giovedì 21 gennaio 2016

IL CROLLO DEL PREZZO DEL PETROLIO È IL NEMICO NUMERO UNO DI DAESH


Personale al lavoro presso la raffineria di Marchmarin, provincia di Idlib, Siria. 16 dicembre 2015. REUTERS/Khalil Ashawi


All'apertura delle agenzie stampa del 20 gennaio una notizia proveniente dalla Siria ha fatto inorridire, ancora una volta, il grande pubblico occidentale: Daesh ha annunciato di aver raso al suolo il più antico monastero cristiano in Iraq, quello di Sant'Elia (St. Elijah) a Mosul, fondato nel 595dC da Mar Elia, monaco assira. Sant'Elia era in rovina dagli inizi del XX secolo ma era ancora il centro della comunità cristiana regionale, in particolare dei cattolici caldei, com'è stato per secoli.

Sempre lo stesso giorno altre due notizie provenienti dai territori occupati dal Daesh in Siria ed Iraq, unite assieme, forniscono un quadro piuttosto interessante sulla situazione generale all'interno dello Stato Islamico: la prima è nota da martedì 19 gennaio quando Dabiq, il magazine di propaganda del sedicente Califfato, ha pubblicato un necrologio-elogio di Mohammed Emwazi, conosciuto in occidente come “Jihadi John”, un cittadino britannico di origini kuwaitiane che sarebbe stato ilprotagonista dei video di propaganda giudicati (a torto) i più cruenti. Di certo sono tra i video più impattanti ed altrettanto certamente, contrariamente alla maggior parte della produzione video di Daesh, erano rivolti ad un pubblico occidentale: il protagonista parlava in inglese, si rivolgeva a Obama e Cameron e decapitava ostaggi invocando l'arrivo di truppe di terra di “infedeli” per mostrare la grandiosità militare degli islamisti.

La seconda notizia è passata invece più sotto silenzio ma è anche quella che certamente è più interessante delle tre, almeno sotto il profilo dello “stato dell'arte” del progetto islamista di uno Stato Islamico: secondo quanto comunicato dall'Osservatorio siriano per i diritti umani, un'organizzazione formata da più soggetti ed associazioni presenti sul posto in Siria, nelle zone più calde e nei territori controllati dagli islamisti, ieri un comunicato del comando supremo militare di Daesh informava i combattenti, “mujaheddin”, della decisione di dimezzare gli stipendi “a tutti i livelli” delle forze armate. Sommariamente, sono tre i gradi di retribuzione tra i miliziani che combattono al fronte resi noti dal Financial Times: tra i 50 e i 150 dollari per i Munasireen, soldati al servizio di Daesh che non hanno giurato fedeltà al Califfo, tra i 200 e i 300 dollari per i Mubayeen, che giurano fedeltà al Califfo e ricevono anche bonus per le campagne militari (questo è lo stipendio medio per un combattente), e 600 dollari per i Muhajireen, i soldati stranieri (possono guadagnare fino a 1000 dollari al mese facendo gli “straordinari”).

Secondo Adamo Szubin, un sottosegretario al Tesoro americano, Daesh nel 2015 ha intascato 500 milioni di dollari dalla vendita diretta del petrolio sul mercato nero mentre una cifra oscillante tra i 500 milioni e il miliardo di dollari è stata saccheggiata dai caveau delle banche rapinate tra l'Iraq e la Siria. Altri milioni (“molti milioni” disse il sottosegretario il 10 dicembre scorso) provengono dalle tasse e dalle estorsioni delle popolazioni che vivono nei territori controllati da Daesh.

