Dopo una lunga preparazione, anni di studio e ricerche, nonché una pianificazione del viaggio rivolta a non trascurare nessun elemento di valore e interesse, lo scorso dicembre abbiamo iniziato la nostra avventura in Pakistan, non scevra da qualche rischio ma carica di una grande emozione e di molte sorprese che avremmo incontrato lungo la nostra strada.
di Enrico Baccarini
Così poco
più di un mese fa, assieme ad una troupe documentaristica composta dal
regista Diego D’Innocenzo e dal Direttore della fotografia Matteo De
Angelis, abbiamo iniziato la nostra avvenutura assolutamente
inconsapevoli che saremmo andati a vivere e sperimentare le bellezze di
un paese incredibilmente unico.
Il frutto di questo lavoro andrà in onda il prossimo Marzo nella trasmissione di RAI2, condotta da Roberto Giacobbo, Voyager.
Cercando di ripercorrere le tracce di un grande mistero del passato siamo giunti in alcuni dei siti archeologici più antichi del pianeta, luoghi appartenuti al popolo Harappa e alla sua misteriosa civiltà, nel tentativo di ricostruire la storia di David William Davenport,
delle sue teorie e di analizzare i riferimenti presenti negli antichi
poemi epici indiani in cui si parla di guerre e di esplosioni, di Vimana e di tecnologie estremamente avanzate.
Durante la
realizzazione del documentario abbiamo inoltre avuto modo di
intervistare diversi studiosi che, a vario titolo, si sono interessati
alla vicenda nel corso degli anni tra questi lo scrittore inglese Graham Hancock, autore di bestseller internazionali; il Dr. Fulvio Terzi, amico personale di Davenport; Giorgio Cerquetti, da decenni profondo conoscitore del misticismo indiano ed infine Mauro Paoletti, scrittore e studioso dei misteri che riguardano il passato dell’umanità.
Attualmente
il documentario per VOYAGER è in fase di post-produzione ma
presenteremo i risultati preliminari di questi studi, nel convegno che
si terrà a Roma il 28 Aprile 2013 presso il Pineta Palace Hotel. Molto
lavoro che spero potrà essere apprezzato da tutti coloro che si sentono
attratti da queste terre, dai loro misteri e dal fascino senza tempo che
emanano.
Indubbiamente
il Pakistan presenta ancora oggi i due estremi di una società divisa
tra le antiche tradizioni e la modernità incalzante, due facce
che si fondono in una sinergia unica talvolta contrastante e
difficilmente descrivibile a parole. Questa esperienza mi ha insegnato
ancor di più, però, a non dare nulla per scontato .
Come ho già avuto modo di accennare su Facebook, è stato fondamentale analizzare e sondare il “terreno” e non lasciare niente di incompiuto.
Così il
primo elemento che abbiamo studiato è stata la possibile radioattività
ambientale, memori delle teorie di Davenport. Abbiamo portato con noi un
contatore Geiger ma, nei giorni di permanenza nel sito, non abbiamo
riscontrato nessuna traccia di radioattività
(ho preso a campione un minimo di 3 punti equidistanti tra loro con
rilevazioni multiple protratte per diverso tempo).
Altrettanto fondamentale è stato però constatare come buona parte di Mohenjo Daro (e ancor di più il così detto ‘epicentro‘)
risultasse interamente cosparsa di vasellame fuso e vetrificato! Sono
riuscito a portare con me alcuni campioni di roccia che sono già stati
consegnati per le analisi di rito mentre in parallelo siamo a fine della
stesura del libro a cui abbiamo dedicato molti anni dei nostri studi.
Ma andiamo con ordine!
