Le controverse e bizzarre versioni ufficiali e ufficiose dell'attentato di Boston, l'ombra dell'FBI sulle biografie degli attentatori, le esercitazioni di sicurezza (come sempre nei grandi attentati), le impressionanti lacune dei principali organi di informazione, una metropoli sotto assedio. Il massimo indiziato è ora muto, ma i media non stanno meglio.
Il mainstream peggiora a vista d’occhio. E, tanto più peggiora, tanto meglio si vede in filigrana quando mente (anche se non è facile, di primo acchito, vedere quanto mente). Peggiora ma non pare destinato, per il momento, a passare a miglior vita. Infatti viene sostenuto da possenti iniezioni di morfina, che lo rendono, se non più sano, quanto meno abbastanza arzillo.
Nota.
Ecco alcuni dei link (tra i moltissimi disponibili) che ciascuno, avendo il tempo, potrà visionare per farsi un’idea delle cose che ho appena esposto.
- http://www.dvidshub.net/image/582713/wounded-warriors-return-home-alaska#.UYQxaKK8AbI
- http://www.pragmatismopolitico.com.br/2013/04/mercenarios-estavam-infiltrados-entre-populares-na-maratona-de-boston.html
- http://bigdanblogger.blogspot.it/
- https://www.facebook.com/photo.php?fbid=164797300350080&;set=a.103356923160785.7902.100004594326501&type=1&theater
- http://www.infowars.com/navy-seals-spotted-at-boston-marathon-wearing-suspicious-backpacks/
o, da modesto cronista, l’ho seguito con grande attenzione nelle sue circonvoluzioni: dalla narrazione che imbastì a proposito della fine dell’Unione Sovietica, all’esaltazione della figura di Boris Eltsin, dipinto a tinte pastello come il primo presidente democratico della nuova Russia, mentre era soltanto un Quisling ubriacone che la Russia la svendette, privatizzandola, tutta intera, con la modica spesa di 10 miliardi di dollari (sottolineo, dieci miliardi di dollari).
L’ho seguito, il
mainstream durante gli eventi dell’11 settembre 2001, a volte perfino ammirato
della sua spettacolare potenza. Non si poteva non restare affascinati dalla
capacità planetaria con cui riuscì prima a raccontare che il colpevole era
stato Osama bin Laden, insieme a 19 terroristi semi-analfabeti, naturalmente
islamici, poi a chiudere bruscamente e per sempre (forse) la pagina,
dimenticandola insieme ai prigionieri di Guantanamo. Che infatti sono ancora là
a prendere il sole di Cuba senza essere stati gratificati nemmeno da un qualche
modesto capo d’accusa, in compenso definiti sbrigativamente “nemici combattenti”,
che solo Bush sapeva cosa volesse dire.
Ma questa è ormai
storia. L’altro giorno ho parlato agli studenti del primo anno universitario in
una facoltà del Veneto. La gran parte di loro nemmeno sapeva che c’era stato un
11 settembre 2001. A riprova del fatto che il mainstream – quanto a copertura (nel
senso proprio di coprirli per impedire che si vedano) degli eventi reali - è
più efficace di un monastero di clausura.
Quello che accade in
questi giorni è dunque poca cosa rispetto a eventi di quella portata.
Spiccioli, loose change, direbbero gli americani. Ma gustosi. Prendiamo per
esempio le bombe di Boston. Ho seguito con pignoleria le cronache americane (di
quelle italiane si poteva fare a meno essendo banalmente copiate da quelle),
per accorgermi, con curiosità crescente, che la storia ufficiale, minuto per
minuto, si allontanava dalla ragione per entrare nei meandri del più fitto
mistero, poi della più banale confusione, per infine perdersi nella menzogna
più spettacolare, del più trito grand guignol.
Il fatto che i due
“terroristi” fossero stati individuati così in fretta parrebbe dimostrare
grande efficienza dell’FBI di Boston. Se non fosse che, alcuni giorni dopo,
emerge dal New York Times che i due daghestan-ceceni erano tutt’altro che
sconosciuti allo stesso esimio Federal Bureau of Investigation. Il quale li
teneva sotto controllo da ben due anni. Sapeva tutto di loro, li aveva già
interrogati, aveva seguito con la massima cura il ritorno in patria di Tamerlan
(una “patria” che gli era quasi sconosciuta visto che aveva passato tutta la sua
giovinezza negli Stati Uniti, ma opportunamente riportata in primo piano,
guarda caso, proprio, si può dire, alla vigilia dell’attentato).
