1) Francia, paese Nato. 2) La sostituzione dell'Isis. 3) Turchi e sauditi alle prese col 'Piano C'. 4) I suoi vantaggi. 5) L'Europa e noi. [Piotr]
1. Francia, paese Nato.
La serie di attentati in Francia che ha stroncato la vita a un numero impressionante di innocenti solleva subito una questione cruciale che si pone a un livello successivo alla disamina e alle disquisizioni su cosa è successo veramente e sui punti oscuri che inevitabilmente salteranno fuori, come nel caso di tutti, ripeto tutti, gli atti terroristici, non ultimo quello contro Charlie Hebdo.
Al di là dello schema solito, che sembra ormai un marchio di fabbrica, dei passaporti degli attentatori trovati subito dopo gli attacchi, come già alle Torri Gemelle, come già al Pentagono, come già al Charlie Hebdo, la storia moderna è costellata di punti oscuri di questa natura. Anche pensando a cose ben più nobili come il nostro Risorgimento, le stesse azioni di sovversione armata dei nostri patrioti (si pensi alla spedizione dei Mille) e i loro attentati (si pensi a Felice Orsini), non erano immuni dai giochi tra potenze che si svolgevano allora in Europa. Quindi lasciamo queste cose per ora in sospeso e passiamo oltre.
La domanda è, dunque, "Come reagirà la Nato?"
Già, perché la Francia è un paese Nato sotto attacco. Quindi a rigor di logica, la Nato dovrebbe intervenire per difenderlo. Questa èl'ipotesi a caldo.
Gli azzeccagarbugli dell'Alleanza Atlantica dovranno scovare le giustificazioni statutarie, ma, se c'è la volontà e possibilità politica, la fatica non sarà poi molta, visto che la Nato è per lo meno dai tempi del Kosovo che ha deciso di fare quello che vuole in barba alla sua stessa natura ufficiale e alle regole che la rispecchiavano.
Detto in termini più espliciti, l'orrenda serie di attentati parigini potrebbe fare scattare un'operazione militare alleata in Siria e Iraq.
È vero che i ben più gravi attentati alle Torri Gemelle non fecero scattare clausole Nato, ma i tempi dell'unilateralismo puro degli Stati Uniti sono passati e per un semplice motivo: allora la terza guerra mondiale era appena iniziata, la Russia e la Cina non ponevano ostacoli diplomatici e men che meno militari, oggi invece è a uno stadio avanzato e la situazione internazionale, politica, militare, economica e finanziaria, è pesantemente cambiata.
Una guerra mondiale che si sta svolgendo secondo le (autoavveratesi) previsioni degli anni Novanta degli strateghi della Rand Corporation:un misto di supertecnologie militari e di guerre premoderne.
2. La sostituzione dell'Isis.
L'ipotesi successiva è che sarà veramente una guerra contro l'Isis (o Daesh) e non, almeno in forma diretta, contro Bashar al-Assad. Si tratta dell'esecuzione di un incerto "piano C" da parte dell'impero americano, frutto probabilmente di una mediazione tra i falchi e le"colombe" (in questo caso è d'obbligo usare le virgolette) che a Washington si stanno facendo una guerra anche a colpi di manette (vedi il caso del potentissimo generale Petraeus). Un accordo momentaneo in una guerra che con tutta evidenza è destinata ad approfondirsi in vista delle prossime presidenziali Usa.
Qualcosa che per molti versi non è né carne né pesce e che aggiungerà caos a quello già esistente. Essendo un frutto instabile di strategie differenti ai ponti di comando dell'impero, non può che gettare nella confusione i suoi alleati in loco che vedono, e giustamente, in Washington la causa prima di siffatta incertezza. Insomma, l'ormai famosa strategia caotica della Casa Bianca.
Inevitabile, visto che la fine dell'Urss, la crescita della Cina, la contemporanea decadenza dell'egemonia americana e la crisi sistemica che l'accompagna (che è il punto di inizio e di riflusso di tutto) hanno liberato linee di forza di ogni tipo che puntano nelle più svariate direzioni e con scarse possibilità di coordinarsi anche nei singoli paesi.
