18
maggio. E' di grande importanza questo Manifesto appena lanciato in
Spagna. Molti dei nostri lettori potrebbero dire che è la scoperta
dell'acqua calda. L'importanza sta nel fatto che esso è sottoscritto da
esponenti di spicco della sinistra radicale spagnola come Julio Anguita
(ex coordinatore di Izquiera Unida - nella foto) e Manuel Monereo,
nonchè da altri noti intellettuali del calibro di Miguel Riera. Ci
auguriamo che il manifesto ottenga il massimo numero di adesioni in
Spagna e che, in Italia, contribuisca ad aiutare tanti compagni a
liberarsi dal tabù per cui difendere la sovranità nazionale sarebbe...
di destra.
La rete in cui siamo presi è fatta da un livello di disoccupazione catastrofico, da un indebitamento del paese con l’estero impossibile da affrontare e da un’evoluzione dei conti pubblici che porta al fallimento economico dello Stato. Oltre 6 milioni di disoccupati, oltre 2.300 miliardi di euro di passivo lordi con l’estero, e un debito pubblico crescente di quasi mille miliardi di euro e che si avvicina al 100% del PIL,. Sono dati che definiscono un disastro inimmaginabile, mettono in pericolo la convivenza e distruggono diritti sociali fondamentali.
Una crisi di questa portata ha cause complesse e multiple, dalla crisi generale del capitalismo finanziario agli sprechi e alla corruzione, passando per un sistema fiscale tanto regressivo quanto ingiustamente applicato, ma, anche a rischio di semplificare l’analisi per scoprire le soluzioni, bisogna attribuire all’entrata del nostro paese nella moneta unica la principale ragione di questa desolante situazione.
Come ora si riconosce, non c’erano le condizioni per stabilire una moneta unica tra paesi tanto disuguali economicamente senza accompagnarle con una fiscalità comune. La sua creazione implicava, d’altra parte, un quadro propizio all’instaurazione di politiche regressive e antisociali di tutti i tipi secondo i dettami della dottrina neoliberista, che ha avuto nella costruzione dell’Europa di Maastricht la sua massima espressione. Come si è valutato a suo tempo, lo Stato del welfare non è compatibile con l’Europa di Maastricht.
Con l’entrata nell’euro, il nostro paese ha perso uno strumento essenziale per competere e mantenere un ragionevole equilibrio negli scambi economici con l’estero, quale era il controllo e la gestione del tipo di cambio rispetto al resto delle monete. D’altra parte, c’è stata una cessione di sovranità a favore della BCE in quanto a liquidità e applicazione della politica monetaria, un’istituzione dominata fin dalle origini dagli interessi del capitalismo tedesco.
Come non poteva essere diversamente, l’arretratezza e la debolezza dell’economia spagnola rispetto ad altri paesi e la rigidità assoluta imposta dall’euro hanno condotto durante gli anni 2000 a un deficit della bilancia dei pagamenti a causa di una spesa corrente opprimente. Si sono registrati squilibri insostenibili, come pure è accaduto ad altri paesi come la Grecia e il Portogallo, catturati nella stessa trappola. Nei 14 anni trascorsi dalla creazione dell’euro nel 1999 fino alla fine del 2012, il deficit estero accumulato è stato di quasi 700 miliardi di euro, che si è dovuto finanziare indebitandosi con l’estero. Gli enti creditizi e le imprese spagnole hanno chiesto più di altri mille miliardi di euro di risorse per i propri piani d’investimento all’estero, specie in America Latina.
Fino all’anno 2008, in cui si è manifestata la crisi finanziaria internazionale, a causa delle agevolazioni straordinarie dei finanziamenti, il paese ha vissuto un sogno, come drogato, alimentando la bolla immobiliare e estraneo ai problemi che si erano generati. In quell’anno, tutto è cambiato radicalmente, i mercati finanziari di sono chiusi, dai canali non fluiva liquidità e la situazione di ciascun debitore è stata esaminata con rigore. Con il brusco cambiamento nella posizione debitoria della nostra economia nei confronti dell’estero, i passivi lordi sono passati da 540 miliardi a fine del 1998 a 2.200 miliardi nel 2008, il paese è entrato in fallimento ed è sopravvenuta una profonda recessione che a tutti gli effetti è ancora vigente.
