Il potere mediatico è uno degli strumenti principali dell’imperialismo Usa, secondo il proverbio per il quale un avvenimento diviene rilevante solo se appare sulla Cnn. Washington ed i suoi “alleati”, sudditi o complici che siano, hanno da sempre utilizzato i media per rappresentare il mondo secondo le proprie convenienze, da un canto negando o nascondendo la realtà, dall’altro giungendo a mentire spudoratamente, a costruire falsi scoop per dare degli eventi una narrazione che sposi i propri fini.
La congiura del silenzio sulla brutale aggressione saudita allo Yemen ne è un esempio; la falsa rappresentazione che si continua a dare dell’Isis fin dalla sua nascita ne è un altro. Dipingerlo come un potere mostruoso ed invincibile è funzionale a renderlo un’etichetta buona a giustificare ogni azione, per sordida e illegale che sia; un “brand” da osteggiare a parole, certo, ma da preservare perché utilissimo.
Da tempo è in corso un’altra campagna mediatica sulla situazione in Siria, che distorce totalmente la realtà. Per sommi capi, la storia che si vuole accreditare è che Assad sia in crisi, i cosiddetti “ribelli” all’offensiva ovunque e l’Isis, il solito spauracchio, stia avanzando inarrestabile. Per raddrizzare una situazione così compromessa che, secondo i media, rischierebbe di veder trionfare il “califfato” su Siria ed Iraq, la comunità internazionale dovrebbe intervenire sbarazzandosi dell’ingombrante presenza di un Assad ormai agonizzante, dipinto come l’unico ostacolo ad un processo di pace, ed intavolando trattative non si sa bene con quali opposizioni moderate che, semplicemente, non esistono.
Peccato che nella realtà le cose stiano diametralmente all’opposto: i “ribelli” non stanno affatto guadagnando terreno, anzi; l’Isis non fa che perderne, sia in Siria che in Iraq, ed Assad, passata la terribile crisi dei primi anni, è più che mai in sella.
La rappresentazione spudoratamente falsa che si fa della realtà, e la corsa di leader internazionali a dichiararsi pronti a gettar bombe sulla Siria (vedi da ultimi Hollande e Camerun) è dettata da un canto dal tentativo, tramite i media, di avere l’assenso della comunità internazionale ad allontanare Assad, ottenendo così ciò che si è fallito clamorosamente con quattro anni e mezzo di guerra e di aggressioni. Dall’altro, dalla necessità di fabbricarsi il pretesto per potersi sedere a un ipotetico tavolo di trattative, che dovrebbe ridisegnare gli equilibri della regione.
Ed è sempre per allontanare il momento del tracollo che vengono sistematicamente demonizzati gli alleati e gli aiuti che giungono ad Assad, secondo una curiosa morale alla rovescia: sono giustificati gli invii di armi, di denaro, il reclutamento e l’addestramento di stuoli di mercenari, le attività coperte di Special Forces e di intelligence, contro un Governo, piaccia o no, legittimo; sono da condannare senza appello gli aiuti concessi alla Siria in base ad accordi fra Stati sovrani, come l’Iran e la Russia.
Per fare chiarezza in questa narrazione all’incontrario, faremo un punto sullo stato delle cose, quantomeno sulle più eclatanti, cominciando proprio dall’Isis, quell’orco che a parole tutti dicono di voler combattere, ma che nei fatti viene lasciato indisturbato. Anzi.
L’8 agosto dell’anno scorso, i media annunciarono con grande clamore la nascita di una coalizione che avrebbe dovuto affrontare le orde del “califfo” con una campagna aerea. In quello stucchevole gioco di alleanze variabili a seconda delle convenienze, sono otto i Paesi che conducono missioni in Iraq, e otto (per le medesime alchimie non gli stessi) in Siria; gli Usa sono ovviamente al centro in entrambi i teatri.
Beirut – Funerali di due martiri di Hezbollah caduti in Siria durante i combattimenti contro i terroristi dell’Isil
Ebbene, malgrado le flotte aeree ufficialmente destinate all’operazione siano più che consistenti; malgrado che satelliti e droni possano individuare ogni bersaglio; malgrado da terra ci siano reparti che richiedono l’appoggio e malgrado un territorio piatto e desertico, un sogno per condurre attacchi aerei, in 13 mesi sono stati effettuati in tutto 6656 strike, di cui 2.504 in Siria e 4.152 in Iraq con una media di 16/17 missioni al giorno su tutto il territorio dei due Paesi: praticamente una ridicola farsa.
