Votatosi alla vita religiosa nonostante la contrarietà del padre, consacrato sacerdote nel 1834, nel 1839 era entrato nella nascente Congregazione dei padri Maristi di Lione e in breve tempo era diventato il braccio destro del suo fondatore, padre Jean Claude Colin (1790-1875). Particolarmente devoto del Santissimo Sacramento, padre Eymard ebbe una intensa esperienza mistica durante un ritiro spirituale nel santuario di Fourvière, a Lione, nel 1851, dalla quale maturò il fermo proposito di farsi missionario dell’Eucarestia, fondando, nel 1856, una propria Congregazione, dedicata appunto al Santissimo Sacramento, la quale ebbe fin dall’inizio l’approvazione del vescovo della sua diocesi, e poi, nel 1863, anche quella del papa, Pio IX.
Ebbene: nella vita di San Eymard (canonizzato nel dicembre del 1962) vi sono, fin dall’infanzia, degli episodi misteriosi e inquietanti, che alludono ad una presenza incombente e minacciosa, avversa al percorso di crescita spirituale di questo grande figlio della Chiesa cattolica, dalla vita umile e poco appariscente: la presenza del Diavolo. Come, del resto, avviene per la vita di tanti altre anime sante. Se ne facciano una ragione gli intellettuali progressisti e modernisti, i quali sarebbero disposti, bontà loro, ad accogliere, se non la religione cristiana, almeno la storia della cristianità nel salotto buono della cultura da loro rappresentata e ovunque dominante, laicista e irreligiosa: è impossibile parlare dei santi senza parlare del sopranaturale e, pertanto, senza parlare di Dio e del Diavolo. E se ne facciano anche una ragione quei sedicenti cattolici, progressisti e modernisti anch’essi, i quali vorrebbero sbarazzare il campo dal soprannaturale (anche se non osano dirlo apertamente, o non del tutto) per conservare solo gli aspetti umani, visibili, e – naturalmente - ideologicamente orientati a sinistra, in modo da essere accolti in quei tali salotti e poter superare il loro complesso d’inferiorità nei confronti del “mondo”.
Due episodi, in particolare, si sono verificati nell’infanzia di san Eymard, che fanno pensare senz’altro a un tentativo diabolico di spaventare il futuro fondatore della Congregazione del Santissimo Sacramento e di allontanarlo, per tempo, dal suo proposito di votarsi interamente a Dio e di dedicarsi alla vira religiosa; episodi che ricordano altri fatti analoghi, ricordati nella biografia di altri grandi-piccoli santi, umili e nascosti, e tuttavia divenuti ancora in vita conosciutissimi per le loro preclare virtù spirituali: fra gli altri, possiamo ricordare san Jean-Marie Baptiste Vianney (1786-1859) e san Pio da Pietrelcina (1887-1968).
Ecco come lo stesso padre Eymard ha rievocato questi due episodi della sua infanzia (da: Q. Moraschini e M. Pedrinazzi, «San Pietro Giuliano Eymard, Apostolo dell’Eucarestia», Roma, Curia Generalizia dei Padri del SS. Sacramento, 1962, pp. 17-18 e 25-26):
«Un sensibile intervento diabolico, quando Giuliano aveva appena quattro anni, ci fa comprendere come il demonio prevedesse e, fin da allora, avesse paura della futura santità del Servo di Dio. “Quando ero piccolo – narrò un giorno all’amico Mayet – quel birbante me ne fece una! Avevo appena quattro anni e dormivo in un lettino nella camera della mamma. A un tratto sento una mano che mi afferra alla gola e mi stringe fino a strozzarmi. Grido alla mamma: - Mi strozzano! – E mi ricordo ch’io tenevo quella mano. La mamma non si muove e mi dice di dormire perché non c’è nessuno. Ma io non potevo: soffocavo proprio, tanto mi sentivo stringere. Finalmente mia madre venne. Tutto finì. Lei non vide nulla”. E siccome l’interlocutore, alquanto incredulo, attribuiva il fatto a un incubo: “Oh, aggiunse il Santo, se fosse stato un incubo, non me ricorderei in questo modo. Oggi, dopo cinquant’anni, mi pare di trovarmici ancora. So e vedo perfettamente tutte le circostanze: m’avevano coricato presto, era ancora giorno, non mi ero ancora addormentato e avevo piena conoscenza. Non si vide niente, è vero, ma io dovetti fare molti sforzi per liberarmi dalla orribile mano che mi afferrava. […]
Giuliano sentiva una tenera devozione verso la Madonna.