USCIRE DALL’EURO
La drammatica
situazione sociale ed economica in cui è sprofondata la nostra società esige
una politica capace di creare le condizioni per uscire dalla crisi. È una
necessità urgente. Il tempo è un dato primario per i rischi di aggravamento e
degradazione che esistono, per l’enorme sofferenza sociale provocata dal
persistere delle politiche di tagli, austerità e privatizzazione del pubblico.
La rete in cui siamo presi è fatta da un livello di disoccupazione catastrofico, da un indebitamento del paese con l’estero impossibile da affrontare e da un’evoluzione dei conti pubblici che porta al fallimento economico dello Stato. Oltre 6 milioni di disoccupati, oltre 2.300 miliardi di euro di passivo lordi con l’estero, e un debito pubblico crescente di quasi mille miliardi di euro e che si avvicina al 100% del PIL,. Sono dati che definiscono un disastro inimmaginabile, mettono in pericolo la convivenza e distruggono diritti sociali fondamentali.
Una crisi di questa portata ha cause complesse e multiple, dalla crisi generale del capitalismo finanziario agli sprechi e alla corruzione, passando per un sistema fiscale tanto regressivo quanto ingiustamente applicato, ma, anche a rischio di semplificare l’analisi per scoprire le soluzioni, bisogna attribuire all’entrata del nostro paese nella moneta unica la principale ragione di questa desolante situazione.
Come ora si riconosce, non c’erano le condizioni per stabilire una moneta unica tra paesi tanto disuguali economicamente senza accompagnarle con una fiscalità comune. La sua creazione implicava, d’altra parte, un quadro propizio all’instaurazione di politiche regressive e antisociali di tutti i tipi secondo i dettami della dottrina neoliberista, che ha avuto nella costruzione dell’Europa di Maastricht la sua massima espressione. Come si è valutato a suo tempo, lo Stato del welfare non è compatibile con l’Europa di Maastricht.
Con l’entrata nell’euro, il nostro paese ha perso uno strumento essenziale per competere e mantenere un ragionevole equilibrio negli scambi economici con l’estero, quale era il controllo e la gestione del tipo di cambio rispetto al resto delle monete. D’altra parte, c’è stata una cessione di sovranità a favore della BCE in quanto a liquidità e applicazione della politica monetaria, un’istituzione dominata fin dalle origini dagli interessi del capitalismo tedesco.
Come non poteva essere diversamente, l’arretratezza e la debolezza dell’economia spagnola rispetto ad altri paesi e la rigidità assoluta imposta dall’euro hanno condotto durante gli anni 2000 a un deficit della bilancia dei pagamenti a causa di una spesa corrente opprimente. Si sono registrati squilibri insostenibili, come pure è accaduto ad altri paesi come la Grecia e il Portogallo, catturati nella stessa trappola. Nei 14 anni trascorsi dalla creazione dell’euro nel 1999 fino alla fine del 2012, il deficit estero accumulato è stato di quasi 700 miliardi di euro, che si è dovuto finanziare indebitandosi con l’estero. Gli enti creditizi e le imprese spagnole hanno chiesto più di altri mille miliardi di euro di risorse per i propri piani d’investimento all’estero, specie in America Latina.
Fino all’anno 2008, in cui si è manifestata la crisi finanziaria internazionale, a causa delle agevolazioni straordinarie dei finanziamenti, il paese ha vissuto un sogno, come drogato, alimentando la bolla immobiliare e estraneo ai problemi che si erano generati. In quell’anno, tutto è cambiato radicalmente, i mercati finanziari di sono chiusi, dai canali non fluiva liquidità e la situazione di ciascun debitore è stata esaminata con rigore. Con il brusco cambiamento nella posizione debitoria della nostra economia nei confronti dell’estero, i passivi lordi sono passati da 540 miliardi a fine del 1998 a 2.200 miliardi nel 2008, il paese è entrato in fallimento ed è sopravvenuta una profonda recessione che a tutti gli effetti è ancora vigente.
