di Gianni Lannes
C’era una volta Pier Paolo Pasolini. Di lui amo l’anima corsara e veggente. Nella profezia scritta nel 1972 del romanzo postumo Petrolio - che Garzanti non volle pubblicare e mandò in stampa poi l’Einaudi, Pasolini aveva annotato, ben 8 anni prima della strage di Bologna:
«La bomba è fatta scoppiare: un centinaio di persone muoiono, i loro cadaveri restano sparsi e ammucchiati in un mare di sangue, che inonda, tra brandelli di carne, banchine e binari (…)». L'ordigno, infatti, viene piazzato nella sala d'attesa della stazione di Bologna. La strage viene descritta come una “visione”.
Pasolini aveva intuito la verità indicibile sul delitto Mattei e sulle stragi di Stato. Le sue ultimissime parole pubbliche (1 novembre 1975), infatti, sono state:
«Voi siete i grandi conservatori di questo ordine orrendo basato sull’idea di possedere e sull’idea di distruggere».
Poeta, scrittore, regista di un cinema irripetibile - Le ceneri di Gramsci, Ragazzi di vita, Accattone, Salò - e polemista con Gli scritti corsari, dove disse della mutazione antropologica cui andava incontro la società italiana, chiedendo infine un processo per la classe dirigente del belpaese, che lui chiamava “il palazzo”.
Pasolini del quale ricorrono i 40 anni dalla tragica uccisione, mostra intatta ancora oggi la realtà della propria assenza. La perdita della passione intellettuale. «Si applaudono soltanto i luoghi comuni, mentre sarebbe il caso di coltivare l'atrocità del dubbio», dirà ai ragazzi durante una dibattito sulla terrazza del Pincio, poco prima del 2 novembre 1975, quando all'idroscalo di Ostia venne spietatamente assassinato da tre balordi mandati su commissione.
«L'immagine più bella di Pasolini è quella dell'umile Italia, del popolo innocente e percosso, affamato di storia» scriverà Paolo Volponi. Dov'eravamo, ma soprattutto cosa eravamo quella notte novembrina di 40 anni fa? Per tanti i ricordi sono rimasti intatti. Ero in quinta elementare e il maestro l'indomani ci chiese di scrivere un tema. Oggi in questo nulla dilagante, occorre interrogarsi sulla memoria e l'eredità di una grande poeta civile, andate forse disperse insieme al suo mondo, al suo immenso coraggio politico.
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