Fino a dove può spingersi il desiderio di avere un figlio? E’ lecito tutto pur di poter soddisfare il proprio desiderio di maternità o di paternità?
Ultimamente si discute molto di unioni civili, di utero in affitto, di adozioni gay… ma quasi sempre lo si fa in maniera distorta, guardando esclusivamente al soddisfacimento personale e ai bisogni dei più forti. E, come capita anche nel caso dell’aborto e dell’eutanasia, in molti si dimenticano dei soggetti più deboli e che non hanno voce.
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Fino a non molto tempo fa, parlando di un figlio si alludeva in maniera naturale e diretta a concetti quali la donazione di sé, il sacrificio, l’altruismo, la responsabilità… Oggi invece pare che il mondo si sia rovesciato.
Un documento significativo in tal senso – per quanto assai triste – è la testimonianza pubblicata oggi sul quotidianoAvvenire a cura di Lucetta Buoncuore.
La giornalista racconta infatti com’è riuscita – attraverso l’agenzia internazionale Baby Bloom-Omogenitorialità, che si pone come obiettivo quello di scopo quello di “permettere a ognuno di avere una famiglia” – a ‘prenotarsi’ un figlio ‘su misura’, anche se al un costo non proprio ‘economico’ di 140mila euro.
Donna, giornalista in carriera, in età non più fertile, la Buoncuore è la candidata adatta per l’agenzia Baby Bloom-Omogenitorialità. Ed è così che, eludendo l’attenta sorveglianza, riesce a procurarsi un incontro con una referente dell’agenzia di nome Xiomara.
“Molto cordialmente – scrive la giornalista – entriamo in argomento: io mi presento come aspirante mamma che ha passato l’età per avere figli e ha un grande amico gay disposto a donare il seme per aiutarla a realizzare il suo sogno di maternità. Xiomara mi spiega per filo e per segno tutto il processo seguito dalla sua organizzazione: donatrice d’ovuli e madre surrogata sono rigorosamente americane. L’azienda non ha alcun business con l’India, la Thailandia, il Nepal o altri Paesi poveri: «Troppi problemi – mi spiega –, molti bambini non nascono sani perché le madri sono sotto-alimentate e le condizioni igieniche disastrose». E cosa succede ai bambini che nascono, allora?, chiedo. «Vengono abbandonati e questo è triste»“.
La Baby Bloom lavora con due cliniche, una in California e l’altra nel Nevada, che mettono a disposizione le donne venditrici (è questa l’espressione più adatta, non certo ‘donatrici’, ndR) di ovuli: il prezzo va dai sei mila ai ventimila dollari.
A questo, naturalmente, va aggiunto il costo delle donne che affittano il proprio utero. “Le tariffe di queste donne– prosegue nel racconto la giornalista – variano fra i 25mila e i 40mila dollari a gestazione. Le più care sono quelle che hanno già portato in grembo il figlio di qualcun altro, perché «hanno esperienza», spiega la mia bruna interlocutrice. A quel punto mi lancio e chiedo: «Ma quali garanzie potete darmi che il bambino sarà perfetto? Io non voglio un bambino handicappato…». «Lei – mi viene risposto – stipulerà un contratto con la clinica e riceverà la garanzia scritta che il bambino sarà perfetto. Non c’é pericolo». «E se nonostante tutto viene concepito un embrione imperfetto?», insisto. «Un embrione imperfetto non viene trapiantato – mi rassicura Xiomara – e se l’imperfezione si manifesta più tardi viene interrotta la gravidanza. Lei ha l’assoluta garanzia di ricevere un bambino in perfetta salute»“.
Il ragionamento non fa una piega: dal momento che si paga, il figlio dev’essere perfetto. Se così non fosse, lo si elimina. Che tradotto vuol dire: lo si uccide.
Al momento del parto la donna che ha ordinato il figlio dev’essere presente, e se vuole può anche assistere alla nascita. Appena nato, il bimbo viene consegnato a chi lo ha comprato: “La madre surrogata non appare nemmeno, il figlio è suo!“, afferma Xiomara.
Per il primo mese la madre compratrice e il bambino devono rimanere in Usa, giusto il tempo di fare il passaporto. In questo lasso di tempo, se lo si desidera, si può comprare il latte per il bambino dalla madre che l’ha portato in grembo per nove mesi, altrimenti è possibile ricorrere alle banche del latte.
E’ tutto organizzato nel minimo dettaglio, quasi tutto questo rappresentasse la normalità.
“Per terminare la conversazione – prosegue la giornalista di Avvenire – provo con una battuta: «Caspita, la garanzia di bambini perfetti… è un sogno! ». Xiomara è pronta: «Certo, i problemi sorgono solo quando c’è un concepimento normale, non con i nostri bambini […]»“.
A tutto questo non c’è da aggiungere nulla. Povero figlio. Povera la donna sottoposta a iperstimolazione ovarica necessaria per prelevare gli ovuli. Povera la madre che ha affittato il proprio utero.
Questo non è progresso. Questa è svilimento degli esseri umani a meri oggetti di desiderio.
“Cosa desidero per mio figlio?“. E’ questa la prima domanda da porsi, se si vuole intraprendere responsabilmente la strada della maternità e della paternità. Girare la domanda, mettendo al primo posto il proprio desiderio, è sbagliato. Sbagliato fin da principio.
Teresa Moro
fonte:provita
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