Giornalisti di mezzo mondo hanno lavorato per mesi su una massa enorme di documenti riservati: c'entrano dittatori, truffatori e dirigenti di grandi aziende
Circa 2,5 milioni di documenti segreti relativi a oltre 120.000 società
off-shore e fondi fiduciari privati in diversi paradisi
fiscali del mondo sono
finiti nelle mani di un gruppo di 86 giornalisti provenienti da 46 paesi
diversi, coordinati dall’International Consortium of Investigative Journalist
(ICIJ). L’inchiesta, che è probabilmente la più grande mai effettuata dai media
internazionali su banche e società off-shore, riguarda le ricchezze segrete, e
spesso accumulate illegalmente, di tantissimi politici e uomini d’affari
conosciuti in tutto il mondo. I giornali internazionali l’hanno già chiamata
“Offshoreleaks”.
Si definisce società off-shore una società registrata in uno stato estero
che sviluppa il suo business al di fuori di quella giurisdizione. I vantaggi
sono legati a una minore imposizione fiscale, a una maggiore protezione del
patrimonio personale e, il più delle volte, a una grande semplificazione
burocratica. Si utilizza molto questo termine per quelle società che offrono
condizioni fiscali favorevolissime nei cosiddetti “paradisi fiscali”, ovvero
quegli ordinamenti che prevedono scarsi controlli e pochi adempimenti contabili
(qui la mappa disegnata da Le Monde sui paesi indagati).
Secondo quando riportano oggi i siti del ICIJ e del Guardian, l’inchiesta
riguarda professionisti americani, famiglie e collaboratori di diversi
dittatori, truffatori di Wall Street, miliardari dell’est Europa e
dell’Indonesia, dirigenti di grandi aziende russe, commercianti internazionali
di armi e anche una società che secondo l’Unione Europea sarebbe coinvolta
nello sviluppo del programma nucleare iraniano. Si tratta di transazioni legali
e illegali, che coinvolgono individui singoli e intere aziende, e che sono
state alimentate dalla crisi finanziaria degli ultimi anni. Le transazioni
analizzate sono collegate a più di 130.000 persone di 140 paesi diversi. Gli
intermediari coinvolti sono circa 12.000, che avrebbero agito principalmente
per collocare le ricchezze dei loro clienti al riparo dalle leggi fiscali dei
loro paesi di appartenenza.
L’inchiesta
È partita dopo che un piccolo pacco anonimo era stato recapitato per
posta a un indirizzo australiano (il cui intestatario non è stato reso
pubblico). Dentro il pacchetto c’era un hard disk, che è finito all’ICIJ: sul
disco c’erano milioni di dati – contratti, fax, copie di passaporti, e-mail,
corrispondenza bancaria eccetera – tutti provenienti da due società
specializzate in domiciliazioni off-shore: Commonwealth Trust Limited, delle
Isole Vergini britanniche, e Portcullis Trustnet, con base a Singapore,
operativa alle Isole Cayman, Isole Cook e Samoa, tutte giurisdizioni off-shore
fra le meno trasparenti al mondo.
Per dare un’idea dell’enorme mole di dati e documenti recuperati, l’ICIJ
ha usato come riferimento la quantità di documenti diffusi da Wikileaks nel
2010: in termini di gigabytes, si tratta di una quantità di dati 160 volte più
grande di quella che l’organizzazione di Julian Assange aveva reso pubblica 3
anni fa. L’inchiesta è stata portata avanti per 15 mesi da giornalisti di molte
testate di tutto il mondo: i britannici Guardian e BBC, il francese Le Monde, i
tedeschi Süddeutsche Zeitung eNorddeutscher Rundfunk, l’americano Washington
Post, la Canadian Broadcasting Corporation (CBC) e altri 31 giornali in giro
per il mondo. Arthur Cockfield, professore di diritto ed esperto fiscale alla
Queen University del Canada, ha esaminato alcuni dei documenti dell’inchiesta,
e durante un’intervista alla CBC ha detto: «Non ho mai visto nulla di simile.
Questo mondo segreto è stato finalmente rivelato».
I casi più importanti e strani dell’inchiesta
Tra questi ci sono conti e transazioni segrete o illegali che coinvolgono
uomini politici, importanti uomini d’affari e grandi aziende operanti in
diversi settori, come quello dell’edilizia. Alcune delle persone citate sono
già state condannate in passato per svariati reati, tra cui frode e corruzione.
Questi sono alcuni dei casi più notevoli:
- Individui e società legate al cosiddetto “affare Magnitsky”, un caso
che aveva incrinato le relazioni tra Russia e Stati Uniti e che aveva portato
il presidente americano Barack Obama a sostenere l’approvazione del Magnitsky
Act, che aveva limitato l’ingresso negli Stati Uniti dei cittadini russi
accusati di violazione dei diritti umani.
- Un uomo d’affari venezuelano accusato di utilizzare conti off-shore per
arricchirsi grazie a uno “schema di Ponzi”, ovvero un sistema di truffa - ad
oggi in realtà diversi sistemi con molte varianti – messo a punto dal
famigerato Charles Ponzi, lo stesso utilizzato dall’ex presidente del NASDAQ
Bernard Madoff per la sua mega truffa scoperta nel 2008.
- Un importante uomo d’affari dell’Azerbaigian che ha vinto grossi
contratti nel campo dell’edilizia e delle costruzioni per miliardi di dollari
grazie ai suoi personali legami con il presidente Ilham Aliyev e con sua
figlia.