L’antefatto
Ho
trattato spesso attraverso le pagine di ENIGMA, ma non solo, gli studi e
le teorie di David William Davenport e chi ha potuto ascoltare le
conferenze che ho tenuto su questo tema ha avuto modo di percepire,
almeno lo spero, il fascino che questi territori da molti anni hanno
riscosso in me. La possibilità di poterci recare personalmente nei
luoghi studiati da Davenport e porre nuovamente sotto analisi, e per la
prima volta in assoluto con strumentazioni scientifiche, quanto da lui
teorizzato nel 1979 assieme al giornalista italiano Ettore Vincenti
costituiscono non una conquista personale ma un piccolo passo rivolto
verso tutti coloro che vogliono comprendere e conoscere la natura degli
eventi anomali avvenuti in questa zona nel 2000 a.C.
La teoria
proposta da Davenport è certamente articolata e di non facile
‘digeribilità’ per coloro che non sono avvezzi a certe tematiche e vide
pubblicamente la luce nel libro ormai introvabile “2000 a.C.: Distruzione Atomica“.
Durante il
loro viaggio, sul finire degli anni ’70, i due studiosi raccolsero
campioni di roccia, vasellame e monili che risultavano fusi e
vetrificati. Nessun evento naturale poteva spiegare quei ritrovamenti,
nessun intervento umano sembrava in grado di poter generare una tale
distruzione, a meno che Mohenjo Daro non fosse stata realmente teatro di
qualcosa di diverso, una esplosione o qualcosa di simile avvenuta 4000
anni fa.
Dei suoi
100.000 abitanti, dagli anni ’20 ad oggi sono stati ritrovati solo 44
scheletri, nessuna tomba o sepoltura, corpi che si presentano come muti
testimoni di una morte istantanea, avvolta ancora oggi nel mistero, a
cui l’archeologia non è riuscita a dare una spiegazione e che in alcuni
casi presentavano addirittura segni di calcinazione come se fossero
stati esposti ad una intensa fonte di calore.
Ripercorrendo
queste tracce siamo giunti in luoghi ancora oggi difficilmente
raggiungibili riscoprendo, forse, una verità a lungo dimenticata.
Durante le nostre riprese nel sito archeologico di Mohenjo Daro abbiamo
esplorato varie aree che fin da subito sono risultate totalmente
cosparse da vasellame e mattoni fusi o vetrificati, come se fossero
stati realmente esposte ad una fonte di calore molto elevata.
Nella
volontà di non tralasciare nessuna strada abbiamo quindi cercato e
tentato di trovare una spiegazione razionale a questi eventi ma niente è
riuscito a giustificare la realtà che avevamo davanti. Parlando (in
inglese) con alcuni dei responsabili del sito abbiamo potuto inoltre
constatare come l’ipotesi degli “scarti di fornace” non fosse
in grado, ne riuscisse, a giustificare la grande quantità ed estensione
di oggetti deformati presenti nel terreno, e non neghiamo che dopo aver
parlato con alcuni di loro dell’ipotesi di Davenport non ne siano
rimasti affascinati.
L’estensione
di questi detriti e il mistero sulla loro formazione sembravano
realmente suggerire che un evento inspiegabile avesse colpito la città
nel remoto passato.
La radioattività
Per quanto
ci dividano oltre 4000 anni dall’evento atomico teorizzato da
Davenport, nel caso in cui si fosse trattato di una esplosione di questo
tipo, avremmo comunque dovuto rinvenire tracce della sua
contaminazione.
Nel loro libro Davenport e Vincenti scrivevano “… allo
stato attuale della tecnologia solo un ordigno nucleare può essere
stato capace di creare contemporaneamente un’onda d’urto e un’onda di
calore tali da lasciare le tracce che abbiamo rilevato a Mohenjo Daro”.
Riteniamo di aver trovato le tracce di una possibile onda di calore ma perchè il luogo non era radioattivo?
Personalmente
pensiamo che l’ipotesi nucleare fosse l’unica che negli anni ’70,
durante la Guerra Fredda, potesse spiegare e giustificare quanto trovato
ma nessun altro elemento sembra aver mai comprovato questa asserzione.
