UN ALTRO TITOLO PER INTRODURRE L’ARGOMENTO
«IL NOSTRO LAVORO ERA METTERE IL BAMBINO NEI RIFIUTI». IL VIDEO SULL’ABORTO CHE SCIOCCA L’AMERICA
In America il caso di Kermit Gosnell, il medico abortista
condannato all’ergastolo il 14 maggio per l’omicidio di diversi bambini e di
una donna, ha messo sotto gli occhi di molti l’atrocità della legislazione
abortista. Gosnell è stato dipinto come un mostro, ma stanno emergendo altri
casi simili, che mostrano che quanto avveniva nella sua clinica non è
un’eccezione.
A
rivelarlo il documentario di Lila Rose che, fingendosi incinta, ha girato i
centri abortisti di diversi Stati. In questi giorni è gira sul web un video
dell’organizzazione pro vita Life Dynamics, in cui vengono intervistate tre
assistenti della Aaron Women’s Clinic di Huston diretta da Douglas Karpen, in
cui appare chiaramente la normalità con cui ormai si compiono crimini disumani.
Grazie a questo filmato ieri è stata aperta un’indagine sul medico. Qui sotto
il testo del video, girato lo scorso 3 maggio, in cui ancora non appare il nome
di Karpen
Il 13 di maggio, Kermit Gosnell, un medico abortista della
Pennsylvania, è stato condannato per l’omicidio di diversi bambini. Durante il
processo i testimoni hanno dichiarato che i bambini che sopravvivevano
all’aborto di Gosnell, poi venivano uccisi fuori dal grembo materno. Anche se i
media e la lobby abortista stanno dipingendo il caso come isolato, il movimento
pro life è cosciente dell’esistenza di storie simili.
Il 3 maggio 2013 sono state intervistate tre dipendenti di
una clinica abortista di un altro Stato. Le tre donne appaiono coi loro nomi
reali, ma l’identità del medico e della clinica sono stati nascosti per non
compromettere le indagini criminali relative al caso. Nel momento in cui il
video è stato realizzato, la clinica abortiva in questione rimaneva aperta. Di
seguito riportiamo una nostra traduzione delle parole dei tre dipendenti.
Le tre assistenti della Aaron Women’s Clinic di Huston
Deborah Edge: Ero un’assistente. Ho fatto di tutto nella
clinica e uno dei miei compiti era di essere la sua (del medico,ndr) prima
assistente. Facevo attenzione, ma non sapevo che fosse illegale. Quando
praticava un aborto oltre le 22 settimane accadeva quasi sempre che il feto
uscisse completamente dalla pancia della madre prima che lui gli tagliasse il
midollo spinale o introducesse uno degli strumenti chirurgici per afferrare il
cranio del bambino e ucciderlo. Non ero cosciente dicevo: “Bé è un aborto,
questo è quello che succede”, ma non sapevo che era illegale. In molte
occasioni usava questo processo: dilatava l’utero e poi lo evacuava. La maggior
parte delle volte vedevamo il feto che usciva completamente dal grembo materno
e che era certamente vivo perché si muoveva e dalla cassa toracica si capiva
che respirava: quello era il momento in cui lui gli rompeva il midollo spinale
e anche la scatola cranica, prendeva il forcipe o il dilatatore e lo conficcava
nel cranio del feto…
Domanda: Lei ha visto succedere questo?
D.E: Oh sì credo tutte le mattine… se avevamo 20 aborti di
questi sono sicura che da tre a quattro nascevano vivi prima di essere
assassinati.
Domanda: Lei vedeva il bambino vivo ucciso fuori dal grembo.
D.E: Sì, anche che lui gli torceva la testa con le sue mani.
Domanda: Lei ha visto questo?
D.E: Sì signore.
Krystal Rodriguez: Qualche volta lo introduceva anche nello
stomaco.
Domanda: Cosa?
K.R: Usava il forcipe dentro lo stomaco.
Domanda: Lei ha visto questo?
K.R: Sì.
D.E: Usava qualsiasi cosa che fosse veloce.
Gigi Aguilar: Ti ricordi quella volta che il feto uscì ed
era vivo e aprì i suo occhi e afferrò le sue mani?