Vengono alla mente i
viaggi di Lee Harvey Oswald a Cuba e poi nell’allora Unione Sovietica. Fatti
apposta, con largo anticipo, allo scopo trasparente (ma il mainstream non vede
le cose trasparenti, vallo a spiegare a Vittorio Zucconi!) di preparare la
tesi, subito poi abbandonata, che Oswald fosse stato inviato dal KGB a uccidere
John Kennedy. Non ce ne fu bisogno perché si trovò presto Jack Ruby che fece
fuori Oswald con due colpi di pistola di fronte alle telecamere americane. Per
poi morire “di cancro”, a sua volta, prima che un processo potesse chiarire
come mai aveva sparato a Oswald. Il quale ultimo, prima di spirare, si accorse
– e lo disse – di essere stato un “capro espiatorio”.
Ma questa è una
parentesi. Passano i giorni e non viene fuori una sola motivazione che avrebbe
potuto spingere i due fratelli Tsarnaev, il giovane Dzhokar e il poco più
anziano Tamerlan, a mettere le bombe. Mentre scrivo – e sono già trascorse due
settimane abbondanti – ancora non c’è una motivazione, una rivendicazione, uno
straccio d’idea in materia. Quello che conta è la loro “origine cecena”. Si sa,
i ceceni sono cattivi e terroristi per doppia definizione: la seconda è che
sono islamici. Uno dei due è stato ufficialmente ammazzato subito dopo
l’attentato in un “conflitto a fuoco”, e dunque non parlerà più. L’altro,
Dzhokar, è stato trovato ferito e non armato, ma pare che non potrà più parlare
essendosi inflitto da solo una ferita ammutolente. Per lo meno così ha
dichiarato il sindaco di Boston, Thomas M. Menino. In ogni caso, per evitare
che possa un giorno dire cose sconvenienti, si sta ancora valutando
l’opportunità di trattarlo come “potenziale nemico combattente” (guarda che
fantasia!), in modo che possa essere interrogato al di fuori del sistema legale
garantito (per ora) a tutti i cittadini, senza la presenza di un legale e senza
essere stato avvertito - pensate ! – che egli potrebbe “involontariamente
autoaccusarsi” (International Herald Tribune, 22 aprile 2013).
Nel frattempo
dilagano sui giornali le ricostruzioni di tutti gli attentati effettuati dai
ceceni in diverse città della Russia nel corso degli ultimi vent’anni. Pagine e
pagine, ma non si riesce a capire cosa c’entri Beslan, o Mosca, con questa
faccenda di Boston. Non ci si riesce perché nessuno riesce a trovare alcun
nesso decente. Ma così si fanno i giornali e così si sparano le notizie in tv.
Attentati molto sanguinosi, come sappiamo, ma servono a insinuare sottopelle
l’idea – razzista - che da quelle parti è “logico” che nascano terroristi. Per
altro il giovane Tsarnaev, seppure la famiglia sia di origine cecena, è nato in
Daghestan e fu subito trasferito negli Stati Uniti, dove viveva da molti anni,
piuttosto floridamente. E – riferiva uno dei suoi professori alla Darthmouth
University of Massachusetts, il professor Bryan Glin Williams - ne sapeva così
poco della sua “patria” che, richiesto di scriverne, andò a chiedere
informazioni al proprio docente. Terrorista, dunque, ma anche ignorante. Al
massimo si potrebbe concludere che ce l’avesse con i russi, che avevano
deportato i ceceni in Asia Centrale, ai tempi di Stalin. E, dunque, se avesse
voluto mettere bombe, sarebbe andato a Mosca. Dove, in ogni caso, non avrebbe
potuto far saltare in aria altro che la tomba di Stalin. Tutto salvo mettere
bombe a Boston: non si riesce a capire il perché.