Nel 2015 Daesh avrebbe incassato 40 milioni di dollari al mese dalla vendita di petrolio sul mercato nero e, sostengono gli americani, i principali acquirenti sarebbero due: Turchia e Siria. “Stanno cercando di massacrarsi l'un l'altro ma sono anche impegnati in milioni di dollari di commerci illegali”ha detto il sottosegretario americano riferendosi al regime siriano e a Daesh. Da parte sua la Russia ha mostrato in televisione le fotografie delle colonne di tir carichi di petrolio che indisturbati attraversano il confine turco verso le raffinerie. La metà di quel fatturato, circa 20 milioni di dollari al mese, è il costo solo degli stipendi dei combattenti. Per quanto riguarda mezzi, armi e munizioni non è possibile quantificare i costi: secondo il Financial Times il 70 per cento del fatturato di Daesh va in campagne militari.

I problemi per i forzieri dello Stato Islamico, i campi petroliferi siriani nei pressi di Raqqa (capitale del sedicente Califfato) e Deir Ez-Zor, sono cominciati con i bombardamenti francesi e russi che miravano proprio a quei campi, i più ricchi di tutta la Siria. Questo ha persuaso Daesh a nuove campagne militari, rinunciando al fronte nord (quello sul confine turco-siriano, la zona curda che fa riferimento a Kobane per intenderci) e concentrando i propri sforzi per nuove campagne militari nel sudovest della Siria, nel nord dell'Iraq e fino a Ramadi, alle porte di Baghdad. L'obiettivo non sono null'altro che i campi petroliferi in Siria ed Iraq: la concentrazione degli sforzi bellici in zone come Kirkuk e Baiji vanno proprio in questa direzione.

“Isil ha un obiettivo finanziario impegnativo: a differenza di altri gruppi terroristici solo una quota modesta dei suoi finanziamenti proviene da donatori esteri. Isil genera ricchezza dall'attività economica all'interno del territorio che controlla, cosa che rende difficile ogni contrasto […] la nostra sensazione è che Isil stia prendendo nuove risorse grattando il fondo del barile” diceva a fine dicembre il sottosegretario al Tesoro americano. Parole che potrebbero rivelarsi profetiche: ieri il prezzo del petrolio è sceso, per una parte della giornata, a 27,63 dollari al barile e il trend è in continua diminuzione. Un anno fa il prezzo era poco sopra i 58 dollari al barile e nel 2015 il massimo raggiunto è stato 71,94 dollari al barile: l'oscillazione verso il basso è stata di oltre la metà ed oggi siamo quasi ai minimi storici. E' quindi chiaro come questo abbia messo in difficoltà non poco le casse degli islamisti: le perdite territoriali avute nel 2015 (-14 per cento del territorio, sopratutto a nord) sono in parte la conseguenza di questo andamento.

La campagna militare infatti è andata in parallelo con l'andamento del prezzo del petrolio per tutto il 2015 ed anche il 2016 sembra confermare questo trend: quando Daesh ha cominciato a mostrare la distruzione dei monumenti (Hatra, Mosul, Nimrud, Ninive, Palmira, etc) il prezzo del petrolio aveva cominciato a scendere in maniera preoccupante. Cosa importa a Daesh del prezzo del petrolio sui mercati azionari? Molto, se lo stesso Daesh rivende il petrolio in nero: Daesh produce circa 30-40.000 barili di petrolio al giorno per un costo presunto, a barile, che oscilla tra i 30 e i 35 dollari. Da metà dicembre, e cioè da quando il prezzo del petrolio non è mai risalito sopra i 38 dollari, è diventato impossibile per Daesh estrarre petrolio e commercializzarlo con un margine accettabile.

Insomma, come avevamo già scritto parlando delle perdite territoriali di Daesh, anche economicamente lo Stato Islamico non sembra stare troppo in salute: la battaglia campale, probabilmente, deve ancora avvenire e, altrettanto probabilmente, il teatro sarà Mosul. Dove c'è una delle principali dighe del Medio Oriente e la principale fonte idrica dell'Iraq. Le guerre del futuro, ma non così tanto remoto, si combatteranno per il controllo delle fonti d'acqua. Daesh sembra saperlo molto bene e sembra, stando almeno dalle ultime notizie che arrivano dal fronte, che stia muovendo proprio in questa direzione: la diga di Mosul.

fonte ibtime

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