Un articolo di aggiornamento sulla Grecia, pur da un punto di vista mainstream, ci mostra una situazione di sbando con il governo ridotto a una precaria maggioranza e un clima di sfiducia generalizzato sia all’interno del paese che verso i partner della cosiddetta “unione” europea. La parabola di Tsipras, con le sue speranze e le sue disillusioni, porta con sé la fatica della sopravvivenza nel vuoto della politica.
Dopo un anno turbolento – due elezioni, un referendum, il default, la chiusura delle banche, i controlli sui movimenti di capitali e l’arrivo di un’ondata di immigrati – c’è da stupirsi che la Grecia sia ancora in piedi, come il Partenone che domina Atene.
Eppure la prima impressione di chi arriva non è quella di un Paese in profonda depressione, giunto all’ottavo anno di una recessione che ha provocato una contrazione dell’economia superiore al 25% e la perdita del lavoro per una persona su quattro.
Certo, per le strade c’è più gente che chiede l’elemosina, la sanità pubblica è in declino e molte famiglie greche si ritrovano a patire privazioni. Ma i bar e i ristoranti sono pieni, le luci di Natale scintillano e ad Atene nei negozi del centro i soldi si spendono in abbondanza.
Il paradosso è che la situazione è peggiore di come sembra.
Dopo che a metà anno si è sfiorata la catastrofe, quando il governo di sinistra radicale del primo ministro Alexis Tsipras ha rifiutato un accordo di salvataggio con i creditori, non è stato in grado di restituire i prestiti al Fondo Monetario Internazionale, ha organizzato un referendum per sfidarli ed è stato costretto a chiudere le banche per tre giorni e a stabilire un limite per i prelievi di contanti, la Grecia ora è in una situazione migliore.
Il governo Tsipras, che è stato rieletto, sta sistematicamente mettendo in atto le misure richieste dal terzo programma di salvataggio alla fine accettato in agosto, sta cooperando in modo migliore con le istituzioni creditrici e ha ricapitalizzato con successo le quattro grandi banche cruciali per la tenuta del sistema.
Il suadente ministro delle Finanze Euclide Tsakalotos sta lavorando per costruirsi un buon curriculum di risultati, sperando in un accordo per ristrutturare e prolungare la scadenza del debito greco nei confronti dell’Eurozona entro la prossima primavera e in un rilancio dell’economia nella seconda metà del 2016.
L’economia non dà segni di ripresa, ma nemmeno ha subìto il tracollo previsto da alcuni economisti come conseguenza del controllo dei capitali. Secondo fonti governative, molti risparmiatori si erano già mossi in previsione del peggio, accumulando i contanti sotto il materasso o in conti all’estero accessibili via carta di credito.
Questi tentativi di stabilizzazione politica e finanziaria potranno trasformarsi in una ripresa sostenuta? Tutto dipende dalla fiducia: ma di fiducia ce n’è poca.
Sospetto reciproco
Benché Klaus Regling, direttore del fondo salva-stati europeo, la settimana scorsa abbia affermato che “è stata ristabilita un po’ di fiducia”, i governi dell’eurozona si fidano poco della Grecia, dopo la tempesta di quest’anno, e la tengono stretta al guinzaglio.
Il sentimento è reciproco. Lo scontento del ministro delle Finanze tedesco Wolfgang Schaeuble, che in luglio ha cercato di far uscire la Grecia dall’euro, cova sotto la cenere nelle stanze ministeriali.
E anche sulla crisi dei migranti c’è una profonda diffidenza tra Atene e i partner europei, alcuni dei quali hanno agitato la minaccia di sospendere la Grecia dall’area Schengen, per costringerla ad accettare la partecipazione dell’Unione europea alla gestione dei suoi confini.