Per la cronaca, sono anche in corso inchieste discrete per capire di quanto siano stati gonfiati i risultati già deludenti degli attacchi, e sul perché, il più delle volte, gli aerei tornino senza aver sganciato bombe e missili. Inoltre, suona piuttosto strano che solo il 3% (!) dei campi di addestramento dell’Isis (che sono perfettamente conosciuti) siano stati centrati; non è una malizia pensare che non si vogliano colpire addestratori che hanno la stessa bandiera dei piloti. E ancora, è ridicola la giustificazione con cui si evitano di incenerire i lunghi convogli di mezzi dei miliziani, bersagli facilissimi in quei territori. La scusa ufficiale è che si vogliono evitare “danni collaterali”; peccato che sia l’unico tipo di missione in cui l’Air Force si faccia di questi scrupoli.
L’abbiamo detto e lo ripetiamo: l’Isis è una pedina troppo utile perché possa essere combattuto da chi ha fatto di tutto per suscitarlo. Ma sul terreno è tutt’altra cosa: piaccia o no agli anchorman dei media, malgrado i “coalizzati” facciano di tutto per non disturbarlo, il “califfo”continua ad incassare sconfitte sia in Iraq che in Siria. Piaccia o no, gli unici a combatterlo seriamente sono le milizie sciite, l’Esercito siriano e le milizie curde (Ypg e peshmerga) che, sia detto per inciso e con buona pace della stampa, ringraziano l’Iran se non sono state travolte l’estate scorsa, non certo gli Usa e gli altri Occidentali che si sono limitati al solito teatrino.
Per quanto riguarda gli altri “ribelli”, tagliagole sanguinari non meno dell’Isis, nei mesi scorsi si sono riuniti nel cosiddetto Esercito della Conquista (Jaish al-Fateh); ci sono dentro tutti, dal Free Syrian Army (che sarebbero i cosiddetti “moderati”) ai qaedisti di al-Nusra che di fatto guidano la formazione.
L’unione è stata pilotata da Arabia Saudita, Qatar e Turchia, gli Stati che, senza che nessuno abbia da ridire, li foraggiano con fiumi di denaro, armi, addestramento, consiglieri militari, intelligence ed arruolamenti perché compiano i loro massacri. Dinanzi alle continue sconfitte, per evitare un tracollo immediato, hanno superato le storiche divisioni per unirsi; ma questo, a dispetto del vociare dei media, non ha modificato più di tanto la situazione sul campo; per questo la Giordania si è unita negli aiuti a quelle bande, facendo da hub ai terroristi; per questo la Turchia intende rompere gli indugi con un’operazione di terra che, con la scusa bugiarda dell’Isis (che ha lungamente foraggiato ed appoggiato, facendo del proprio territorio una sua retrovia e un luogo di transito), respinga i curdi (che dell’Isis sono nemici) e crei un “santuario” per i terroristi.
Iraq – Combattenti sciiti impegnati nella lotta contro l’Isil
Anche sul Golan e lungo il confine libanese, le bande dei “ribelli” sono state sgominate dall’Esercito siriano e da Hezbollah: basi, postazioni e depositi distrutti; città, villaggi e valichi che assicuravano un flusso di armi e di rinforzi liberati. Restano ben poche sacche circondate, in attesa d’essere definitivamente neutralizzate. Lo stesso Israele, che a quelle bande ha assicurato rifornimenti, intelligence ed assistenza sanitaria, adesso, sul Golan, ha dinanzi la Resistenza.
Per quanto riguarda l’ultima campagna stampa, quello per lo “scandalo” degli aiuti russi, siamo al paradosso: premesso che la collaborazione fra Russia e Siria è antica di decenni e si basa su accordi stretti fra Stati sovrani, la presenza di militari russi è arcinota da sempre e giustificata da quei trattati, come pure gli aiuti militari. Assai diverso il discorso per l’assistenza d’ogni genere data a bande di assassini per destabilizzare un Governo, piaccia o no legittimo, ed arrivare allo smembramento di uno Stato.
Dal ’71 la Russia ha un appoggio logistico navale a Tartus, l’unico nel Mediterraneo, e non intende perderlo, né abbandonare un antico alleato minacciato da mezzo mondo. Per questo ha semplicemente intensificato la fornitura di armamenti, anche ad alto contenuto tecnologico: si parla di 6 MiG-31 intercettori (per fronteggiare la minaccia turca), di caccia Su-27 e Su-34, e si vocifera della consegna di 14 MiG-29 per l’attacco al suolo, da tempo ordinati da Damasco. Inoltre, trasportati dalle navi della Flotta del Mar Nero, ha consegnato fra l’altro 40 blindati Btr-82a e 50 veicoli tattici Tiger, e con un ponte aereo attraverso l’Iran, sta fornendo sistemi controcarro Kornet-E, munizionamento, armi leggere, sistemi antiaerei Sa-22 ed altro materiale.