A circa 60 chilometri da La Mure, in fondo a una valle amena, tra alte montagne e una cornice di rocce a picco e di folte foreste, si trova una graziosa chiesetta: il Santuario del Laus.
Trae il suo nome dal latino “lacus”, lago, perché costruito sulle rive di un lago ora prosciugato.
La Madonna vi era apparsa il 29 settembre 1664 ad una umile figlia dei campi, Bernadetta Rancurel.
Per il nostro Santo era “il più bello e il più devoto fra i Santuari del mondo, dopo quello di Loreto”.
Da bambino aveva sentito raccontare la storia della Apparizione e dei miracoli e ne era stato incantato, e affrettava perciò col cuore il momento di potervisi recare. Solamente a dieci anni, dopo tante istanze, ottenne di andare a piedi, fino al Laus, e di rimanervi parecchi giorni. Era il periodo annuale dei pellegrinaggi e sperava di incontrarsi in qualche gruppo di devoti viandanti. Invece dovette fare, da solo, quasi tutto il cammino.
Il demonio lo aspettava al varco. Gli si presenta sotto l’aspetto d’un uomo orribile; vomita un torrente di bestemmie, e gli dice che non potrà sfuggirgli. “Mi batté – raccontava più tardi il Santo – col pretesto che avessi smarrito la strada, mentre ero sulla via maestra, e i suoi colpi non erano simili a quelli di un uomo ordinario: cadevano giù fitti come la grandine.
“Era dunque il diavolo?” gli domandarono. “Ma certo!” rispose.
Faceva freddo e alla sera fu costretto a chiedere alloggio presso una locanda. Il proprietario, per il gran numero di forestieri, gli offrì un posto sul granaio e una misera coperta, E Giuliano tremò tutta la notte senza poter dormire. Al mattino si alzò agile e fresco, lieto di aver sofferto qualcosa per la “Buona Madre”, che in giornata avrebbe pregato nel suo santuario.
Alcuni pellegrini si commossero al fervore straordinario del fanciullo e se ne presero cura per tutto il resto del viaggio. Uno di essi affermò: “Fummo edificatissimi del suo profondo raccoglimento negli otto giorni di ritiro da lui passati alla Madonna del Laus”.»
Due precisi interventi diabolici, dunque: uno all’età di soli quattro anni, l’altro quando Eymard ne aveva dieci; se ne deduce che il Diavolo ha una certa conoscenza del futuro e prende di mira le persone che più lo contrasteranno, fin da quando sono piccole, per tentare di ostacolare il loro cammino e distoglierle dalla vocazione futura. Come fanno i mafiosi e i camorristi, egli conosce solo la legge della violenza e conta sul fatto che, davanti ad essa, anche gli animi più coraggiosi possono vacillare, vengono assaliti da scrupoli e timori e, così, finiscono, talvolta, per piegarsi ai suoi disegni, rinunciando alla missione cui si sentono, o si sentiranno, chiamati. Ma, proprio come i mafiosi e i camorristi, essendo assolutamente incapace di pensare secondo un’altra logica, la logica dell’amore, il Diavolo non ha considerato che quelle violenze e quelle forme di intimidazione che sgomentano le persone deboli e paurose, finiscono, invece, per rafforzare la decisione dei forti: i quali accettano la sfida e, proprio perché vedono in essa un segnale chiaro, anche se indiretto, della via futura da percorrere, raddoppiano gli sforzi sulla strada della propria santificazione, confidando più che mai nell’aiuto di Dio.
I santi, infatti, non sono delle persone dalla tempra eccezionale in quanto uomini o donne, ma in quanto si riconoscono deboli e bisognosi di tutto, e, pertanto, confidando sommamente in Dio: senza riserve, senza quelle piccole astuzie che sono cosa normale in una prospettiva puramente umana. In una prospettiva puramente umana, ad esempio, è cosa normale risparmiare il poco che si ha, in previsione della penuria; ma nella luce della santità, che è fiducia illimitata verso la divina Provvidenza, non si tesaurizzano le cose materiali, né si risparmiano o si centellinano le energie spirituali, bensì le si distribuisce generosamente, perché si sa bene che non l’uomo, ma Dio provvederà a ricostituirle, finché sarà buona l’intenzione per cui esse vengono richieste; mentre non lo farà in alcun modo, se l’intenzione sarà egoistica, o dettata dal desiderio di mettersi in mostra e di sfoggiare un misero orgoglio narcisista.