Domanda: Cosa è successo?
D.E: Pensava che fosse morto invece il bambino ha aperto gli
occhi e ha aperto le mani afferrando le sue (del medico, ndr). Poi è seguita la
procedura.
G.A: Era vivo, lui pensava non lo fosse: era pronto a
metterlo nella sacca ma…
Domanda: E parlò di questo.
K.R: Non parlava mai di queste cose, non faceva commenti…
noi prendevamo il feto e lo mettevamo nella sacca e quando la aprivamo, mio
Dio, rimanevamo incredule da quanto fosse grande ed eravamo sudate perché ci
voleva quasi un’ora: praticare l’aborto di un bambino tanto grande è davvero
dura. A volte non riusciva a tirarlo fuori tutto, allora lo tirava fuori pezzo
per pezzo e c’era tutto il pavimento sporco di sangue. Ci sono state occasioni
in cui alcune donne in travaglio arrivavano durante la notte con i crampi e
venivano alla clinica e gli davano queste pillole chiamate Cytotec: dopo un’ora
circa facevano effetto e l’utero cominciava a contrarsi. In molti casi le donne
correvano in bagno e in alcune occasioni partorivano il figlio nel water. Una
addirittura partorì prima di arrivare qui. Ne fu data anche notizia: lasciò il
figlio nel McDonald’s prima di arrivare e nessuno sapeva di chi era, ma noi
sapevamo che era di una nostra paziente.
G.A: Ti ricordi quella donna che ha avuto il figlio nel
corridoio?
Domanda: Cosa è successo a quel bambino?
K.R: Lo ha preso con un panno e lo ha buttato nella
pattumiera.
D.E: Ricordo i piedi dei bambini muoversi e mi irritava: lui
gli teneva i piedi, inseriva il forcipe dentro l’utero, stringeva il cranio del
bambino e vedevi che le dita dei piedini si aprivano di scatto. Pensavo: “Oh
mio Dio e poi le persone dicono che loro non sentono”. Ma come non sentono?
Spesso ci guardavamo tra noi assistenti, ci scendevano le lacrime e ci
dicevamo: Ma perché? Lui è così avido, pensavo. Per una aborto come quello si
pagano quattrocento o cinquecento dollari
K.R: Se i pazienti pagavano lui faceva questi aborti.
Domanda: E tu hai mai assistito?
K.R: Sì e ricordo che dicevo: «Non voglio entrare, non
voglio». E lui: «Tu puoi farcela e se non riesci gira la faccia di là».
D.E: Spesso voleva fossi io a rispondere al telefono, perché
sapeva che ero brava a parlare con le pazienti, così da convincerle a venire
nella clinica… ma ci sono molte altre cose: spesso feriva le pazienti, lacerava
gli uteri o le loro cervici senza dirglielo e quando venivano il giorno dopo le
medicava, ma senza spiegare loro che aveva l’utero lacerato.
G.A: E se c’erano pazienti che facevano troppe domande
preferiva che le addormentassimo.
D.E: L’unico commento che faceva era per ricevere altri
soldi, la donna sentiva male? Mi diceva: «Vai a parlarle e dille che ha bisogno
di essere addormentata». Non avevano scelta e dovevano poi pagare per
l’intervento.
Domanda: Quindi tutti sapevano quello che succedeva, non
solo voi.
G.A: Sì, tutti sanno.
D.E: Le donne che entravano qui non sapevano a cosa andavano
incontro. Molte domandavano se loro figlio avrebbe sentito male e mi arrabbiavo
perché mi dicevo: «Ma perché questo dovrebbe importarti se vieni qui a uccidere
tuo figlio?». Perché farsi questa domanda? Certo qualcuno avrebbe potuto
rispondere: «Sì, sente!», ma non era il nostro lavoro dirlo. Il nostro lavoro
era mettere quella persona nel sacchetto dei rifiuti.
