mercoledì 23 dicembre 2015

LA COMPLICITÀ DELL’OCCIDENTE NEL TRAFFICO DI REPERTI ARCHEOLOGICI DELL’ISIS



Reperti archeologici rubati dai terroristi

Nel luglio scorso, quando gli uomini della sicurezza in Afghanistan hanno aperto il bagagliaio dell’auto di Shahidullah Shaid, il numero 3 dell’Isis locale appena ucciso da un drone americano, invece di trovare armi hanno scoperto un carico di reperti archeologici correttamente catalogati e imballati. Quel ritrovamento, che può apparire strano ai più, accende i riflettori su una realtà perfettamente nota alle “intelligence” di tutto il mondo: il commercio clandestino di antichità costituisce la terza fonte di finanziamento dei terroristi, dopo il traffico di droga e di armi e addirittura prima del contrabbando di petrolio, del traffico di esseri umani e dei rapimenti.



L’accanimento nel distruggere siti archeologici dimostrato dai tagliagole dell’Isis in tanti filmati racconta solo un frammento bugiardo di verità: con quelle immagini di “propaganda” i miliziani mostrano di voler distruggere i simboli corrotti e idolatri del passato pre-islamico; nella realtà il loro interesse per i siti archeologici è dettato dalla precisa volontà di razziare tutto ciò che può essere asportato e fare a pezzi dinanzi alle telecamere quello che non può essere rubato.

Il “commercio” delle antichità nei territori controllati dall’Isis è minutamente pianificato: dopo lo scavo o la razzia nei musei, i reperti vengono venduti a ricettatori “accreditati”, e se l’affare è concluso da soggetti esterni all’Isis, questo incassa una “tassa” sulla transazione.

La ragione per cui Khaled Al-Asaad, uno dei massimi esperti mediorientali e direttore del sito archeologico di Palmira, è stato oggetto di una caccia spietata e poi lungamente torturato, è stata farsi rivelare dove aveva nascosto l’incalcolabile patrimonio di opere d’arte che aveva trasferito prima dell’arrivo dei terroristi. Quando è stato chiaro che i reperti erano stati messi in salvo altrove, a 82 anni è stato pubblicamente decapitato a monito per chiunque altro si trovasse nelle stesse condizioni.

Il traffico illegale di antichità in Medio Oriente passa soprattutto dal Libano, il principale punto di partenza dei reperti destinati al mercato nero occidentale; ma sono attivi anche i porti degli Emirati e del Qatar, punti di partenza di parte di ciò che viene dall’Iraq.

La “merce” imbarcata è avviata alle piazze di Ginevra, Londra e New York dove viene riciclata e “legalizzata” dai trafficanti che creano falsi documenti di provenienza. Molti Paesi hanno una normativa assai permissiva, e basta la documentazione di pochi passaggi di mano più o meno fittizzi per consentire il rilascio dei certificati che permettono di vendere l’oggetto con una verniciatura di legalità.

Gli Stati Uniti, complice la mancata ratifica della Convenzione Unidriot del 1995, costituiscono il più grande mercato di reperti archeologici e persino i musei acquistano antichità ufficialmente in modo legale ma chiudendo entrambi gli occhi sulla loro reale provenienza.

Secondo i dati dell’Unesco e dell’Interpol, il giro d’affari attorno al commercio illegale di opere d’arte si aggira fra i 6 e gli 8 miliardi di dollari. Un fenomeno in crescita vorticosa che solo negli Usa, secondo il Ministero del Commercio americano, rappresenta miliardi. La stessa Federal Reserve ha recentemente lamentato che l’acquisto di reperti e opere d’arte per investimento (equiparati a beni rifugio in tempi di crisi) sta drenando una massa di liquidità dal mercato.

È l’ottusa avidità di troppi nuovi ricchi a caccia di status symbol e di musei e case d’arte in cerca dell’affare a garantire un flusso ininterrotto di denaro ai tagliagole dell’Isis e agli altri terroristi.

Per rimanere in Siria, le autorità hanno fatto tanto per proteggere il proprio vasto patrimonio culturale, ed oltre 15 funzionari ed esperti della Direzione delle Antichità di Damasco ne hanno pagato con la vita la difesa, ma la situazione è in drammatico peggioramento. Dinanzi al progressivo inaridirsi di altre fonti, come il contrabbando di petrolio, attualmente oggetto di pesanti attacchi sui pozzi, le raffinerie e le autobotti ad opera soprattutto dei Russi, e con la prospettiva di doversi ritirare da molti siti sotto l’incalzare delle offensive in Siria ed Iraq, il Daesh sta accelerando la sua opera vandalica per realizzare tutto ciò che può.

Lo scempio irreparabile che sta avvenendo è un danno immenso per tutta l’umanità, perpetrato non solo dalla barbarie d’un pugno d’assassini, ma anche da un Occidente ipocrita che poco o nulla fa per colpire chi alimenta quell’ignobile traffico, spesso troppo ricco e potente per essere “infastidito”.
Fonte: Il Faro sul Mondo

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