Dovrebbe essere già
chiaro fin d’ora che, in questa storia delle due bombe di Boston, ci sono
troppe oscurità per essere bevuta tale e quale. Eppure mai che qualche
giornalista, sia locale che nostrano, avanzi qualche sospetto. Tutti allineati
e coperti. I buchi e le voragini di questa storia sono talmente evidenti che un
normale professionista non può non accorgersene. Invece vengono allineate, per
il colto e l’inclita, ondate di interrogativi sui possibili legami tra i
fratelli Tsarnaev e la famosa, ma ormai in disuso, Al-Qa'ida. Solo Giovanna
Botteri, ogni sera, tirava fuori questa tesi, caldeggiata dalla altrettanto
famosa, e non per caso, ammiraglia televisiva mondiale detta CNN. Salvo poi
riferire improvvisamente, una sera, agli assonnati telespettatori del TG3Notte,
che la CNN si scusava pubblicamente per avere raccontato troppe frottole nei
giorni precedenti. Frottole dovute alla fretta, naturalmente, raccontate in
buona fede, niente malizia. E la Botteri ne approfittava, insieme al Mannoni
sonnecchiante, per tessere le lodi della CNN, capace di emendarsi dei suoi
errori. Vedi come funziona bene il mainstream? Dobbiamo inchinarci anche quando
mente. Infatti mente con sincerità.
Tuttavia, nonostante
le scuse e le rettifiche, le cose che non quadrano si moltiplicano. I due
bombaroli daghestan-ceceni avrebbero appena massacrato un po’ di persone con
pentole a pressione piene di esplosivo (pare) – non senza essere accuratamente
fotografati, insieme, sul luogo del delitto; ed eccoli andarsene in giro per la
città, trasformata in zona di guerra (e resterà in quelle condizioni per dieci
giorni consecutivi anche dopo la liquidazione fisica del “commando ceceno”),
fino ad ammazzare, senza apparente motivo, che non fosse quello di appropriarsi
della sua pistola, un giovane poliziotto di guardia all’università, che se ne
stava quietamente seduto nella sua auto di servizio. Ma non erano già armati?
E, essendo ricercati da migliaia di agenti, non sarebbe stato più logico che se
ne stessero rintanati da qualche parte? No. Sparacchiano e assaltano
automobili. A un certo punto della serata, non si sa a che ora, un giovanotto
(uno solo, e l’altro dov’è?) – che, tanto per far capire bene chi era, si
dichiara subito come l’autore dell’attentato di poche ore prima - assalta un
SUV e si fa portare in giro per Boston e dintorni. Il giovane esibisce una
pistola, mostra al terrorizzato conducente che c’è un colpo in canna, si vanta
delle sue gesta. Tutto questo lo sappiamo dalla “dichiarazione giurata” del
conducente del SUV. Di cui però non viene rilasciato il nome e il cognome. Ma
deve trattarsi di persona coraggiosa, poiché riesce a fuggire al suo rapitore
durante la sosta in una stazione di servizio. Poi la sparatoria con i
poliziotti, in cui Tamerlan viene ucciso, mentre Dzhokar riesce a fuggire.
Solo che emerge dal
web un filmato in cui si vede benissimo un uomo completamente nudo che viene
infilato a forza in una vettura della polizia. E’ notte, le immagini sono
poche, ma i fari delle auto della polizia e le luci roteanti rosse e blu sono
sufficienti a mostrare con nitidezza la scena. C’è anche, sul web, la
dettagliata intervista di una televisione locale a un testimone oculare del
fatto. Il giovanotto non risulta ferito. Si muove agevolmente, si copre le
pudenda con le mani. E’ aitante, sicuramente giovane. Chi è? Perché è nudo?
Possiamo ipotizzare che i poliziotti che l’hanno arrestato lo abbiano spogliato
completamente per eliminare il timore che fosse imbottito di tritolo? Penso che
sia un’ipotesi legittima. Forse hanno sbagliato persona? Forse. Ma la madre –
cui il filmato viene immediatamente mostrato - da Makhachkalà grida: “E’ mio
figlio, è Tamerlan!” . Inutile citare qui tutte le fonti. Basta andare su
youtube e se ne trovano a decine, l’una più sorprendente dell’altra. A riprova
che fabbricare attentati diventa sempre più difficile, nonostante la sorpresa.
Perché c’è sempre qualcuno che riprende le immagini, o che va ad analizzare le
immagini fornite dalle tv del mainstream, e scopre un sacco di cose che gli
operatori del mainstream, non informati preventivamente, hanno
involontariamente mostrato.
