Giulio Regeni, il ricercatore ammazzato al Cairo, giudicava il Manifesto “il mio giornale di riferimento”. Ieri la direttrice del ‘quotidiano comunista,, Norma Rangeri, se l’è presa nell’editoriale con “quegli avvoltoi che vivono nella Rete e che hanno arruolato Giulio nei servizi segreti italiani coprendo la sua vita di fango, come a giustificare la sua morte”. L’allusione non può che essere al sito del bravo Marco Gregoretti, il quale – in evidente contatto con alcuni informatori ben informati – ha scritto appunto che il giovane “era un agente dell’Aise (Agenzia informazione sicurezza esterna), il servizio segreto italiano che si occupa di “minacce provenienti dall’estero”. In pratica l’intelligence che ha preso il posto del vecchio Sismi”.
“Regeni – continua Gregoretti – era stato arruolato qualche anno fa quando i servizi segreti italiani cominciarono a fare campagna pubblica per arruolare nuovi operatori chiedendo il curriculum. Quello di Regeni, a quanto pare, sarebbe stato in linea con le aspettative. Era stato inviato in Usa prima e a Londra dopo. Poi, con la scusa della tesi di laurea, da sei mesi si trovava in Egitto”.
Non c’è nulla di infangante né insultante in questo. Io stesso, quand’ero inviato, sono andato spesso all’Istituto Culturale Francese del Cairo dove si poteva fare una chiacchierata con giovani e brillanti “borsisti” molto informati di tutti gli aspetti della società egiziana, capaci di acute valutazioni intelligenti, che facevano evidentemente parte dei servizi informativi di Parigi, almeno come ausiliari stipendiati, con borsa di studio; niente di più naturale che mandassero dei rapporti al competente ministero. Lavoravano su quelle che si direbbero “fonti aperte”, radio, giornali tv; se facessero anche cose clandestine non so, ma non credo. Ovviamente anche i servizi egiziani sapevano e sanno che cosa fanno certi borsisti stranieri al Cairo; fà parte del gioco.
Il punto non è quello, ma proprio la collaborazione di Regeni al Manifesto: collaborazione da lui richiesta e sollecitata, perché – lo ha scritto lui considerava il Manifesto “il mio giornale di riferimento”. Voleva collaborare “con pseudonimo”, particolare patetico, perché si sentiva in pericolo.
Un agente, ammesso che Regeni lo fosse, agisce su mandato. I suoi dirigenti gli dicono cosa deve fare. Ora, aveva ricevuto dal nostro Ministero degli Esteri il mandato di ficcarsi tra le organizzazioni anti-Al Sisi, il presidente egiziano che ha eliminato il regime dei Fratelli Musulmani e governa una società lacerata e dove ha per avversari dei fanatici che ricorrono al terrorismo e alle stragi di militari, pronti alla guerra civile e per questo ferocemente repressi? Per quanto bassa sia la stima che si può avere del corpo diplomatico e del ministro Gentiloni, propenderei a credere di no: Al-Sisi è una figura chiave della (speriamo) stabilizzazione dell’area, un alleato di fatto contro il terrorismo jihadista, ISIS e simili, e di cui si ha bisogno per future azioni o negoziati in Libia. Il nostro governo – a meno che non sia diventato folle – non ha alcun interesse un “regime change” in Egitto, né quindi interesse a “fomentare l’opposizione”, come (secondo Gregoretti) i servizi egiziani ritenevano facesse Regeni.
Glielo ha detto il ministero di andare a “vibranti incontri” dei “sindacati indipendenti” ribelli al regime? Di scrivere su l Manifesto (l’ultimo articolo) che “Sfidare lo stato di emergenza e gli appelli alla stabilità e alla pace sociale giustificati dalla ‘guerra al terrorismo‘, significa oggi, pur se indirettamente, mettere in discussione alla base la retorica su cui il regime giustifica la sua stessa esistenza e la repressione della società civile”.
Serve al nostro interesse nazionale? Direi di no ( e forse non serve nemmeno al Manifesto). Forse il punto è questo, che Regeni non aveva ricevuto una istruzione su quale sia il nostro interesse nazionale; o forse inseguiva un’idea di interesse nazionale tutta sua, nutrita dall’appassionata lettura de Il Manifesto. Non è una rarità, dopotutto. Nel 1998 un deputato di Rifondazione comunista, tale Mantovani, fece la politica estera italiana andando a prendere e portando in Italia il capo del partito comunista turco, ricercato dai turchi per terrorismo; creò un grosso problema al governo (che era D’Alema: aveva appena fatto le scarpe a Prodi).