Il settore pubblico
ne ha risentito profondamente da allora, incorrendo in un deficit esorbitante a
causa della drastica caduta delle entrate, rafforzata dall’esplosione della
bolla immobiliare. Lo Stato, sul quale finiscono per scaricarsi tutte le
tensioni delle amministrazioni pubbliche, ha avuto necessità di centinaia di
milioni di euro, ottenuti con l’emissione di debito pubblico nei mercati
interni ed esterni, di fronte all’impossibilità di finanziare direttamente per
mezzo delle propria autorità monetaria. Alla fine del 2007, il debito
circolante dello Stato era di 307 miliardi di euro, il 37% del PIL. Alla fine
del 2012 era salito a 688 miliardi, il 65% del PIL, e continua ad aumentare in
corrispondenza dell’evoluzione deficitaria dei conti pubblici.
Da quando è stata
ammessa la crisi, la politica economica ha mantenuto alcuni tratti di base
inamovibili. La perdita di competitività dell’economia spagnola è servita come
scusa per applicare rigorosamente le ricette neoliberiste e si è cercato di
compensare con il cosiddetto “aggiustamento interno”, un processo diretto a
diminuire i salari e favorire i licenziamenti per diminuire il prezzo delle
merci e dei servizi spagnoli, dal momento che la via naturale e storica della
svalutazione della moneta è impedita dall’euro. Restrizioni, controriforme del
lavoro e tagli continui marcano la politica degli ultimi anni. D’altro canto,
la cosiddetta austerità si è imposta brutalmente nella politica fiscale, come
esigenza dei poteri economici, facendo della lotta contro il deficit pubblico
il talismano ingannevole della soluzione alla crisi.
Questa politica ha
prodotto una retrocessione sociale molto dolorosa, ha dato un impulso
incontenibile alla crescita della disoccupazione e, cosa fondamentale, è
inutile. Il paese scivola senza freni e precipita in un baratro profondo. Gli
agenti determinanti della crisi continuano intatti, quando non peggiorano. I
passivi esteri non possono diminuire senza che si registri un eccedente nella
bilancia di pagamento, cosa praticamente irraggiungibile per un’economia
abbastanza demolita e scarsamente competitiva, e il pesante carico di debito
pubblico non smetterà di crescere fino a quando non si diluisca il deficit
pubblico, cosa che lo stesso governo non riesce a scorgere. La sfiducia è
generale.
La società è ad un
crocevia
Manuel Monereo
Come superare il
disastro? L’alternativa alla crisi difesa dalla Troika e apertamente dal PP
passa per l’inasprimento dei tagli, per l’austerità e la distruzione del
pubblico. L’economia spagnola, come è già successo in Grecia e Portogallo, cade
nel precipizio e sprofonderà nell’abisso, con conseguenze sociali drammatiche e
rischi politici di ogni segno.
Il PSOE,
compartecipe attivo nell’attuale disegno economico e sociale, finge ora un
disaccordo con il PP e critica la sua politica suicida, ma continua ad essere
legato al criterio che l’euro è irreversibile.
Le direttive dei
sindacati maggioritari, una volta appurato l’errore di calcolo commesso con il
consenso critico a Maastricht, denunciano ora l’attuale stato di cose, ma non
sono in condizione di proporre misure anticrisi realmente efficaci dal momento
che non mettono in discussione con coerenza l’Europa costruita.
Altre forze,
organizzazioni e autori di sinistra criticano l’Europa attuale e propongono
cambiamenti abbastanza utopistici e progetti senza fondamento, dato il carattere
non riformabile dell’Europa sorta, soprattutto dopo l’ampliamento della zona
euro all’Est. Alle carenze originali della moneta unica si aggiunge il peso che
esige la Germania come paese egemone e la realtà di una scomposizione
dell’Europa, imprigionando alcuni paesi con debiti impagabili.
L’imprescindibile e urgente necessità di rompere i vincoli dei Trattati europei
non può paralizzarsi né nascondersi dietro progetti di altra natura. Per
desiderabile che sia un’altra Europa, per ora non è percorribile, richiede basi
molto diverse su cui fondarsi e la sovranità perduta di ciascuno Stato.
Il fallimento del
progetto di costruzione dell’Europa è inoccultabile, e non è possibile
determinare quando e come rovinerà l’insostenibile situazione esistente.
A noi firmatari di
questo manifesto sembra chiaro che l’Europa di Maastricht non potrà
sopravvivere con la sua attuale configurazione, dopo i disastri e le sofferenze
che ha causato, oltre ad aver svuotato di contenuto la democrazia ed aver
sottratto la sovranità popolare.