I Greci ritengono di essere stati colpiti dall’onda d’urto degli arrivi con scarso supporto pratico o economico da parte dell’Unione. Gli altri governi accusano Atene di non riuscire a controllare i confini esterni dell’UE e di non registrare i migranti prima di dare loro il via libera verso l’Europa del nord.
E questo non è sicuramente l’unico aspetto in cui la fiducia manca.
Il mondo degli affari non si fida del governo, sia a causa degli imprevedibili aumenti delle tasse sia dell’incertezza generale sulle regole, ma anche perché lo Stato deve al settore privato qualcosa come 6 miliardi di euro di arretrati.
La settimana scorsa Tsipras, durante una conferenza di affari Greco-Americana tenuta ad Atene, ha lanciato un appello agli investitori stranieri. Ma il suo governo è ancora esitante sulle privatizzazioni, riluttante a cedere le proprietà pubbliche e succube della retorica anticapitalista.
Inoltre, la Grecia tiene lontani gli investitori, diffondendo l’immagine di un Paese schiacciato da una paralizzante montagna di debiti e vittima di creditori rapaci, piuttosto che di una terra di opportunità per fare affari.
“Bisogna avere una storia positiva e vendere un piano che giustifichi l’investimento”, ha commentato John Moran, già segretario generale del ministero della Finanza Irlandese, che collaborò a orientare la strategia di ripresa di Dublino dopo il programma di salvataggio UE/FMI.
Sul fronte politico, i tre partiti di centro, moderati e dell’opposizione moderata che hanno sostenuto il programma di salvataggio in Parlamento ora si rifiutano di soccorrere il governo su un punto scottante: la riforma delle pensioni.
Una maggioranza che si assottiglia
Nessuna delle parti ha fiducia negli argomenti dell’altra. I partiti al potere prima di Tsipras – corresponsabili del sistema clientelare greco – sono anche troppo felici di far ribaltare il tavolo di Syriza, il partito di sinistra del premier, che quando era all’opposizione soffiava sul fuoco dell’indignazione popolare contro l’austerità e i tagli alle pensioni.
Secondo Nick Malkoutzis, editorialista del sito di analisi politiche ed economiche MacroPolis, la fiducia scarseggia anche tra il pragmatico Tsipras e il suo stesso partito, benché le ali di sinistra più radicali siano state sconfitte e abbiano abbandonato Syriza durante l’estate.
Il sostegno al governo si è già ristretto fino a far basare la maggioranza su tre soli seggi, il che rende Tsipras vulnerabile sia nei confronti delle defezioni di chi è contrario all’incombente riforma delle pensioni – che punta a ridurre i vantaggi e alzare i contributi – sia dei parlamentari che sfruttano la loro posizione per ottenere incarichi o favori.
“Tsipras rischia di ritrovarsi senza più una maggioranza al momento di portare in Parlamento la riforma delle pensioni e delle tasse”, avverte Malkoutzis, anche se sottolinea che Tsipras potrebbe riuscire ad assicurarsi il sostegno dei nove parlamentari dell’Unione dei centristi per puntellare la sua coalizione.
Un funzionario del governo vicino a Tsipras ha affermato di essere sicuro che si troverà una maggioranza per affrontare “scelte molto coraggiose”, come unificare i diversi e cronicamente sottofinanziati enti pensionistici.
Ancora, la fiducia scarseggia tra il governo di Tsipras, composto per lo più di accademici con scarsa esperienza di governo, e una amministrazione pubblica indebolita e demoralizzata.
Un funzionario dell’amministrazione, che ha chiesto di rimanere anonimo, ha dichiarato che molti ministri si comportano da dilettanti. Uno stretto collaboratore di Tsipras ha ribattuto che Syriza, in quanto outsider, si è trovata ad affrontare “tutti i problemi della burocrazia greca… ma noi possiamo usare la nostra influenza politica e il nostro mandato per far muovere le cose”.
Il rischio è che se anche i ministri spingono le leve giuste, nulla si muova in sala macchine.
da vocidallestero
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