Le stesse analisi del ’79 fatte a Roma non parlano ‘mai’ di
radioattività ma solo di vetrificazione, fusione e alte temperature.
Gli
antichi testi indiani descrivono inoltre armi i cui effetti ricordano
molto da vicino quelli di un’esplosione atomica ma è altrettanto vero
che in questi stessi testi si parla specificatamente di armi ad
‘energia’, definite tejas astras, utilizzate dagli ‘dei durante le loro battaglie’. Se avvenne realmente un evento del genere è possibile pensare che la sua origine fosse diversa da quella nucleare?
Durante le nostre ricerche abbiamo identificato un’arma mitica, l’Agneya Astra, la
cui descrizione sembra ricalcare fedelmente gli effetti descritti da
Davenport, un’arma in grado cioè di sviluppare una fonte di calore
estremamente elevata tale da riuscire a fondere le rocce ma altrettanto
circoscritta da non contaminare e distruggere totalmente la zona
interessata.
Ecco la descrizione dell’Agneya presente nel Drona Parva, settimo libro del Mahabharata:
“Un
unico proiettile caricato con tutta la potenza dell’universo, una
colonna incandescente di fumo e di fiamme, luminosa come diecimila soli,
si levò in tutto il suo splendore. Un’arma sconosciuta, un fulmine di
ferro, un gigantesco messaggero di morte che ridusse in cenere l’intera
razza dei Vrishnis e dei Andhakas”.
Non
potevamo andare a Mohenjo Daro senza portare con noi un rilevatore
Geiger, strumento in grado di rilevare la radioattività ambientale e
fornire stime realistiche dei livelli presenti nel sito. Come si può
vedere dalla mappa sotto riportata abbiamo sottoposto non meno di tre
punti del complesso archeologico (di cui riporto alcune coordinate GPS)
ad una analisi ambientale per cercare di capire se fossero presenti
tracce o residui di radioattività così come ipotizzato da Davenport.
Localizzazione GPS dei rilevamenti effettuati tramite contatore Geiger
Per quanto
le nostre rilevazioni si siano protratte per diverso tempo i risultati
sono stati negativi, i valori rilevati non si discostavano dalla normale
radioattività di fondo e neanche le rocce fuse o vetrificate che
tappezzavano interamente alcune parti del sito hanno presentato la
minima emissione di radioattività (nel prossimo periodo pubblicheremo i
valori e le tabelle e le analisi in modo dettagliato).
Altra
rilevazione Geiger effettuata la sera del 4 dicembre 2012 a Mohenjo
Daro, poco tempo dopo la precedente. Il valore di 0,02 µsv/h indica
livelli totalmente normali della radioattività ambientale
Non nego
che inizialmente tale esito ha lasciato in me una profonda delusione e
amarezza ma ho continuato negli scopi che mi ero prefisso effettuando
ulteriori rilevazioni, come la rilevazione del campo magnetico
ambientale (totalmente nella norma), e iniziando a studiare il terreno
che si estendeva sotto i miei piedi.
Se si fosse trattato di una esplosione atomica, per quanto siano passati più di 4.000 anni, avremmo comunque ritrovato
i segni e le tracce della sua antica presenza. Un esempio
chiarificatore sono le stesse Hiroshima e Nagasaki che, a distanza di 60
anni dalla deflagrazione delle prime bombe atomiche, risultano prive di
una radioattività ambientale nociva per l’uomo per quanto esistano
alcune zone che presentano ancora valori elevati e dannosi per la salute
umana.
Nel caso
di Hiroshima e Nagasaki le esplosioni avvennero in quota, ad un’altezza
di circa 580 metri dal terreno, per cui sullo zenit dell’esplosione non
si formò alcun cratere e consequenzialmente le radiazioni si dispersero
in maggior misura nell’ambiente circostante piuttosto che interessare e
permanere nel terreno.
Effetti di una esplosione nucleare in quota da 200 Kt (kilotoni) e conseguenti danni in linea d’area.