La straordinaria e inaspettata resistenza dei Siriani in questi quattro anni di selvaggia aggressione, compattati a stragrande maggioranza attorno al loro presidente (stime occidentali) e il recente intervento russo, hanno sconvolto il "piano A" (distruzione diretta anche di questo stato laico), il "piano B" (distruzione tramite l'Isis, tranquillamente qualificato da Hillary Clinton come una creatura dell'impero) e ha aperto un confronto a Washington tra chi propone una guerra conclamata e generalizzata rasentante il confronto nucleare e chi non se la sente di iniziarla (anche per ottimi motivi egoistici che poi vedremo). Una lotta all'interno dei palazzi imperiali, aspra, durante la quale i falchi capeggiati dal triumvirato bipartisan Clinton-Petraeus-McCain hanno sicuramente chiesto ragione all'attuale amministrazione del perché abbia lasciato campo libero ai Russi in Siria.
Sì, perché al di là delle mitologie antimperialistiche, la Casa Bianca e il Pentagono sapevano da parecchio tempo cosa stavano preparando i Russi col loro trasbordo di materiale a Tartus e a Latakia che passava da mesi e mesi, senza proteste degli Stati Uniti o richieste di chiusura dello spazio aereo, sulla zucca di Erdoğan. Era un "mi volto dall'altra parte" frutto di un accordo tra Mosca e Washington che si è esplicitato la prima volta durante la "crisi degli attacchi chimici" del 2013.
Forse l'inaspettata efficienza e l'inaspettata incisività dell'intervento russo unite alle possenti pressioni del partito della guerra (e dell'industria bellica), forse questo più la paura di non uscire dalla crisi e dalla decadenza egemonica, legate a doppio mulinello, forse l'effettiva difficoltà a questo punto degli eventi di avere una strategia chiara e di lunga durata, tutto questo può aver fatto optare per l'incerto "piano C", cioè la sostituzione con una nuova entità del bloccato, seppur non sconfitto, e totalmente impresentabile Isis (oltre il 70% dei cittadini britannici si è dichiarato a favore dell'intervento Russo).
Un'entità che la Nato, se la mia ipotesi è corretta, dovrebbe oggi direttamente sostenere sul campo, per gran parte con la sua aviazione.
Qual è questa nuova entità? E' la non meglio definita coalizione di Curdi e Yazidi presentata da Washington come la forza che libererà Raqqa dallo Stato Islamico. Una presentazione per certi versi stravagante. A parte l'imprecisa definizione, perché gli Yazidi sono curdi anch'essi, benché di religione, appunto, yazidi, i Curdi non sono un popolo omogeneo politicamente e le loro differenze politiche si intrecciano con le differenze geografiche. Una stranezza ben più importante è questa: perché i Curdi dovrebbero morire per arrivare a Raqqa, città sunnita in mezzo a una regione sunnita? Il programma è dunque visibilmente impostato da fuori, com'era da aspettarsi.
Ma ci staranno i Curdi? Alcuni loro dirigenti hanno già fatto sapere che per loro Raqqa ha una priorità bassissima, seppur ce l'ha. Il loro primo obiettivo è un ipotetico Kurdistan a ridosso di Turchia e Iran.
In secondo luogo, che tipo di alleanza si può instaurare tra i Curdi iracheni e quelli siriani? Questi ultimi non si sono dimostrati particolarmente ostili a Damasco, che dal canto suo gli ha riconosciuto la piena autonomia, e hanno idee politiche socialisteggianti che non sembrano andare molto d'accordo con quelle dei dirigenti curdi iracheni.
Un obiettivo troppo eterodiretto e una relativa disomogeneità tra gli alleati potrebbero rappresentare un primo intoppo.
3. La Turchia e l'Arabia Saudita alle prese col "piano C".
Cercheremo di capire tra un attimo i vantaggi che l'impero pensa di ottenere da questa nuova avventura. Adesso vediamo però il secondo intoppo al progetto. Si tratta della Turchia, che di un Kurdistan a ridosso dei suoi confini non vuole nemmeno sentire parlare. E infatti bombarda i Curdi della Rojava siriana su cui invece puntano gli alleati americani. Erdoğan ha fatto sapere che è pronto a invadere il Nord della Siria con 10.000 uomini, per «creare una zona cuscinetto tra Turchia e Isis», come afferma con estremo sprezzo del ridicolo, proprio lui che assieme all'Arabia Saudita è notoriamente il più grande sostenitore del "Califfato".
Ovviamente i Curdi siriani, che hanno stretti collegamenti col PKK (Partito dei Lavoratori del Kurdistan) in Turchia, non se la bevono e nemmeno gli Usa. È però un avvertimento a tutti e due.