In buona parte si tratta di sistemi d’arma sofisticati, che necessitano di manutenzione e istruzione avanzata per gli operatori; è questo l’ovvio motivo del personale militare presente in Siria. Laggiù, per fornire l’assistenza, Mosca sta impiantando due basi: la prima, storica, a Mezzeh, presso Damasco; la seconda, in fase d’ampliamento, a Jableh, poco a sud di Latakia. Hanno aeroporti per far affluire i materiali, il personale per gestirli e dare istruzione, quello per proteggere le installazioni, oltre a consiglieri militari, specialisti e membri dell’intelligence.
È stupefacente la sfacciataggine dell’Amministrazione Usa, che si mostra indignata per il sostegno dato dai russi ad uno Stato alleato sotto attacco, quando essa da anni (e in mille altre circostanze), insieme ai propri complici/alleati, fornisce a iosa aiuti d’ogni genere a bande di criminali assassini per abbattere un Governo scomodo.
In questo è stata lapidaria la risposta del ministro degli Esteri Lavrov giovedì scorso, in merito alla non-notizia degli aiuti e della presenza russa in Siria, da sempre conosciuta e su cui adesso s’appunta l’attenzione di tutti: Mosca continuerà a fornire assistenza militare a Damasco, per impedire che in Siria si ripeta quanto è accaduto in Libia, dove l’eliminazione di un Governo indesiderato da parte delle potenze occidentali ha aperto le porte a un caos sanguinoso.
Quello della macchina mediatica, ad oggi, è tutto un discorso alla rovescia; un tentativo di ottenere così ciò che si è mancato con anni e anni di guerra feroce. Piaccia o no ad anchorman e giornalisti, complici o colpevolmente disinformati che siano, la Storia ha preso il suo verso ed ha ricominciato a muoversi rapidamente come ad ogni suo snodo storico. Trame, complotti, disegni di potere non potranno fermarla ed è già in corso il cambiamento radicale di equilibri, aree di influenza, alleanze e rapporti di potere in tutto il Medio Oriente allargato.
Piaccia o no, un antico sistema di servaggio e di oppressione è ormai alla fine.
La congiura del silenzio sulla brutale aggressione saudita allo Yemen ne è un esempio; la falsa rappresentazione che si continua a dare dell’Isis fin dalla sua nascita ne è un altro. Dipingerlo come un potere mostruoso ed invincibile è funzionale a renderlo un’etichetta buona a giustificare ogni azione, per sordida e illegale che sia; un “brand” da osteggiare a parole, certo, ma da preservare perché utilissimo.
Da tempo è in corso un’altra campagna mediatica sulla situazione in Siria, che distorce totalmente la realtà. Per sommi capi, la storia che si vuole accreditare è che Assad sia in crisi, i cosiddetti “ribelli” all’offensiva ovunque e l’Isis, il solito spauracchio, stia avanzando inarrestabile. Per raddrizzare una situazione così compromessa che, secondo i media, rischierebbe di veder trionfare il “califfato” su Siria ed Iraq, la comunità internazionale dovrebbe intervenire sbarazzandosi dell’ingombrante presenza di un Assad ormai agonizzante, dipinto come l’unico ostacolo ad un processo di pace, ed intavolando trattative non si sa bene con quali opposizioni moderate che, semplicemente, non esistono.
Peccato che nella realtà le cose stiano diametralmente all’opposto: i “ribelli” non stanno affatto guadagnando terreno, anzi; l’Isis non fa che perderne, sia in Siria che in Iraq, ed Assad, passata la terribile crisi dei primi anni, è più che mai in sella.
La rappresentazione spudoratamente falsa che si fa della realtà, e la corsa di leader internazionali a dichiararsi pronti a gettar bombe sulla Siria (vedi da ultimi Hollande e Camerun) è dettata da un canto dal tentativo, tramite i media, di avere l’assenso della comunità internazionale ad allontanare Assad, ottenendo così ciò che si è fallito clamorosamente con quattro anni e mezzo di guerra e di aggressioni. Dall’altro, dalla necessità di fabbricarsi il pretesto per potersi sedere a un ipotetico tavolo di trattative, che dovrebbe ridisegnare gli equilibri della regione.
