mercoledì 30 dicembre 2015

PROVE TECNICHE DI REGIME: IL NOVELLO DUCE MATTEO RENZI: “L’ORDINE DAI GIORNALISTI VA ABOLITO E SOTTOPAGARE LE IENE DATTILOGRAFE NON È UNA BARBARIE” …NESSUNO SI DEVE PERMETTERE DI DENUNCIARE I CRIMINI DEL NOVELLO DUCE CONTRO LA GENTE!!



Perché Renzi ce l’ha con quei gufi di giornalisti
L’Ordine va abolito e sottopagare le iene dattilografe non è una barbarie. Così il premier, un po’ alla D’Alema e un po’ alla Berlusconi, si mostra sempre più insofferente verso una categoria che non ha mai amato. Dai talk show “pollaio” al concorso leopoldino “Scegli il peggior titolo di giornale”, passando per la riforma delle intercettazioni.


Sono passati esattamente 365 giorni, dall’ultima conferenza stampa di fine anno, e stavolta Matteo Renzi mette da parte la prudenza: “La mia posizione è nota: fosse per me l’Ordine dei giornalisti lo abolirei domani mattina”, sbotta al tavolo con Enzo Jacopino, presidente dell’Ordine nazionale dei giornalisti. Il 29 dicembre 2014 era stato più cauto: “L’opinione sulla riforma dell’ordine dei giornalisti la tengo per me”, disse, aggiungendo blando che “il governo avrà il desiderio di collaborare per capire quali leggi di riforma (dell’Ordine, ndr) possono essere approvate, in che tempi e in che modi”.



Anche così, dunque, slitta l’atteggiamento del premier nei confronti del vasto mondo dell’informazione. Un crescendo a partire da questa estate, quando proprio lui, creatura che si è affermata da Rottamatore nei talk show, li ha dipinti come “un pollaio” inguardabile. E poi nell’ultima Leopolda, quando ha messo su la parodia di un concorso sul “Top delle 11 balle sul governo Renzi” con relativo il referendum on line “Scegli il peggior titolo di giornale” (“I titoli dei giornali li faccia direttamente lui, così facciamo prima”, ha twittato Ferruccio De Bortoli, quel gufo rosicone). E infine oggi, con il punzecchiamento continuo con il presidente Jacopino, nel corso della peraltro istituzionale conferenza stampa di fine anno.

Non c’è soltanto l’abolizione dell’Ordine, infatti: assai più significativo, è il modo con il quale Renzi ha respinto come infondata la denuncia per gli scarsi compensi a cui sono sottoposti molti giornalisti precari. Jacopino fa l’esempio di “guadagni da 4900 euro l’anno” e parla di “schiavitù e barbarie”. Subito Renzi replica: “Non condivido le sue parole. E non credo che ci sia una schiavitù o una barbarie in Italia”, perché quelle sono parole da usarsi, per esempio, per le donne in catene, argomenta il premier, non per i giornalisti. “Ma una barbarie più grande non annulla un’altra barbarie”, replica Iacopino.

Ora, senza perdersi nella querelle terminologica o in ipotetiche classifiche di barbarie, c’è più che altro da segnalare che Renzi, da ultimo – persino arrivando a negare l’esistenza di giornalisti sfruttati – mostra di amare sempre meno una categoria che del resto non ha mai amato. Un atteggiamento, peraltro, anche difficile da classificare. Sarcastico come quello di Massimo D’Alema con le sue “iene dattilografe”, attento come quello di Walter Veltroni che non si perdeva un inciso, ma insieme liquidatorio come quello di Silvio Berlusconi, per il quale i giornali erano tout court covi di comunisti. Lo si potrebbe definire ambiguo?

