Certo, capisco, a quell’età non si vota ancora. Rischia d’essere uno spreco, anziché un investimento. I diciottenni, invece, entrano a pieno titolo nella vita collettiva. Possono guidare e votare. Come dice acutamente Matteo Renzi: diamo loro un “benvenuto nella comunità dei maggiorenni”. Facciamogli vedere in che consiste il sogno del fallito medio: essere mantenuto dagli altri. Cominciamo con un regalino.
“Per ogni centesimo in più investito sulla tutela (che poi sarebbe la difesa n.d.r.) deve esserci un centesimo sull’istruzione”, afferma perentorio il presidente del Consiglio. Intanto se ne investono 50.000 (di centesimi, pro capite) nella distrazione. Nelle scuole si assumono i docenti che c’erano già, sicché quelli che mancavano continuano a mancare. La spesa cresce e la qualità no. Bel regalo, ai giovanotti. Le nostre università sono fra le meno selettive, ma sfornano il più basso numero di laureati fra i trentaquattro Paesi Ocse. Miracolo possibile solo tenendo fuori dall’istruzione universitaria il mercato e la concorrenza, continuando a finanziare atenei alle cui cattedre si accede per parentela e amicizia, pubblicando testi che, grazie al copia incolla offerto dal digitale, consentono di non avere mai letto quel che si sostiene di avere scritto. Mica si cambia l’andazzo, si preferisce dare 500 euro a chi diventa maggiorenne, così come si consegna la stessa cifra (ma all’anno) ai docenti delle scuole. Così investono nella loro cultura. Certo, quella di cittadini della Repubblica dei bonus.
Tutto questo a buffo, sfondando il deficit e allargando il debito. E sperando di poterlo allargare ancora, se si riesce a strappare la “clausola immigrati”, vale a dire uno 0.2% in più di deficit. E’ la classica clausola dell’allocco: reclami di potere spendere di più, annunci vittoria se ci riesci, e taci la conseguenza, ovvero che il problema delle frontiere resta tuo, mentre aumenta il debito e, quindi, non cala il mortale peso fiscale necessario a pagarlo. Tanto che già si pensa si di far slittare di un anno quel che si era annunciato di volere anticipare di un anno, ovvero il taglio Ires. Ma anche questa è un’illusione ottica, perché il giocherello delle tasse tagliate s’accompagna al rinnovato obbligo di pagarle per intero, mentre dei presunti sgravi si fa un tale forsennato parlare da lasciare intendere che la pressione diminuirà significativamente. Invece, nei conti nel governo, è previsto che diminuisca di un soffio nel 2016 e troni a crescere nel 2017 e nel 2018. Togli pure il soffio e restano i soldi soffiati via.
Certo, scrivere un articolo è diverso da governare. Dire cosa sarebbe bene fare è diverso dal riuscire a farlo. Ma prendere per i fondelli gli altri è cosa poco commendevole. Non raccontarla giusta è un imbroglio. Far passare per privatizzazione le vendite parziali, come si è fatto con Poste e come si vuol fare con le Ferrovie, chiamando il mercato non a far correre settori che possono essere produttivi, ma a compartecipare delle rendite in aziende che sono e restano dello Stato, è un raggiro. Nel caso dello statalismo ferroviario si aggiunge anche un di più grottesco: scorporiamo la rete e quotiamo solo i servizi, affinché si realizzi un mercato in cui la concorrenza è possibile. Ma se i servizi restano al 60% in mano allo Stato la sola differenza è che la rendita cui si chiamano gli investitori a partecipare non comprende gli investimenti nei binari. I soldi della quotazione, inoltre, non vanno alla società, ma alla proprietà. Il che significa potere limare il debito (sperando che a quello siano destinati) senza toccare la spesa. Anzi, sperando di allargarla.
Si vende patrimonio, senza creare mercato, al fine di elargire doni. E se i conti non tornano, perché non tornano, si chiede elasticità in quanto ci sono gli immigrati. Il guaio non è che chi governa pensi che gli altri siano fessi. Il guaio è che in gran parte lo sono, fingendosi furbi e coltivando l’ambizione d’essere ancora in tempo per ciucciare via qualche soldo collettivo. In un Paese così combinato è giusto fare un regalo ai diciottenni: benvenuti nel Paese dei bonus a niente.
Davide Giacalone
Fonte: LiberoQuotidiano
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