Ed è sempre per allontanare il momento del tracollo che vengono sistematicamente demonizzati gli alleati e gli aiuti che giungono ad Assad, secondo una curiosa morale alla rovescia: sono giustificati gli invii di armi, di denaro, il reclutamento e l’addestramento di stuoli di mercenari, le attività coperte di Special Forces e di intelligence, contro un Governo, piaccia o no, legittimo; sono da condannare senza appello gli aiuti concessi alla Siria in base ad accordi fra Stati sovrani, come l’Iran e la Russia.
Per fare chiarezza in questa narrazione all’incontrario, faremo un punto sullo stato delle cose, quantomeno sulle più eclatanti, cominciando proprio dall’Isis, quell’orco che a parole tutti dicono di voler combattere, ma che nei fatti viene lasciato indisturbato. Anzi.
L’8 agosto dell’anno scorso, i media annunciarono con grande clamore la nascita di una coalizione che avrebbe dovuto affrontare le orde del “califfo” con una campagna aerea. In quello stucchevole gioco di alleanze variabili a seconda delle convenienze, sono otto i Paesi che conducono missioni in Iraq, e otto (per le medesime alchimie non gli stessi) in Siria; gli Usa sono ovviamente al centro in entrambi i teatri.
Beirut – Funerali di due martiri di Hezbollah caduti in Siria durante i combattimenti contro i terroristi dell’Isil
Ebbene, malgrado le flotte aeree ufficialmente destinate all’operazione siano più che consistenti; malgrado che satelliti e droni possano individuare ogni bersaglio; malgrado da terra ci siano reparti che richiedono l’appoggio e malgrado un territorio piatto e desertico, un sogno per condurre attacchi aerei, in 13 mesi sono stati effettuati in tutto 6656 strike, di cui 2.504 in Siria e 4.152 in Iraq con una media di 16/17 missioni al giorno su tutto il territorio dei due Paesi: praticamente una ridicola farsa.
Per la cronaca, sono anche in corso inchieste discrete per capire di quanto siano stati gonfiati i risultati già deludenti degli attacchi, e sul perché, il più delle volte, gli aerei tornino senza aver sganciato bombe e missili. Inoltre, suona piuttosto strano che solo il 3% (!) dei campi di addestramento dell’Isis (che sono perfettamente conosciuti) siano stati centrati; non è una malizia pensare che non si vogliano colpire addestratori che hanno la stessa bandiera dei piloti. E ancora, è ridicola la giustificazione con cui si evitano di incenerire i lunghi convogli di mezzi dei miliziani, bersagli facilissimi in quei territori. La scusa ufficiale è che si vogliono evitare “danni collaterali”; peccato che sia l’unico tipo di missione in cui l’Air Force si faccia di questi scrupoli.
L’abbiamo detto e lo ripetiamo: l’Isis è una pedina troppo utile perché possa essere combattuto da chi ha fatto di tutto per suscitarlo. Ma sul terreno è tutt’altra cosa: piaccia o no agli anchorman dei media, malgrado i “coalizzati” facciano di tutto per non disturbarlo, il “califfo”continua ad incassare sconfitte sia in Iraq che in Siria. Piaccia o no, gli unici a combatterlo seriamente sono le milizie sciite, l’Esercito siriano e le milizie curde (Ypg e peshmerga) che, sia detto per inciso e con buona pace della stampa, ringraziano l’Iran se non sono state travolte l’estate scorsa, non certo gli Usa e gli altri Occidentali che si sono limitati al solito teatrino.
Per quanto riguarda gli altri “ribelli”, tagliagole sanguinari non meno dell’Isis, nei mesi scorsi si sono riuniti nel cosiddetto Esercito della Conquista (Jaish al-Fateh); ci sono dentro tutti, dal Free Syrian Army (che sarebbero i cosiddetti “moderati”) ai qaedisti di al-Nusra che di fatto guidano la formazione.
L’unione è stata pilotata da Arabia Saudita, Qatar e Turchia, gli Stati che, senza che nessuno abbia da ridire, li foraggiano con fiumi di denaro, armi, addestramento, consiglieri militari, intelligence ed arruolamenti perché compiano i loro massacri. Dinanzi alle continue sconfitte, per evitare un tracollo immediato, hanno superato le storiche divisioni per unirsi; ma questo, a dispetto del vociare dei media, non ha modificato più di tanto la situazione sul campo; per questo la Giordania si è unita negli aiuti a quelle bande, facendo da hub ai terroristi; per questo la Turchia intende rompere gli indugi con un’operazione di terra che, con la scusa bugiarda dell’Isis (che ha lungamente foraggiato ed appoggiato, facendo del proprio territorio una sua retrovia e un luogo di transito), respinga i curdi (che dell’Isis sono nemici) e crei un “santuario” per i terroristi.