Di certo c’è che se è vero che il mestiere di giornalista è, o meglio dovrebbe tendere ad essere quello del gufo (critico, diffidente, eccetera), ciò che rende così difficilmente classificabile l’atteggiamento del premier è che, a differenza di tutte le altre categorie di gufi, i giornalisti Renzi vorrebbe anche, irresistibilmente, portarli dalla propria parte. Trasformarli in colombe, quando già non lo siano. Come ebbe a dire a un giornalista, che in una pausa del Consiglio Ue gli chiedeva della tempistica sul pareggio di bilancio: “Non pretendo di convincerla della bontà della linea del governo ma voglio aiutare gli italiani a capire che l’Europa è il nostro futuro e non il passato”. Ecco, il punto è però che per convincere gli italiani, un po’ anche i giornalisti deve convincerli. Altrimenti gli italiani non capiscono, si confondono. Gufi, da trasformare in colombe.

Di qui, una grande attenzione nello stabilire da un lato quali siano i giornalisti “buoni” e quelli “cattivi” (c’è chi dice esistano addirittura delle liste, ma è senz’altro un rosicone), e dall’altro, in pubblico, nell’avanzare tutta una serie di artifici di slide e una trama di battute e cameratismo che, anche titillando gli ego sempre abbondanti nella categoria, riscuotono anche un qualche successo. Accade però poi che dietro la battuta brillante si nascondano buone dosi di sarcasmo e quasi la volontà di dirigere, più che di convincere (“a volte le vostre sinapsi mi stupiscono”, “ma quanti siete? Tutti italiani? si potrebbe proporre una spending review anche per voi”, “i botti di capodanno non mi sembrano la notizia chiave di oggi” ). Mirabile l’esempio tratto, di nuovo, dalla conferenza stampa dello scorso anno, quando i giornalisti volevano a tutti i costi tirar fuori dal premier un nome papabile per il Quirinale, e lui non voleva farlo: “Non facciamo il ping pong. Noi possiamo stare nella prossima ora a fare le stesse domande, io darò le stesse risposte, metto il pilota automatico”, sbottò Renzi. Lui, in effetti, era invece ansioso di sottolineare di “aver riformato il mondo del lavoro, apportato delle modifiche alla riforma costituzionale un cambiamento della giustizia, un decreto sul fisco di cui si sta scrivendo poco ma che è una pietra miliare”. E certo il giornalismo a volte è anche un mestiere scemo, dove ci si ostina a fare le stesse domande, magari inutili, invece di parlare delle “pietre miliari” piantate dal governo. Una croce che però, anche quando sostanzialmente inoffensiva, Renzi mostra di sopportare ancor meno degli altri. Perché appunto, toglie spazio agli argomenti chiave.

Del resto, il premier è talmente bravo nell’imporre il proprio story telling, la propria narrazione, a fare da spin doctor di se stesso, che non si capacita, quasi si dispiace, quando la piega dell’informazione non è esattamente quella che a lui sembra più equa, più giusta. E certo non gli sarà piaciuto che, per fare un esempio, in autunno l’Ordine dei giornalisti, insieme a una serie di altre associazioni, abbia promosso la battaglia sul “no al bavaglio” contro il disegno di legge che affida al governo “il potere di stabilire le regole sulla pubblicazione delle intercettazioni limitando la diffusione a quelle di rilevanza penale ed escludendo le conversazioni d’interesse pubblico”. Perché Renzi vorrebbe solo proteggere le persone non coinvolte dalle indagini, brutto si dica che con le restrizioni non si sarebbe saputo nulla di Calciopoli, dell’indagine su propaganda Fide, delle risate di Francesco Piscicelli all’indomani del terremoto a L’Aquila. E mentre quella battaglia è destinata a riaccendersi (basta solo aspettare i prossimi passaggi parlamentari), c’è da notare che nelle due ore di conferenza stampa il maggior pepe lo abbia riservato giusto ai giornalisti. Chissà perché: certo non gli mancavano gli argomenti.

fonte: http://espresso.repubblica.it/palazzo/2015/12/30/news/perche-renzi-ce-l-ha-con-quei-gufi-di-giornalisti-1.245339?ref=HEF_RULLO

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