Il primo episodio risale agli anni dell’infanzia più remota: vi sono persone che a stento possiedono ricordi di quando avevano quattro anni. Dunque, come si fa a credere al racconto di ciò che è accaduto a un bambino che aveva solo quattro anni e che, per giunta, si trovava disteso a letto, probabilmente semi-addormentato? Per una ragione molto semplice: che a vivere quella esperienza è stato un uomo sano ed equilibrato, che non l’ha mai più scordata e che, divenuto adulto, ha potuto descriverla nei minimi particolari, anche alla luce della sua cultura e della sua esperienza di vita sacerdotale. Egli ricorda ogni cosa, perfino il fatto che non fosse ancora tramontato il sole, ed è certo che non stava affatto dormendo: non si trattò, quindi, di un sogno, o meglio di un incubo, scambiato per una esperienza reale. Fu una esperienza assolutamente reale, anche se sua madre, che infine si accostò al lettino di suo figlio, non vide nulla, né avrebbe potuto: perché vi sono cose che si sottraggono agli occhi delle persone adulte e che soltanto i bambini possono vedere; tanto più se sono bambini destinati ad una vita di santità.
Il secondo episodio si è verificato quando Eymard aveva dieci anni: pur essendo ancora un bambino, era ormai verso la fine della seconda infanzia, e comunque, a quei tempi, un ragazzetto di quell’età, se posato e giudizioso, poteva anche domandare e ottenere di poter fare un pellegrinaggio al più vicino santuario mariano, come un vero ometto, senza essere accompagnato dai genitori: mangiando e alloggiando fuori casa, proprio come un adulto. Un bambino così assennato non era certo soggetto a imprudenze, stranezze o fantasticherie: i genitori si fidavano di lasciarlo andare, di dormire fuori casa, perché lo sapevano sufficientemente autonomo e responsabile. E proprio quel bambino fece la sua seconda esperienza del Diavolo: un uomo che si accompagnò a lui per un tratto di strada, che lo picchiò selvaggiamente, che lo investì con un profluvio di minacce, oltre che di tremende bestemmie. Voleva spaventarlo a morte: non ci riuscì. Benché pesto e traumatizzato, il piccolo Eymard non desistette, non rinunciò al suo pellegrinaggio – come avrebbero fatto cento altri al suo posto - e si trovò a pregare la Vergine Maria con raddoppiato fervore. Fu allora, senza dubbio, che furono gettate le solide fondamenta della sua grande amicizia con Dio e della sua illimitata confidenza nella intercessione della Madonna.
La difficoltà degli uomini del nostro tempo, e anche di non pochi che si definiscono cristiani, a credere nella realtà di fatti del genere, nasce essenzialmente da una lenta, sottile, silenziosa ma capillare ed efficacissima penetrazione del razionalismo cartesiano e del meccanicismo galileiano, nonché della cultura del sospetto (Marx, Nietzsche, Freud) e, infine, del relativismo culturale ed etico pressoché assoluto, i quali, anche laddove non vi sia stata una esplicita rottura con la tradizione religiosa, operano nel senso di togliere qualunque consistenza alla realtà invisibile, e di far apparire come anacronistiche e un po’ ridicole, le forme che assume la manifestazione del soprannaturale. Via: parlare ancora di simili cose; parlare ancora di angeli e demoni, all’inizio del terzo millennio! Passi, ancora, per quel che riguarda un discorso generico su “Dio” (ma un dio fatto a nostra immagine e somiglianza, che sia ben chiaro); ma che non ci si domandi di più, che non ci si chieda di credere all’esistenza delle Tenebre, perché a nessun patto potremmo abbassarci al livello di semplicioneria e d’ignoranza dei nostri avi, i quali non avevano alle spalle la tecno-scienza cui siamo debitori, ai nostri giorni, per i benefici recati dalle magnifiche sorti e progressive.
D’altra parte, rifiutarsi di credere all’esistenza del Diavolo e alla sua diuturna strategia di contrasto dell’amicizia fra l’uomo e Dio, non è indice, come sostengono certi cattolici “aperti” ed emancipati, di una fede adulta e matura, ma di perdita dell’orizzonte soprannaturale: perché, se è vero che del Diavolo non si può fare una esperienza di tipo scientifico, misurabile e replicabile in laboratorio – come, del resto, non la si può fare di Dio – nondimeno le grandi anime, che il soprannaturale lo hanno visto, ne hanno fatto l’esperienza personale e diretta. A che scopo, dunque, rammaricarsi di non poter dimostrare qualcosa che persone degne di fede hanno vissuto in maniera inequivocabile?
Francesco Lamendola
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