Oltre all'odiata ipotesi di Kurdistan, la Turchia vede minacciata l'esigenza di alcuni suoi forti gruppi di potere di espansione in Medio Oriente, esigenza per la quale il Fratello musulmano Erdoğan era un buon vettore, benché ostico alla laica magistratura e al laicoesercito (che infatti sono stati purgati). Rovinato il nuovo sogno di rifare a ritroso parte del percorso di quel Lawrence d'Arabia che lì aveva sconfitto l'Impero Ottomano, la Turchia rischia di essere ricacciata nel sogno panturanico di quindici anni fa, cioè l'allargamento della sua sfera d'influenza nel "turkmenistan" centroasiatico, dove però dovrebbe vedersela direttamente con la Russia proprio mentre ne ricerca la collaborazione economica (perché anche la Turchia sa benissimo che in Occidente c'è poca trippa per gatti).
Il secondo contendente regionale insoddisfatto dal "piano C", è l'Arabia Saudita col contorno dei suoi compagni di merende peninsulari.
Questa proprietà privata della Casa Saud, perché in realtà non è uno Stato, versa in gravi difficoltà finanziarie, tra le quali spiccano il 20% del rapporto debito-Pil e il nervosismo dell'FMI. Difficoltà dovute al crollo del prezzo del petrolio. Come se non bastasse èimpantanata in modo pesante nella guerra nello Yemen, nonostante le stragi di civili che compie grazie alle bombe che noi Italiani-brava-gente le consegniamo dalla Sardegna (2.500 morti finora, di cui 500 bimbi, dati ONU, più una marea di rifugiati e l'impossibilità per milioni di persone di accedere all'acqua pulita). Riad sarà sempre più impantanata nonostante le armi che a questo regno, massimo finanziatore dell'Isis e suo mentore ideologico, Finmeccanica vuole vendere con la mediazione e gli auspici del boy-scout Matteo Renzi. E che i Cristiani in Medio Oriente vadano tutti a morire ammazzati, come sta già succedendo: come vedete stiamo parlando di un concentrato di infamia e ipocrisia che ha pochi eguali nella storia contemporanea (sicuramente Renzi andrà con gli altri sepolcri imbiancati del suo calibro al funerale delle vittime di Parigi, c'è da scommetterci).
Come se non bastasse, una volta scacciate da Iraq e Siria, le divisioni dell'Isis si potrebbero rivolgere in modo naturale verso La Mecca. Già lo hanno fatto sapere. E saggiamente il leader di Hezbollah, Hassan Nasrallah lo aveva detto qualche mese fa in occasione della minaccia dell'Isis di invadere Roma: "Cosa ci andrebbe a fare a Roma l'Isis [a parte, aggiungo io, qualche possibile attentato]? La sua meta finale è La Mecca".
Preoccupati da questo intreccio di problemi, i regnanti sauditi stanno compiendo viaggi seriali al Cremlino, sia per dare un avvertimento a Washington che, ovviamente, mette i propri interessi al di sopra di quelli dei suoi alleati, sia per avere un sostegno politico. Sia, infine, perché Riad e Mosca condividono uno stesso problema economico: il crollo del prezzo del petrolio.
4. I vantaggi del "piano C".
I vantaggi di questo piano per gli Usa e il suo impero sono evidenti: bloccare la riconquista siriana delle zone occupate dall'Isis, limitando però il rischio di uno scontro militare coi Russi e creare un cuneo nel bel mezzo del Medio Oriente, tra Damasco, Baghdad e Teheran, un cuneo non più islamista fondamentalista, ma di altro tipo.
A Mosca, che di sicuro protesterà per l'illegalità dell'intervento, perché non sarà richiesto dal legittimo governo della Siria e probabilmente nemmeno da quello dell'Iraq, potrebbe implicitamente andar bene come situazione di compromesso e forse con qualche aggiustamento territoriale anche a Damasco nell'attesa di una riconciliazione nazionale.
Nonostante l'efficacia dei loro raid aerei, i generali russi sanno bene che sconfiggere l'Isis non sarà una cosa immediata e che è necessaria una riorganizzazione dell'Esercito Arabo Siriano e nuove forze sul terreno.
Un ex analista militare statunitense nato da una famiglia russa anticomunista emigrata in America, su questo punto si è esercitato con un'analisi comparativa e differenziale con l'ultimo intervento israeliano in Libano. Ebbene, Israele compiva circa 400 raid aerei al giorno contro gli 80-100 dei Russi in Siria, usava in modo martellante l'artiglieria, cosa che l'Esercito Arabo Siriano non fa, e aveva sul terreno 30.000 soldati contro il migliaio scarso di combattenti di secondo livello che Hezbollah schierava a sud del fiume Litani mentre manteneva lontani dalla linea di contatto il grosso delle forze e i reparti d'élite. Un rapporto di 30 a 1 che i Siriani nemmeno si sognano. Ebbene, nonostante questo enorme vantaggio, Israele fu costretto a ritirarsi e a chiedere una forza di interposizione.