- Miliardari indonesiani con forti legami con l’ultimo dittatore del
paese, Suharto, che ha guidato l’Indonesia dal 1967 al 1998.
- La figlia maggiore dell’ex dittatore filippino Ferdinand Marcos, Maria
Imelda Marcos Manotoc, identificata come una delle beneficiarie di un conto
alle Isole Vergini. Dopo la rivelazione, i funzionari filippini hanno detto di
volere approfondire le indagini per scoprire se le attività di Maria Imelda
sono legate a quelle del padre, accusato in patria di avere accumulato illegalmente
5 miliardi di dollari.
- Nalinee Taveesin, attuale rappresentante del commercio internazionale
per il governo tailandese ed ex ministro del governo guidato da Yingluck
Shinawatra, aveva usato i servizi di Trustnet per creare nel 2008 una società
segreta nelle Isole Vergini britanniche. Tre mesi dopo il Dipartimento di stato
americano aveva congelato i beni di Taveesin che si trovavano negli Stati Uniti
con l’accusa di “sostenere segretamente le pratiche cleptocratiche di uno dei
regimi più corrotti dell’Africa”, quello di Robert Mugabe in Zimbabwe.
Tra i documenti analizzati dal ICIJ ci sono anche 30 clienti americani
già coinvolti in procedimenti penali per frode, tra cui Paolo Bilzerian, un ex
“corporate raider” di Wall Street condannato per frode fiscale nel 1989, e Raj
Rajaratnam, un manager miliardario di hedge fund che è andato in prigione nel
2011 per uno dei più grandi scandali di insider trading (utilizzo di
informazioni riservate per arricchirsi illegalmente) della storia degli Stati Uniti.
Alcuni nomi italiani che compaiono nei dati raccolti sono elencati in un
articolo dell’Espresso.
I meccanismi del mondo off-shore
L’importanza dell’inchiesta non dipende solo dai nomi coinvolti: grazie
all’enorme quantità di documenti analizzati, i giornalisti dell’ICIJ stanno
facendo luce anche sui meccanismi che regolano le attività quotidiane di queste
società off-shore, e di come può essere garantita l’assoluta riservatezza sui
loro clienti.
Alcuni documenti, ad esempio, mostrano i legami esistenti tra due grandi
banche svizzere, UBS e Clariden, con Trustnet (una delle due società al centro
dell’inchiesta). Clariden, che è di proprietà di Credit Suisse, avrebbe
garantito altissimi livelli di riservatezza per alcuni suoi clienti, tali da
rendere praticamente impossibile l’identificazione dei proprietari di questi
conti o società off-shore. Lo avrebbe fatto grazie all’aiuto di Trustnet e alle
sue attività di one-stop shop (più o meno “negozio dove trovi di tutto”):
grazie ad avvocati, commercialisti a altri esperti, Trusnet è in grado di
mettere a punto diverse forme di “pacchetti” segreti di servizi finanziari ai
loro clienti, che possono essere semplici e poco costosi, oppure più
sofisticati e anche meno decifrabili, a causa dell’intreccio di diversi fondi,
società, fondazioni e prodotti assicurativi che li caratterizzano.
Quando i gruppi come Trustnet creano società off-shore per i loro
clienti, spesso nominano come amministratori o azionisti persone che non sono i
reali proprietari della società ma semplici prestanome. Si crea quindi un
sistema di deleghe che impedisce alle autorità di individuare i responsabili di
operazioni di riciclaggio di denaro o di altri reati finanziari. Secondo i
documenti dell’inchiesta, un gruppo di 28 nomi è servito a fare da legale
rappresentante, nel passato recente, per oltre 21mila società.
I tentativi per limitare l’off-shore
Le attività finanziarie che passano per i fondi off-shore hanno
dimensioni enormi. James Henry, ex capo economista di McKinsey & Company,
ha detto che dalle sue ricerche è emerso che le attività gestite dalle 50
banche private più grandi di tutto il mondo – che spesso utilizzano i paradisi
fiscali per fornire servizi ai clienti più importanti – sono cresciute da circa
5,4 miliardi di dollari del 2005 a più di 12 miliardi nel 2010. Inoltre, ha
aggiunto Henry, la segretezza dei conti off-shore ha un effetto corrosivo sul
funzionamento dei governi e dei sistemi giuridici, perché facilita ai
funzionari disonesti l’appropriazione di denaro pubblico, e la creazione di
alleanze commerciali oltre i confini nazionali aggirando le regole imposte
dalle regolamentazioni finanziarie dei singoli stati.
Negli ultimi due decenni ci sono stati molti gli sforzi, a livello
internazionale, per limitare gli illeciti finanziari legati ad attività nel
mondo off-shore. Negli anni Novanta l’Organizzazione per lo Sviluppo e la
Cooperazione Economica iniziò a fare pressione sulle società off-shore per
ridurre la segretezza e rendere più difficoltose le attività di riciclaggio di
denaro. Nel 2009 le autorità americane costrinsero la banca svizzera UBS a
pagare 780 milioni di dollari per avere aiutato alcuni cittadini americani ad
evadere le tasse. Anche il primo ministro britannico, David Cameron, si è
impegnato pubblicamente a lavorare all’interno del G8 per frenare le attività
illecite nel mondo finanziario off-shore. Nonostante questi sforzi, però,
questo rimane ancora oggi una “zona di impunità” per chi è intenzionato a
commettere crimini finanziari.
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