Dopo il processo del medico abortista Kermit Gosnell e i
numerosi casi simili emersi in seguito, la verità sulla pratica dell’aborto
negli Stati Uniti sta uscendo allo scoperto dopo quarant’anni dalla
legalizzazione. Per questo Trent Franks, deputato repubblicano, ha proposto di
estendere a tutta la nazione una legge per proteggere i bambini non nati ora
vigente nel Distretto di Columbia. Se la norma passasse l’aborto sarebbe
vietato oltre la ventesima settimana di gravidanza in tutti gli Stati Uniti. Le
testimonianze a favore della proposta di legge Franks riportate venerdì scorso
davanti al Congresso americano sono scioccanti.
LA REGOLA. Gli interventi di medici ed esperti hanno
confermato che il caso di Gosnell non è un’eccezione ma la norma. Fra i primi a
parlare c’è stato Anthony Levantino, ex abortista che tra il 1981 e il 1985 ha
praticato 1.200 aborti, di cui 100 oltre la 24esima settimana di gravidanza.
«Immaginate di essere un ginecologo pro choice come lo ero io», ha cominciato
il medico. «La vostra paziente è alla 24esima settimana di gravidanza. Se
riusciste a vedere il bambino, come mostra l’ecografia, lo vedreste grande,
dalla testa al sedere escluse le gambe, una volta e mezza la vostra mano». La
paziente, ha ricordato Levantino, sente il figlio scalciare da due mesi, «ma
ora è addormentata in sala operatoria e voi siete lì per risolvere il suo
“problema”». Il medico ha poi mostrato un forcipe d’acciaio lungo 33
centimetri: «Serve a prendere e distruggere i tessuti. Il bambino può essere in
qualsiasi posizione dentro il ventre materno. Immaginatevi di raggiungerlo con
il forcipe e di afferrare tutto quello che potete (…), una volta che avete
preso qualcosa, lo comprimete con la morsa e tirate forte, molto forte».
Levantino si è soffermato a descrivere nei dettagli un’operazione faticosissima
in cui il bambino viene tirato fuori dall’utero pezzo per pezzo. La
testimonianza è durissima, «queste procedure sono semplicemente brutali», ha
continuato il medico, e «questo è ciò che avviene normalmente e che la vicenda
di Gosnell ha solo messo in luce».
IL DOLORE. Insieme al medico ha poi parlato Maureen Condic,
professore associato di Neurobiologia e di Anatomia all’Università dello Utah,
spiegando che i bambini iniziano a sentire dolore «dall’ottava settimana di
gestazione». La professoressa, autrice di numerose pubblicazioni scientifiche,
ha poi precisato che «il primo nucleo del sistema nervoso si forma dopo 28
giorni dalla fecondazione. Qui il cervello primitivo è già formato». Il che
significa che anche nei primissimi giorni «il cervello c’è e non è un ammasso
di cellule insensato». Condic ha chiarito che il primo circuito neuronale di
risposta al dolore è presente già all’ottava settimana. Il bambino dunque prova
dolore molto presto ed «è universalmente riconosciuto che nei primi tre mesi di
gravidanza può già sentire male». La neurobiologa ha concluso: «Fare male a
qualunque creatura umana è una crudeltà. E ignorare il dolore sperimentato da
un altro essere umano, per qualsiasi ragione, è una barbarie».
NON CI SONO PIÙ ARGINI. Infine, il repubblicano Trent
Franks, promotore della legge, ha mostrato le foto dei bambini uccisi in una
clinica abortiva simile a quella di Gosnell. Creature fatte e finite,
letteralmente massacrate. Il deputato ha quindi concluso: «Non so quanto questa
società e il mondo abbiano perso a causa dell’uccisione di 55 milioni di
piccoli bambini americani negli ultimi quarant’anni. Ma credo che se non si
ritiene sbagliato l’omicidio di un bambino innocente, allora tutto è permesso e
nulla è più sbagliato». Il timore è che, anche se passasse la norma, la Corte
d’appello la dichiari incostituzionale come ha già fatto con una legge simile
votata dal parlamento dell’Arizona. Finora sono intervenuti anche una ventina
di deputati fra cui il repubblicano Paul Broun: «Dobbiamo fermare l’aborto a
tutti i livelli. Ma se non riusciamo neppure a farlo quando i bambini provano
un dolore terribile e vengono sottoposti a una tortura tanto tremenda a cosa
potremo più opporci?».