Lo stesso problema si pone teoricamente anche alla nuova coalizione che verosimilmente verrà sostenuta dalla Nato qualora l'ipotesi che stiamo esaminando si rivelerà giusta. Teoricamente, perché non è escluso che i combattenti dell'Isis vengano traditi dai loro capi, cioè quelli in contatto con chi "leads from behind" (fra cui il senatore McCain, presidente della Commissione Difesa del Senato americano, come lui stesso ha ammesso apertamente).
C'è un ulteriore punto molto delicato che si formula così: chi comanda attualmente negli Stati Uniti? Il suo governo sembra oggetto di mini pronunciamenti golpistici. Si pensi appunto a McCain, presidente della commissione Difesa del Senato degli Stati Uniti, che dichiara di essere in contatto con gli ufficiali dell'Isis (e che documentatamente si è incontrato due anni fa in Siria col "califfo" al-Baghdadi). Si pensi al generale Petraeus che al Senato dichiara senza pudore che al-Qa'ida è il miglior alleato degli Usa in Medio Oriente, si pensi al generale John Allen, rimosso da Obama perché invece di bombardare l'Isis gli paracadutava armi. Forse anche l'attacco a Parigi è frutto di questi cripto-golpisti e delle loro ramificazioni nella Nato. Una politica dei fatti compiuti che poi l'amministrazione Obama coi suoi vassalli deve gestire, come probabilmente è stato il golpe nazistoide a Kiev o la guerra nel Donbass.
Ogni persona di buon senso sa che un confronto diretto con la Russia sarebbe letale. Impossibile vincerlo con armi convenzionali. Il maresciallo Montgomery dichiarò in una audizione alla Camera dei Lord che la prima regola del manuale di guerra era "Non marciare mai su Mosca" (aggiungendo che la seconda era "Non marciare mai su Pechino").
Impossibile vincerlo con armi nucleari, perché non ci sarebbe sbarramento antimissili che terrebbe. Ogni persona che si occupa di cose militari lo sa, ma anche ogni persona di buon senso lo capisce. Forse qualche invasato crede alla propria propaganda, all'idea folle che sarebbe protetto dalla ritorsione Russa a un "first strike" nucleare. Ma immagino e spero che in quel caso sarebbero i militari statunitensi stessi a non permettergli di spingere il bottone.
Tuttavia non è impossibile escludere che qualcuno non sia intenzionato a rischiare una situazione tipo Il dottor Stranamore, cioè a mettere gli Stati Uniti e il mondo occidentale di fronte a un fatto compiuto di gravità inaudita, magari contando su un altamente improbabile cedimento in extremis dell'avversario. Ognuno di noi che abbia una coscienza, uomo o donna, comune cittadino o impegnato nella politica, di qualsiasi schieramento, ha l'obbligo di vigilare che questo non accada mai, ha l'obbligo di compiere ogni sforzo perché a questo non si arrivi mai.
La crisi sta mettendo fuori gioco tutto il vecchio armamentario che viene così ridotto a due cose: stampare soldi senza valore e iniettarvi valore con le armi. Questa è l'essenza attuale della crisi. Una formula che non sta in nessun manuale di Economia, ma sta nella realtà dei fatti. E, come dice il proverbio, quando tutto ciò che si ha in mano è un martello, tutto ciò che esiste sembra un chiodo.
Dio ci protegga dai potenti!
5. L'Europa e noi.
Purtroppo sembra difficile ravvisare nei governi europei anche labili tracce di coscienza. Sono ormai al servizio, entusiasta o riluttante, acquistato per un prezzo o imposto con la paura, delle variabili strategie degli Stati Uniti. La grande Unione Europea, Nobel per la Pace, ondeggia tra l'ignominia e la vigliaccheria. Le sue nuove élite, e in particolare quelle progressiste da tempo estasiate dall'essere state finalmente accolte a pieno diritto nei salotti buoni imperiali, sguazzano nell'ingiustizia e nelle atrocità in un modo che avrebbe inorridito non solo la vecchia guardia di sinistra ma anche il reazionario più spudorato del dopoguerra. Grondano sangue e sporcizia dalla testa ai piedi, da ogni poro.
Abbiamo un solo compito e una sola possibilità: non starle più a sentire e lavorare per un'Italia neutrale e un nuovo movimento di paesi non allineati con nessuna grande potenza.