Ahinoi! Qualcosa è
andato storto. Se era Tamerlan, ed era vivo e nudo, allora non funziona più la
tesi dello scontro a fuoco con la polizia in cui è stato ammazzato. Va bene, da
qui non si può sapere niente e non possiamo concludere niente, sebbene il cuore
di una mamma, come ci è noto da De Amicis e da De Filippi (Maria) , non sbagli
mai. Tuttavia qualche giorno prima, del tutto inaspettatamente, si era aperta
un’altra pista tipo Al-Qa'ida. Mentre tutti gli Stati Uniti erano in stato di
allerta, in attesa di nuovi attentati dinamitardi (che non potevano più essere
opera di Tamerlan, defunto, e di Dzhokar, muto) ecco apparire le lettere al
ricino. Due per la precisione. Una addirittura inviata a Barack Obama, fermata
dai sistemi di controllo esterni alla Casa Bianca, e l’altra al senatore Roger
Wicker, repubblicano del Mississippi. Allora c’è una strategia di grandi
dimensioni, e l’America è sotto attacco? Oppure era una variante di contorno,
prevista per sviluppi di altro genere, come lo furono le lettere all’antrace
che apparvero nei giorni successivi all’11 settembre 2001?
Si ricorda che le
indagini a proposito di quelle lettere portarono, dopo qualche anno, alla
scoperta che l’antrace era stato prodotto in un laboratorio militare
statunitense e la faccenda finì con qualche incriminazione e qualche suicidio.
Del ricino post Boston si sono invece perdute le tracce. Sebbene una
considerazione elementare dovrebbe indurci obbligatoriamente alla conclusione
che le lettere al ricino non potevano essere comunque il prodotto della furia
assassina dei fratelli daghestan-ceceni, e, dunque, che c’era qualcun altro a
tessere le fila. O, forse, si è trattato di una coincidenza, spettacolare come
tutto il resto. Se non fosse che – le coincidenze si moltiplicano – sempre sul
web si assiste a una girandola impressionante di testimonianze visuali che
dimostrano come sul luogo degli attentati siano avvenuti eventi assai strani.
Ci sono feriti che hanno perduto entrambe le gambe, maciullati dalle bombe, che
restano vivi nonostante ferite che provocherebbero il dissanguamento e la morte
in pochi minuti. Che vengono fotografati con grande dettaglio, con esibizione
di monconi sanguinanti e scomposti, ma che risulterebbero poi reduci di guerra
già regolarmente dotati di protesi. E’ il caso del colonnello Nick Vogt, (1-o.
battaglione del 5-o reggimento di fanteria, 1-a Brigata di combattimento
d’urto, 25-a Divisione di fanteria) che perdette le gambe mentre era in
combattimento a sud di Kandahar, Afghanistan. Il quale figurerebbe in molte
fotografie professionali come mostruosamente maciullato dalla bomba. Che ci
faceva Nick Vogt alla maratona di Boston? Cosa c’entrava tutto quel sangue
rappreso, tutti quei filamenti di carne, attorno ai suoi moncherini da gran
tempo cauterizzati? Ovviamente c’è chi giura che invece non è lui. Ma è lecito
pretendere un’indagine che chiarisca i tanti punti controversi, come questo.
Si vedono (prima
delle bombe) massicci personaggi che sembrano telefonare. Giubbotti neri,
pantaloni beige, scarponi beige, con grossi zaini militari appesi alle spalle.
Hanno l’aria di guardinghi poliziotti in borghese, ma quei grossi zaini neri
non si spiegano con le funzioni di vigilanza (che poi, va detto, non ha
funzionato affatto, come gli eventi hanno dimostrato). Ma probabilmente non
erano là per vigilare. Risultano vestiti come i Navy Seal, ma non sono
poliziotti, né militari. Hanno l’aria di una squadra di “contractors”,
mercenari che stanno svolgendo “altre funzioni”. Se ne vedono ben cinque, tutti
con la stessa divisa, e alcuni portano distintivi di una organizzazione che
risponde al nome di Craft e che ha un motto davvero eloquente: “Despite what
your mamma (sic!) told you… Violence does solve problems” (A differenza di ciò
che ti ha detto la mamma… la violenza risolve i problemi). Dopo l’esplosione si
vede un altro giovanotto che se la dà a gambe ad alta velocità e con destrezza,
molto sano, molto atletico, con i pantaloni sbrindellati. Una telecamera lo
insegue, e lo vede sparire tra la folla. Uno degli attentatori? Ma vi pare che
l’attentatore se ne va a spasso a pochi metri (pantaloni sbrindellati) dalla
bomba che ha appena piazzato?
In uno di questi
filmati vengono ingranditi i due dispacci del Boston Globe che, uno dietro
l’altro, raccontano la verità pochi minuti prima della tragedia. Ecco il primo:
“Officials: there will be a controlled explosion opposite the library within
one minute as part of bomb squad activities” (Funzionari: ci sarà tra un minuto
una esplosione controllata di fronte alla biblioteca come parte delle attività
di una squadra di artificeri). Ecco il secondo: “Breaking News: police will
have controlled explosion on 600 block on Boylston Street” (Ultime notizie: la
polizia effettuerà una esplosione controllata al n. 600 di Boylston Street).
