Fingiamo
che leggerete questa mia, che in ogni caso vi invierò. Il sottoscritto è
un giornalista che simpatizza per il vostro movimento perché l’unico su
piazza che ha in sé le premesse per far largo ad una vera Liberazione.
Con i suoi limiti, difetti ed errori, com’è umano che sia essendo nato
praticamente ieri, partito da una sana tabula rasa degli schemi del
passato, e composto da persone assolutamente comuni, e perciò prive di
preparazione politica. È una forza, quella da voi fondata, al momento
rivoluzionaria solo potenzialmente, ma che presenta i presupposti per
diventarlo effettivamente: il rifiuto dell’intera classe partitica, una
sacrosanta ostilità per i padroni del vapore, la confusa ma forte
volontà di riappropriarsi direttamente
della cosa pubblica, l’apertura a orizzonti alternativi in economia, il
tentativo di conciliare istanze sociali finora considerate opposte (il
precario è sia lo schiavo del contratto a tempo che il piccolo
imprenditore alla catena della finanza bancaria), l’intuizione del
primato della vita sulla produzione, la riscoperta del necessario valore
della comunità.
Ma
per fare del Movimento 5 Stelle l’ariete della distruzione creativa e
ricostruzione radicale non basta l’agenda elettorale, né lanciare
suggestioni e richiami senza una rigorosa elaborazione culturale.
Occorre alzare il tiro e affrontare, sia pur con la dovuta gradualità, i
nodi epocali che tengono l’Italia e l’Europa soggette a mali di fondo
che vanno ben al di là dei costi della politica o del livello di tasse.
Io mi permetto qui
di suggerirvi tre temi di lungo periodo che secondo me dovrebbero
essere fatti propri da un movimentismo che non si rassegni ad
un’opposizione puramente parlamentaristica, istituzionalizzata e a
rischio binario morto nell’inseguire la tattica del giorno per giorno.
1. Il controllo della moneta è decisivo. Il sistema
monetario europeo andrebbe radicalmente rifondato. Non essendo
possibile farlo, lo Stato nazionale, attualmente depositario della
sovranità popolare, deve poter riprendersi il potere di emissione e
circolazione delle moneta. Il ritorno alla valuta nazionale dovrebbe
farsi a due condizioni: un’uscita regolamentata e organizzata in modo da
alleviare le prime conseguenze negative, e un riassetto radicale della
gestione monetaria, a partire dalla proprietà pubblica della
nuovo divisa nazionale, con una banca nazionale dello Stato e non in
mano alle banche. Riappropriandosi della moneta, togliere alle banche
l’esazione occulta dell’interesse rimodulando il circolante: non più
liquidità speculativa, ma scambi tramite moneta deperibile e garantita
da camere locali di compensazione.
2.
Il metodo di autogoverno preferibile è la democrazia diretta in ambito
locale, con una parte di delega rappresentativa limitata all’essenziale
(come in Svizzera e più della Svizzera). L’architettura istituzionale,
coerentemente con l’aspirazione all’autogoverno più vicino possibile
alla dimensione comunitaria, dovrà essere giocoforza federale. Questo
anche deriva dal bisogno di rimettere radici, di riscoprire i caratteri
ancora vivi e vivificanti delle tradizioni, ridare alla vita del singolo
ritmi
e condizioni a sua misura e del contesto naturale in cui vive (ottica
bioregionale). Un federalismo a democrazia diretta secondo il principio
di sussidiarietà: altro che vent’anni di chiacchiere leghiste.
3.
Mettere in discussione l’alleanza-sudditanza agli Stati Uniti e alla
sua politica imperiale va di pari passo con lo svincolarsi dalla
dittatura dell’austerità germanica. Come non è sopportabile una politica
economica ostaggio dei diktat tedeschi, non è più accettabile essere di
fatto un protettorato Usa, con basi disseminate sul territorio
nazionale ed una politica estera succuba degli interessi di Washington. È
vitale porsi l’obbiettivo della riconquista della sovranità,
presupposto della libertà di autodeterminazione.
In
sintesi, il nostro già barzellettesco Stato non batte moneta, di fatto
non ha autonomia fiscale, è privo di indipendenza geopolitica e si è
consegnato mani e piedi ad una tecnostruttura sovranazionale schiava
della speculazione: tecnicamente, non è più in nulla uno Stato sovrano,
libero. Una colonizzazione avvenuta in modo indolore, sottile,
mascherato, coperta dai falsi ideali dell’atlantismo, del libero mercato
e della mistica europeista. Non a nostra insaputa, sia chiaro, ma col
nostro consenso o con la nostra indifferenza. Ne stiamo pagando
amaramente il fio, che si chiami Napolitano bis, dittatura dei mercati,
Mes, Esm, tassazione usuraia, schiavitù salariata, immigrazione senza
controllo, oblio della storia e paesaggio sbranato. In una parola:
disumanizzazione.
Ma
per tutto ciò, il blog, i meetup e la rete da sole non bastano. Serve
una palestra d’idee per addestrare i cittadini che sognava Monicelli in
un suo appello prima di morire: che non si affidino alla trappola della
speranza, ma lottino per la sovversione dell’ingiustizia. Massimo
pragmatismo sul qui e ora, ma nessuna concessione su scopi finali che
andrebbero definiti con chiarezza, senza fretta ma anche senza indugio.
Creiate, creiamo un giornale online della rivoluzione futura, che
coinvolga menti giovani e non più giovani, ma ferventi di pensieri
coraggiosi. E si strutturi il movimento privilegiando le competenze, con
un’opera di formazione culturale e politica istruendo eletti e
candidati. Fatelo, o il presente vi schiaccerà. E con esso, la nostra
fiducia nel vostro movimento.
Alessio Mannino (da La Voce del Ribelle)
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