Detto
questo però, l’onda generata dall’esplosione e il fallout che ne derivò
lasciarono ad Hiroshima e Nagasaki segni indelebili e una contaminazione
permanente.
Se a
Mohenjo Daro non era avvenuta una ‘esplosione atomica’ era comunque
innegabile il fatto che l’intero perimetro dell’area incriminata
(epicentro e zone limitrofe) fossero totalmente, completamente,
pervase da ogni tipologia di rocce fuse, da mattoni e vasellame
vetrificato ed esposto ad una temperatura elevata. Il fatto curioso,
come scrisse Davenport, è che le strutture nelle immediate vicinanze
del così detto epicentro sono totalmente inesistenti, si presentano cioé
come ‘monticelli’ che solo ad una analisi ravvicinata mostrano la loro
natura di mattoni e vasellame rotto e sparso sul terreno.
Alle
domande sollevate e ai reperti ritrovati si unisce una nuova scoperta,
del tutto inaspettata ed effettuata dopo il nostro ritorno in Italia,
una scoperta che sembra ulteriormente avvalorare la possibilità di una
esplosione nell’antichità.
Tale
evidenza si ricollega direttamente alle tipologie di detriti fusi
ritrovati a Mohenjo Daro e si associa alle più moderne tecnologie
belliche nonché al residuo di fusione provocato dalle esplosioni ad alta
intensità e al calore da esse generato.
Ci riferiamo alle “Trinititi”
pietre che costituiscono il residuo fuso e vetrificato originatosi dopo
i primi test atomici effettuati nel 1945 negli Stati Uniti, ma
altrettanto similari ai residui originati da bombe dall’alto potenziale
esplosivo come la BLU-82 (una testata bellica da 6.800 kg). Un raffronto
tra le due tipologie di rocce fuse che lascia senza parole.
Forse sono state usate armi ad energia diretta, molto simili a quelle laser, oppure armi al Plasma?
Un
parallelismo che risulta così evidente da legittimare necessariamente la
domanda su cosa realmente fosse avvenuto a Mohenjo Daro 4000 anni fa!
Ecco alcuni dei campioni di vasellame e rocce fuse fotografati a Mohenjo Daro:
Campione n°1 – Sono visibili sia le rocce vetrificate che quelle fuse con le corrispettive bolle di fusione. (Foto di Enrico Baccarini©)
Campione n°2 – Diverse varietà di reperti rinvenute in un’area campione circoscritta. Si possono vedere cocci di anfore, un mattone vetrificato e doverso tipi di rocce fuse (Foto di Enrico Baccarini©)
Campione n°3 – Un dettaglio della foto precedente con frammenti di vasellame rotto e in primo piano un pezzo di un vaso sottoposto ad un calore elevato con formazione di bolle. (Foto di Enrico Baccarini©)
Campione
n°4 – Frammenti vari di vasi fusi da un forte calore. In primo piano in
basso si nota l’incavo di una ciotola antica contora e deformata dalla
fusione. (Foto di Enrico Baccarini©)
Abbiamo
intrapreso il nostro viaggio alla ricerca di risposte e nella speranza
di trovare le prove di antiche esplosioni, abbiamo trovato un filo
comune che sembra legare la città di Mohenjo Daro, i Vimana e le storie
descritte negli antichi testi indiani.
Il viaggio
continuerà e approfondiremo molte delle tematiche trattate, per ora ci
piace concludere meditando su una frase che scrisse Davenport, “nel passato è sepolta la soluzione per il nostro futuro”.
Forse
ristudiando il nostro passato potremo migliorare davvero il nostro
futuro, evitare di commettere gli stessi errori e forse anche imparare
quello che gli antichi hanno sempre detto, ma che noi non abbiamo voluto
ancora veramente ascoltare.
Comunque vi aspetto tutti il 28 Aprile 2013 al convegno organizzato dal sito web Segnidalcielo.it.
A cura di Enrico Baccarini
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