Dio ci protegga dai potenti!
1. Francia, paese Nato.
La serie di attentati in Francia che ha stroncato la vita a un numero impressionante di innocenti solleva subito una questione cruciale che si pone a un livello successivo alla disamina e alle disquisizioni su cosa è successo veramente e sui punti oscuri che inevitabilmente salteranno fuori, come nel caso di tutti, ripeto tutti, gli atti terroristici, non ultimo quello contro Charlie Hebdo.
Al di là dello schema solito, che sembra ormai un marchio di fabbrica, dei passaporti degli attentatori trovati subito dopo gli attacchi, come già alle Torri Gemelle, come già al Pentagono, come già al Charlie Hebdo, la storia moderna è costellata di punti oscuri di questa natura. Anche pensando a cose ben più nobili come il nostro Risorgimento, le stesse azioni di sovversione armata dei nostri patrioti (si pensi alla spedizione dei Mille) e i loro attentati (si pensi a Felice Orsini), non erano immuni dai giochi tra potenze che si svolgevano allora in Europa. Quindi lasciamo queste cose per ora in sospeso e passiamo oltre.
La domanda è, dunque, "Come reagirà la Nato?"
Già, perché la Francia è un paese Nato sotto attacco. Quindi a rigor di logica, la Nato dovrebbe intervenire per difenderlo. Questa èl'ipotesi a caldo.
Gli azzeccagarbugli dell'Alleanza Atlantica dovranno scovare le giustificazioni statutarie, ma, se c'è la volontà e possibilità politica, la fatica non sarà poi molta, visto che la Nato è per lo meno dai tempi del Kosovo che ha deciso di fare quello che vuole in barba alla sua stessa natura ufficiale e alle regole che la rispecchiavano.
Detto in termini più espliciti, l'orrenda serie di attentati parigini potrebbe fare scattare un'operazione militare alleata in Siria e Iraq.
È vero che i ben più gravi attentati alle Torri Gemelle non fecero scattare clausole Nato, ma i tempi dell'unilateralismo puro degli Stati Uniti sono passati e per un semplice motivo: allora la terza guerra mondiale era appena iniziata, la Russia e la Cina non ponevano ostacoli diplomatici e men che meno militari, oggi invece è a uno stadio avanzato e la situazione internazionale, politica, militare, economica e finanziaria, è pesantemente cambiata.
Una guerra mondiale che si sta svolgendo secondo le (autoavveratesi) previsioni degli anni Novanta degli strateghi della Rand Corporation:un misto di supertecnologie militari e di guerre premoderne.
2. La sostituzione dell'Isis.
L'ipotesi successiva è che sarà veramente una guerra contro l'Isis (o Daesh) e non, almeno in forma diretta, contro Bashar al-Assad. Si tratta dell'esecuzione di un incerto "piano C" da parte dell'impero americano, frutto probabilmente di una mediazione tra i falchi e le"colombe" (in questo caso è d'obbligo usare le virgolette) che a Washington si stanno facendo una guerra anche a colpi di manette (vedi il caso del potentissimo generale Petraeus). Un accordo momentaneo in una guerra che con tutta evidenza è destinata ad approfondirsi in vista delle prossime presidenziali Usa.
Qualcosa che per molti versi non è né carne né pesce e che aggiungerà caos a quello già esistente. Essendo un frutto instabile di strategie differenti ai ponti di comando dell'impero, non può che gettare nella confusione i suoi alleati in loco che vedono, e giustamente, in Washington la causa prima di siffatta incertezza. Insomma, l'ormai famosa strategia caotica della Casa Bianca.
Inevitabile, visto che la fine dell'Urss, la crescita della Cina, la contemporanea decadenza dell'egemonia americana e la crisi sistemica che l'accompagna (che è il punto di inizio e di riflusso di tutto) hanno liberato linee di forza di ogni tipo che puntano nelle più svariate direzioni e con scarse possibilità di coordinarsi anche nei singoli paesi.
La straordinaria e inaspettata resistenza dei Siriani in questi quattro anni di selvaggia aggressione, compattati a stragrande maggioranza attorno al loro presidente (stime occidentali) e il recente intervento russo, hanno sconvolto il "piano A" (distruzione diretta anche di questo stato laico), il "piano B" (distruzione tramite l'Isis, tranquillamente qualificato da Hillary Clinton come una creatura dell'impero) e ha aperto un confronto a Washington tra chi propone una guerra conclamata e generalizzata rasentante il confronto nucleare e chi non se la sente di iniziarla (anche per ottimi motivi egoistici che poi vedremo). Una lotta all'interno dei palazzi imperiali, aspra, durante la quale i falchi capeggiati dal triumvirato bipartisan Clinton-Petraeus-McCain hanno sicuramente chiesto ragione all'attuale amministrazione del perché abbia lasciato campo libero ai Russi in Siria.