Affermiamo pure che
il nostro paese non può uscire dalla crisi nel quadro dell’euro. Senza moneta
propria e senza autonomia monetaria è impossibile far fronte al dramma sociale
ed economico, tanto più che pure la politica fiscale è stata annullata dal
Patto di Stabilità, proditoriamente costituzionalizzato.
È necessaria una
moneta propria per competere e una politica monetaria sovrana per somministrare
liquidità al sistema e stimolare una domanda ragionevole. E questo come prima
condizione ineludibile, però non sufficiente, per poter sviluppare una politica
avanzata di controllo pubblico dei settori strategici dell’economia, di
nazionalizzazione delle banche, di ricostruzione del tessuto industriale e
agricolo, di difesa e potenziamento dei servizi pubblici fondamentali con un
potente e progressivo sistema fiscale, di ammortizzamento delle disuguaglianze
e distribuzione della ricchezza, di ripartizione del lavoro per combattere la
disoccupazione, di deroga delle controriforme del lavoro e delle pensioni, di
rispetto vero verso l’ambiente, ecc…, e di affrontare un processo costituente
che permetta di recuperare e approfondire la democrazia. Per tutto ciò bisogna
lasciare da parte transitoriamente il deficit pubblico, dimenticarsi di fare proposte
impossibili alla BCE e smetterla di avere nostalgia della Riserva Federale o
della Banca d’Inghilterra quando si può disporre della Banca di Spagna come
istituzione equivalente.
L’ammontare del
debito estero è insolvibile. La maggior parte è debito del settore privato, e
tocca a chi l’ha contratto risolvere i problemi che si presentino, incluso il
settore finanziario, molto compromesso. Perciò rifiutiamo qualsiasi operazione
di “riscatto” del nostro paese e per la stessa ragione consideriamo come debito
completamente illegittimo quello contratto dallo Stato per distribuire fondi di
salvezza per gli enti creditizi che non siano stati nazionalizzati.
Rispetto al debito
pubblico, lo Stato deve fare una profonda ristrutturazione dello stesso
(abbandono, moratoria, conversione in moneta nazionale) che allevi la pressione
schiacciante che subiscono i conti pubblici. Agendo diversamente, può
considerarsi come irrimediabile il fallimento del Settore pubblico.
Non ci sfuggono i
problemi e la complessità dei passi che proponiamo, tra gli altri limitare la
libera circolazione di capitali. E la nostra analisi non ci impedisce nemmeno
di collaborare con azioni, proposte e mobilitazioni con quella parte della
cittadinanza e le sue organizzazioni che, sotto effetto del bombardamento
mediatico cui siamo sottoposti o per altri motivi, ancora non condivide la
nostra opzione di fronte al crocevia in cui ci troviamo e la necessità di
rompere il nodo gordiano dell’euro. Senza dubbio, di fronte al disastro che ci
coinvolge e di fronte alle cause profonde che lo promuovono ed acutizzano, non
possiamo restare zitti né evasivi. A nostro modo d’intendere, oggi la società
spagnola, che è entrata in una agonia prolungata e senza speranza, non dispone
di altra scelta che uscire dall’euro per impedire lo sprofondamento definitivo
del paese.
Recuperare la
sovranità perduta, rendere effettiva la sovranità popolare, richiede di venire
fuori dai capestri che ci paralizzano, affrontare la dura realtà e dotarsi dei
mezzi per tracciare un progetto di sopravvivenza che, con tutte le difficoltà,
può rappresentare anche una grande opportunità per creare una società sovrana,
prospera, solidale, democratica, ecologicamente responsabile e libera.
Primi firmatari:
Julio Anguita/
Sebastián Martin Recio/ Diosdado Toledano/ Héctor Illueca/ Salvador López
Arnal/ Joaquín Miras/ Juan Rivera/ Miguel Riera/ Andrés Piqueras/ Miguel
Candel/ Alberto Herbera/ Isabel de la Cruz/ Rodrigo Vázquez de Prada/ Manuel
Muela/ Rosario Segura/ Juan Montero/ Leonel Basso/ Joan Tafalla/ Manuel
Monereo/ Antonio Gil/ Manuel Cañada/ Santiago Fernández Vecilla/ Carlos
Martínez/ Pedro Montes
* Fonte:
controlacrisi.org
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