Ma, scusate, vi pare credibile che la polizia effettui “esplosioni controllate”
nel bel mezzo di una manifestazione piena di gente?
Ho impiegato diverse
ore a esaminare con cura decine di questi filmati. Alcuni sono palesemente
“fake”, prodotti da dilettanti che si lanciano in analisi improbabili. Altri
potrebbero essere prodotti “fake”, fatti apposta per creare confusione e
screditare prodotti più seri. Altri sono prodotti opinabili, ma costituirebbero
materiale importante in una inchiesta degna di questo nome. Infine ce ne sono
parecchi che – come quelli appena citati (e sono solo alcuni nel gran mare) –
forniscono le prove dell’inganno architettato a uso e consumo dei media che
dovranno diffonderlo in giro per il mondo. Chi c’è dietro questa messa in
scena? L’impressione del cronista è di trovarsi di fronte a una “rete canaglia”
di terroristi, strettamente legata a settori chiave del mainstream americano
Ora non ci resta che
aspettare che la sagacia dell’FBI, e della CIA, rimetta insieme i pezzi di questo
puzzle insensato. Ma non riusciamo a sottrarci all’impressione che i poveretti
Dzhokar e Tamerlan Tsarnaev siano da includere nella lunga lista dei “capri
espiatori”. Quanto alle coincidenze esterne non sarà inutile ricordare che,
proprio quel giorno dell’attentato di Boston, Barack Obama subì la sconfitta,
nel Senato, del suo progetto di legge di limitazione delle vendite di armi ai
cittadini americani. Magari non c’entra niente, ma io lo terrei presente.
Soprattutto terrei presente il fatto che quello stesso 16 aprile il New York
Times metteva in prima pagina un articolo, a firma Scott Shane, intitolato
così: “US tortured detainees after 9/11, report says” (Gli Stati Uniti hanno
torturato i prigionieri dopo l’11 settembre, così afferma un rapporto). Il
rapporto, di 557 pagine, meritava la prima pagina, onore al merito del New York
Times, essendo completamente bipartisan, firmato da due ex deputati con
esperienze di governo: un repubblicano, Asa Hutchinson, e un democratico, James
R. Jones. Sedici mesi di lavori, che presero avvio dopo che – scrive Scott
Shane – “il Presidente Barack Obama decise nel 2009 di non sostenere la
creazione di una commissione nazionale per indagare sui programmi
antiterroristici del post 9/11, come invece aveva proposto di fare il senatore
Patrick Leahy, democratico del Vermont, insieme ad altri. Obama disse allora
che egli preferiva «guardare avanti e non indietro»”. Cioè coprì le gesta del
suo predecessore, condividendone le responsabilità.
Come ha detto uno
che di queste cose se ne intende (tant’è che fu chiamato ad aiutare Cossiga nei
giorni del rapimento di Aldo Moro, tre volte nei centri vitali della sicurezza
nazionale degli Stati Uniti d’America), Steve Pieczenick, è del tutto evidente quali
titoli di giornali di tutto il mondo avrebbero potuto oscurare, relegandola nel
dimenticatoio, il giorno dopo, una notizia di queste dimensioni, che metteva
sotto accusa, direttamente, gli ultimi due presidenti degli Stati Uniti.
Infatti proprio così si è verificato. Nessun giornale italiano mainstream ha
riportato l’articolo del New York Times.
Ma c’è anche
un’altra interpretazione possibile, che non contraddice affatto le appena
citate. Due presunti terroristi daghestan- ceceni, subito catturati e messi in
condizioni di non nuocere, sono stati sufficienti per mettere letteralmente in
stato d’assedio, per una intera settimana, una grande città del Nord America.
Gli abitanti di Boston e dintorni sono stati bloccati nelle loro case, le
attività lavorative sono state fermate, la città è stata spenta e gettata nel
panico. Ha tutta l’aria di una “prova generale” per qualche cosa che si sta
preparando da tempo. Il programma dei 30 mila droni, destinati a pattugliare il
cielo degli Stati Uniti, sembra stato pensato in questa chiave: non (solo) per
abbattere i terroristi in ogni parte del mondo, ma per sorvegliare l’America in
nome della sicurezza dei cittadini.
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