Sì, perché al di là delle mitologie antimperialistiche, la Casa Bianca e il Pentagono sapevano da parecchio tempo cosa stavano preparando i Russi col loro trasbordo di materiale a Tartus e a Latakia che passava da mesi e mesi, senza proteste degli Stati Uniti o richieste di chiusura dello spazio aereo, sulla zucca di Erdoğan. Era un "mi volto dall'altra parte" frutto di un accordo tra Mosca e Washington che si è esplicitato la prima volta durante la "crisi degli attacchi chimici" del 2013.
Forse l'inaspettata efficienza e l'inaspettata incisività dell'intervento russo unite alle possenti pressioni del partito della guerra (e dell'industria bellica), forse questo più la paura di non uscire dalla crisi e dalla decadenza egemonica, legate a doppio mulinello, forse l'effettiva difficoltà a questo punto degli eventi di avere una strategia chiara e di lunga durata, tutto questo può aver fatto optare per l'incerto "piano C", cioè la sostituzione con una nuova entità del bloccato, seppur non sconfitto, e totalmente impresentabile Isis (oltre il 70% dei cittadini britannici si è dichiarato a favore dell'intervento Russo).
Un'entità che la Nato, se la mia ipotesi è corretta, dovrebbe oggi direttamente sostenere sul campo, per gran parte con la sua aviazione.
Qual è questa nuova entità? E' la non meglio definita coalizione di Curdi e Yazidi presentata da Washington come la forza che libererà Raqqa dallo Stato Islamico. Una presentazione per certi versi stravagante. A parte l'imprecisa definizione, perché gli Yazidi sono curdi anch'essi, benché di religione, appunto, yazidi, i Curdi non sono un popolo omogeneo politicamente e le loro differenze politiche si intrecciano con le differenze geografiche. Una stranezza ben più importante è questa: perché i Curdi dovrebbero morire per arrivare a Raqqa, città sunnita in mezzo a una regione sunnita? Il programma è dunque visibilmente impostato da fuori, com'era da aspettarsi.
Ma ci staranno i Curdi? Alcuni loro dirigenti hanno già fatto sapere che per loro Raqqa ha una priorità bassissima, seppur ce l'ha. Il loro primo obiettivo è un ipotetico Kurdistan a ridosso di Turchia e Iran.
In secondo luogo, che tipo di alleanza si può instaurare tra i Curdi iracheni e quelli siriani? Questi ultimi non si sono dimostrati particolarmente ostili a Damasco, che dal canto suo gli ha riconosciuto la piena autonomia, e hanno idee politiche socialisteggianti che non sembrano andare molto d'accordo con quelle dei dirigenti curdi iracheni.
Un obiettivo troppo eterodiretto e una relativa disomogeneità tra gli alleati potrebbero rappresentare un primo intoppo.
3. La Turchia e l'Arabia Saudita alle prese col "piano C".
Cercheremo di capire tra un attimo i vantaggi che l'impero pensa di ottenere da questa nuova avventura. Adesso vediamo però il secondo intoppo al progetto. Si tratta della Turchia, che di un Kurdistan a ridosso dei suoi confini non vuole nemmeno sentire parlare. E infatti bombarda i Curdi della Rojava siriana su cui invece puntano gli alleati americani. Erdoğan ha fatto sapere che è pronto a invadere il Nord della Siria con 10.000 uomini, per «creare una zona cuscinetto tra Turchia e Isis», come afferma con estremo sprezzo del ridicolo, proprio lui che assieme all'Arabia Saudita è notoriamente il più grande sostenitore del "Califfato".
Ovviamente i Curdi siriani, che hanno stretti collegamenti col PKK (Partito dei Lavoratori del Kurdistan) in Turchia, non se la bevono e nemmeno gli Usa. È però un avvertimento a tutti e due.