P
IL CASO BEATRIZ A SAN SALVADOR. LOBBY (CON AMNESTY
INTERNATIONAL E L’ONU) MANIPOLANO LA REALTÀ PER INTRODURRE L’ABORTO
La vicenda di una ragazza salvadoregna di 22 anni è
utilizzata dalle lobby abortiste per introdurre una legge sull’interruzione di
gravidanza nel paese. Purtroppo, come sappiamo bene anche in Italia, il
canovaccio è sempre il medesimo: viene sollevato un caso controverso, si
manipolano i dati della realtà, si fa pressione mediatica sulle istituzioni
politiche per allargare in senso permissivo le normative sull’aborto.
PERICOLO DI MORTE. Beatriz, questo il nome di fantasia della
giovane, è alla 26esima settimana di gravidanza. Il figlio, secondo alcune
analisi, risulta anencefalico. Poiché in Salvador la legge non permette
l’interruzione di gravidanza, Beatriz si è rivolta al tribunale affinché le
fosse concesso di sottoporsi a un aborto terapeutico. Secondo i suoi legali, la
ventenne soffrirebbe di una grave malattia (il lupus) che, a causa della
gravidanza, ne metterebbe a repentaglio la vita.
Il suo caso è stato da subito sposato dalle lobby abortiste,
che hanno forzato la mano affinché la giovane fosse “salvata” a scapito della
vita del figlio. In particolare, la Planned Parenthood (Ippf), Amnesty
International Perù e Woman’s Link Wordwilde hanno chiesto che il governo
permetta ai medici «di eseguire un aborto sicuro e immediato per la
salvaguardia della vita di Beatrice». Secondo le tre associazioni occorreva
fare presto, perché la situazione era drammatica: «Il dottore dice che Beatriz
potrebbe morire». Come riporta oggi il sito la Bussola Quotidiana «anche l’Onu
non ha voluto mancare all’appello. Un team di esperti si è espresso il 26
aprile nei seguenti termini: “Questo caso esemplifica il bisogno urgente di
intraprendere un dialogo internazionale sulla legislazione in materia di
aborto, per considerare l’introduzione di eccezioni alle proibizioni generali,
specialmente in casi di aborto terapeutico e gravidanze frutto di stupro o
incesto”. Tra coloro che hanno redatto il documento delle Nazioni Unite figura
anche Juan E. Méndez, già noto per aver stilato un rapporto ufficiale dell’Onu
in cui si affermava che opporsi all’aborto significa torturare le donne».
Anche la spagnola Elena Valenciano, vicesegretaria generale
del Psoe, ha rivelato su Facebook di aver chiesto all’ambasciatore di El
Salvador in Spagna di interessarsi delle sorti della giovane «che può morire se
non le verrà praticato un aborto».
Le suddette lobby hanno richiesto l’intervento della Corte
Inter-Americana dei Diritti Umani e stanno facendo pressione sul presidente del
piccolo Stato affinché, con il caso di Beatriz, allenti le norme sull’aborto.
«SOTTO CONTROLLO». Ma la Corte suprema di giustizia, in base
alla conclusione dell’Istituto di Medicina Legale di San Salvador, ha respinto
la richiesta di Beatriz. Secondo gli esperti interpellati dalla Corte «non
esiste una ragione medica per interrompere la gravidanza» e il lupus è «sotto
controllo», quindi non ci sarebbe nessun pericolo di vita per la ragazza.
Così, tre giudici su cinque della Corte si sono espressi
contro l’interruzione. La giovane è tenuta sotto controllo e probabilmente si
opterà per un parto indotto o per un parto cesareo. Amnesty International ha
definito «vergognosa e discriminatoria» tale decisione, perché violerebbe i
«diritti umani» di Beatriz.
La vicenda ha, ovviamente, diviso l’opinione pubblica, con
una chiara presa di posizione da parte della Chiesa locale. Monsignor José Luis
Escobar Alas, arcivescovo di San Salvador, e la Conferenza episcopale hanno espresso
solidarietà a Beatriz, ma hanno invitato ad evitare strumentalizzazioni:
«Questo caso – hanno detto – non deve essere utilizzato per legiferare contro
la vita umana, in particolare contro i non nati».
Nessun commento:
Posta un commento