Iraq – Combattenti sciiti impegnati nella lotta contro l’Isil
Anche sul Golan e lungo il confine libanese, le bande dei “ribelli” sono state sgominate dall’Esercito siriano e da Hezbollah: basi, postazioni e depositi distrutti; città, villaggi e valichi che assicuravano un flusso di armi e di rinforzi liberati. Restano ben poche sacche circondate, in attesa d’essere definitivamente neutralizzate. Lo stesso Israele, che a quelle bande ha assicurato rifornimenti, intelligence ed assistenza sanitaria, adesso, sul Golan, ha dinanzi la Resistenza.
Per quanto riguarda l’ultima campagna stampa, quello per lo “scandalo” degli aiuti russi, siamo al paradosso: premesso che la collaborazione fra Russia e Siria è antica di decenni e si basa su accordi stretti fra Stati sovrani, la presenza di militari russi è arcinota da sempre e giustificata da quei trattati, come pure gli aiuti militari. Assai diverso il discorso per l’assistenza d’ogni genere data a bande di assassini per destabilizzare un Governo, piaccia o no legittimo, ed arrivare allo smembramento di uno Stato.
Dal ’71 la Russia ha un appoggio logistico navale a Tartus, l’unico nel Mediterraneo, e non intende perderlo, né abbandonare un antico alleato minacciato da mezzo mondo. Per questo ha semplicemente intensificato la fornitura di armamenti, anche ad alto contenuto tecnologico: si parla di 6 MiG-31 intercettori (per fronteggiare la minaccia turca), di caccia Su-27 e Su-34, e si vocifera della consegna di 14 MiG-29 per l’attacco al suolo, da tempo ordinati da Damasco. Inoltre, trasportati dalle navi della Flotta del Mar Nero, ha consegnato fra l’altro 40 blindati Btr-82a e 50 veicoli tattici Tiger, e con un ponte aereo attraverso l’Iran, sta fornendo sistemi controcarro Kornet-E, munizionamento, armi leggere, sistemi antiaerei Sa-22 ed altro materiale.
In buona parte si tratta di sistemi d’arma sofisticati, che necessitano di manutenzione e istruzione avanzata per gli operatori; è questo l’ovvio motivo del personale militare presente in Siria. Laggiù, per fornire l’assistenza, Mosca sta impiantando due basi: la prima, storica, a Mezzeh, presso Damasco; la seconda, in fase d’ampliamento, a Jableh, poco a sud di Latakia. Hanno aeroporti per far affluire i materiali, il personale per gestirli e dare istruzione, quello per proteggere le installazioni, oltre a consiglieri militari, specialisti e membri dell’intelligence.
È stupefacente la sfacciataggine dell’Amministrazione Usa, che si mostra indignata per il sostegno dato dai russi ad uno Stato alleato sotto attacco, quando essa da anni (e in mille altre circostanze), insieme ai propri complici/alleati, fornisce a iosa aiuti d’ogni genere a bande di criminali assassini per abbattere un Governo scomodo.
In questo è stata lapidaria la risposta del ministro degli Esteri Lavrov giovedì scorso, in merito alla non-notizia degli aiuti e della presenza russa in Siria, da sempre conosciuta e su cui adesso s’appunta l’attenzione di tutti: Mosca continuerà a fornire assistenza militare a Damasco, per impedire che in Siria si ripeta quanto è accaduto in Libia, dove l’eliminazione di un Governo indesiderato da parte delle potenze occidentali ha aperto le porte a un caos sanguinoso.
Quello della macchina mediatica, ad oggi, è tutto un discorso alla rovescia; un tentativo di ottenere così ciò che si è mancato con anni e anni di guerra feroce. Piaccia o no ad anchorman e giornalisti, complici o colpevolmente disinformati che siano, la Storia ha preso il suo verso ed ha ricominciato a muoversi rapidamente come ad ogni suo snodo storico. Trame, complotti, disegni di potere non potranno fermarla ed è già in corso il cambiamento radicale di equilibri, aree di influenza, alleanze e rapporti di potere in tutto il Medio Oriente allargato.
Piaccia o no, un antico sistema di servaggio e di oppressione è ormai alla fine.
fonte:ilfarosulmondo
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