Oltre all'odiata ipotesi di Kurdistan, la Turchia vede minacciata l'esigenza di alcuni suoi forti gruppi di potere di espansione in Medio Oriente, esigenza per la quale il Fratello musulmano Erdoğan era un buon vettore, benché ostico alla laica magistratura e al laicoesercito (che infatti sono stati purgati). Rovinato il nuovo sogno di rifare a ritroso parte del percorso di quel Lawrence d'Arabia che lì aveva sconfitto l'Impero Ottomano, la Turchia rischia di essere ricacciata nel sogno panturanico di quindici anni fa, cioè l'allargamento della sua sfera d'influenza nel "turkmenistan" centroasiatico, dove però dovrebbe vedersela direttamente con la Russia proprio mentre ne ricerca la collaborazione economica (perché anche la Turchia sa benissimo che in Occidente c'è poca trippa per gatti).
Il secondo contendente regionale insoddisfatto dal "piano C", è l'Arabia Saudita col contorno dei suoi compagni di merende peninsulari.
Questa proprietà privata della Casa Saud, perché in realtà non è uno Stato, versa in gravi difficoltà finanziarie, tra le quali spiccano il 20% del rapporto debito-Pil e il nervosismo dell'FMI. Difficoltà dovute al crollo del prezzo del petrolio. Come se non bastasse èimpantanata in modo pesante nella guerra nello Yemen, nonostante le stragi di civili che compie grazie alle bombe che noi Italiani-brava-gente le consegniamo dalla Sardegna (2.500 morti finora, di cui 500 bimbi, dati ONU, più una marea di rifugiati e l'impossibilità per milioni di persone di accedere all'acqua pulita). Riad sarà sempre più impantanata nonostante le armi che a questo regno, massimo finanziatore dell'Isis e suo mentore ideologico, Finmeccanica vuole vendere con la mediazione e gli auspici del boy-scout Matteo Renzi. E che i Cristiani in Medio Oriente vadano tutti a morire ammazzati, come sta già succedendo: come vedete stiamo parlando di un concentrato di infamia e ipocrisia che ha pochi eguali nella storia contemporanea (sicuramente Renzi andrà con gli altri sepolcri imbiancati del suo calibro al funerale delle vittime di Parigi, c'è da scommetterci).
Come se non bastasse, una volta scacciate da Iraq e Siria, le divisioni dell'Isis si potrebbero rivolgere in modo naturale verso La Mecca. Già lo hanno fatto sapere. E saggiamente il leader di Hezbollah, Hassan Nasrallah lo aveva detto qualche mese fa in occasione della minaccia dell'Isis di invadere Roma: "Cosa ci andrebbe a fare a Roma l'Isis [a parte, aggiungo io, qualche possibile attentato]? La sua meta finale è La Mecca".
Preoccupati da questo intreccio di problemi, i regnanti sauditi stanno compiendo viaggi seriali al Cremlino, sia per dare un avvertimento a Washington che, ovviamente, mette i propri interessi al di sopra di quelli dei suoi alleati, sia per avere un sostegno politico. Sia, infine, perché Riad e Mosca condividono uno stesso problema economico: il crollo del prezzo del petrolio.
4. I vantaggi del "piano C".
I vantaggi di questo piano per gli Usa e il suo impero sono evidenti: bloccare la riconquista siriana delle zone occupate dall'Isis, limitando però il rischio di uno scontro militare coi Russi e creare un cuneo nel bel mezzo del Medio Oriente, tra Damasco, Baghdad e Teheran, un cuneo non più islamista fondamentalista, ma di altro tipo.
A Mosca, che di sicuro protesterà per l'illegalità dell'intervento, perché non sarà richiesto dal legittimo governo della Siria e probabilmente nemmeno da quello dell'Iraq, potrebbe implicitamente andar bene come situazione di compromesso e forse con qualche aggiustamento territoriale anche a Damasco nell'attesa di una riconciliazione nazionale.
Nonostante l'efficacia dei loro raid aerei, i generali russi sanno bene che sconfiggere l'Isis non sarà una cosa immediata e che è necessaria una riorganizzazione dell'Esercito Arabo Siriano e nuove forze sul terreno.
Un ex analista militare statunitense nato da una famiglia russa anticomunista emigrata in America, su questo punto si è esercitato con un'analisi comparativa e differenziale con l'ultimo intervento israeliano in Libano. Ebbene, Israele compiva circa 400 raid aerei al giorno contro gli 80-100 dei Russi in Siria, usava in modo martellante l'artiglieria, cosa che l'Esercito Arabo Siriano non fa, e aveva sul terreno 30.000 soldati contro il migliaio scarso di combattenti di secondo livello che Hezbollah schierava a sud del fiume Litani mentre manteneva lontani dalla linea di contatto il grosso delle forze e i reparti d'élite. Un rapporto di 30 a 1 che i Siriani nemmeno si sognano. Ebbene, nonostante questo enorme vantaggio, Israele fu costretto a ritirarsi e a chiedere una forza di interposizione.
