella dice che si tratta di
una donna precaria post quarantenne e in pre-menopausa. Ha le caldane e cerca
ventilatori, anche umani. Ogni riferimento a fatti, cose e persone è
puramente casuale.
http://abbattoimuri.wordpress.com/
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