Lo stesso problema si pone teoricamente anche alla nuova coalizione che verosimilmente verrà sostenuta dalla Nato qualora l'ipotesi che stiamo esaminando si rivelerà giusta. Teoricamente, perché non è escluso che i combattenti dell'Isis vengano traditi dai loro capi, cioè quelli in contatto con chi "leads from behind" (fra cui il senatore McCain, presidente della Commissione Difesa del Senato americano, come lui stesso ha ammesso apertamente).
C'è un ulteriore punto molto delicato che si formula così: chi comanda attualmente negli Stati Uniti? Il suo governo sembra oggetto di mini pronunciamenti golpistici. Si pensi appunto a McCain, presidente della commissione Difesa del Senato degli Stati Uniti, che dichiara di essere in contatto con gli ufficiali dell'Isis (e che documentatamente si è incontrato due anni fa in Siria col "califfo" al-Baghdadi). Si pensi al generale Petraeus che al Senato dichiara senza pudore che al-Qa'ida è il miglior alleato degli Usa in Medio Oriente, si pensi al generale John Allen, rimosso da Obama perché invece di bombardare l'Isis gli paracadutava armi. Forse anche l'attacco a Parigi è frutto di questi cripto-golpisti e delle loro ramificazioni nella Nato. Una politica dei fatti compiuti che poi l'amministrazione Obama coi suoi vassalli deve gestire, come probabilmente è stato il golpe nazistoide a Kiev o la guerra nel Donbass.
Ogni persona di buon senso sa che un confronto diretto con la Russia sarebbe letale. Impossibile vincerlo con armi convenzionali. Il maresciallo Montgomery dichiarò in una audizione alla Camera dei Lord che la prima regola del manuale di guerra era "Non marciare mai su Mosca" (aggiungendo che la seconda era "Non marciare mai su Pechino").
Impossibile vincerlo con armi nucleari, perché non ci sarebbe sbarramento antimissili che terrebbe. Ogni persona che si occupa di cose militari lo sa, ma anche ogni persona di buon senso lo capisce. Forse qualche invasato crede alla propria propaganda, all'idea folle che sarebbe protetto dalla ritorsione Russa a un "first strike" nucleare. Ma immagino e spero che in quel caso sarebbero i militari statunitensi stessi a non permettergli di spingere il bottone.
Tuttavia non è impossibile escludere che qualcuno non sia intenzionato a rischiare una situazione tipo Il dottor Stranamore, cioè a mettere gli Stati Uniti e il mondo occidentale di fronte a un fatto compiuto di gravità inaudita, magari contando su un altamente improbabile cedimento in extremis dell'avversario. Ognuno di noi che abbia una coscienza, uomo o donna, comune cittadino o impegnato nella politica, di qualsiasi schieramento, ha l'obbligo di vigilare che questo non accada mai, ha l'obbligo di compiere ogni sforzo perché a questo non si arrivi mai.
La crisi sta mettendo fuori gioco tutto il vecchio armamentario che viene così ridotto a due cose: stampare soldi senza valore e iniettarvi valore con le armi. Questa è l'essenza attuale della crisi. Una formula che non sta in nessun manuale di Economia, ma sta nella realtà dei fatti. E, come dice il proverbio, quando tutto ciò che si ha in mano è un martello, tutto ciò che esiste sembra un chiodo.
Dio ci protegga dai potenti!
5. L'Europa e noi.
Purtroppo sembra difficile ravvisare nei governi europei anche labili tracce di coscienza. Sono ormai al servizio, entusiasta o riluttante, acquistato per un prezzo o imposto con la paura, delle variabili strategie degli Stati Uniti. La grande Unione Europea, Nobel per la Pace, ondeggia tra l'ignominia e la vigliaccheria. Le sue nuove élite, e in particolare quelle progressiste da tempo estasiate dall'essere state finalmente accolte a pieno diritto nei salotti buoni imperiali, sguazzano nell'ingiustizia e nelle atrocità in un modo che avrebbe inorridito non solo la vecchia guardia di sinistra ma anche il reazionario più spudorato del dopoguerra. Grondano sangue e sporcizia dalla testa ai piedi, da ogni poro.
Abbiamo un solo compito e una sola possibilità: non starle più a sentire e lavorare per un'Italia neutrale e un nuovo movimento di paesi non allineati con nessuna grande potenza.
Dio ci protegga dai potenti!
fonte:megachip
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