Anche le due pirlette autonominatesi “cooperanti”, le note Greta & Vanessa, a suo tempo andarono in Siria a schierarsi contro il regime di Assad e a favore dei jihadisti, si fecero rapire e i loro protettori (volevo dire: rapitori)hanno chiesto ed ottenuto dal governo italiano un riscatto di (si dice) 7 o 12 milioni di euro: di fatto l’Italia ha riccamente finanziato Al Nusra e il Califfato esattamente come sognavano Greta & Vanessa, che quindi hanno “fatto” la nostra politica estera al posto di Roma (o con l’accordo e collusione? Speriamo di no).
A proposito di tale riscatto, fra l’altro, il succitato Gregoretti dice: “Si è parlato di dodici milioni di euro. In realtà sarebbero stati 13, ma uno sarebbe rimasto attaccato a qualche manina italica. Chi si è fregato un milione di euro? Questa situazione poco chiara ha provocato anche un terremoto all’interno dei servizi segreti italiani: 86 operatori, compresi alcuni in posizioni apicali, sono stati “licenziati”. Alla luce di tutto ciò quella telefonata di Al Sisi al Presidente del Consiglio italiano Matteo Renzi :”Perseguiremo ogni sforzo per togliere ogni ambiguità e svelare tutte le circostanze”, non fa dormire sonni tranquilli ai nostri governanti. Qualcuno dall’interno dice: “Si sono mossi Mattarella e Renzi. Sono tutti con il pepe al culo”.
Ecco un inciso da cui si intuisce che cosa sia l’ interesse nazionale non è chiarissimo nemmeno alle “figure apicali” dell’italica repubblica. Il che può rendere indulgenti verso il povero Regeni, che ha pagato con la propria vita l’aver scambiato il “Manifesto, suo punto di riferimento”, con la patria e i suoi duri doveri, e aver voluto fare uno scoop in un posto incendiario, chiacchierando contro un regime che sta giocando una partita mortale con avversari, che abbiamo tutto l’interesse restino schiacciati.
Ora la chiacchiera giornalistica italiota strilla: “Vogliamo la verità! Chi ha ucciso il nostro ragazzo?”. Il governo egiziano ha immediatamente fermato due: criminali comuni, è stato un delitto comune, assicura. Un avviso a contentarsi: loro, hanno una visione precisa dell’interesse nazionale: il loro e persino il nostro. Ma no. “E’ stato ucciso per le sue idee”, lasciano filtrare a Repubblica “i detectives italiani” mandati in Egitto per indagare (che chiacchierano con i giornalisti amici). Addirittura, l’AISE smentisce ufficialmente che Regeni fosse un suo agente, con lettera ai giornali: cosa che nessun servizio segreto ha mai fatto nell’intera storia. I media incitano a “gelare le relazioni con l’Egitto”. La magistratura ha aperto un fascicolo. Il regime egiziano ha rilasciato i due fermati delinquenti comuni: brutto segnale.
Se Frontex ci ordina di sparare
I tempi sono d’acciaio e di fuoco, sarebbe auspicabile che in Italia si riducesse l’ora del dilettante in politica estera. La durezza dei tempi è rivelata da una forte critica che il capo operativo di Frontex, Klaus Rosner, ha elevato al responsabile del Viminale Giovanni Pinto: gli interventi di salvataggio dei gommoni o carrette non devono estendersi oltre le 30 miglia marine dalle coste italiane; non è necessario e conveniente sotto il profilo dei costi l’uso di pattugliatori offshore; andare sotto le coste libiche su chiamate di satellitari non si deve più fare. Frontex ha protestato ““ contro ripetuti interventi fuori area, oltre le 30 miglia dalle coste italiane: non sono coerenti col piano operativo e non saranno prese in considerazione in futuro; i soccorritori devono “limitare l’uso della lingua italiana” quando comunicano gli uni con gli altri, vogliono sentire quel che ci diciamo. Non si fidano. Non sono lontani dal pensare (come il sottoscritto) che il nostro buon cuore sia un aiuto, un incitamento e forse una collusione con la peggiore malavita internazionale, quella che sfrutta in questo modo le masse del mondo.
“Frontex ci critica perché salviamo troppe vite umane!”, sbalordiva sabato un conduttore di Radio Radicale che si occupa degli immigrati nel dare la notizia. Radio Radicale è la più occidentalista, americanista, neocon, e quindi la più filo-Ue che ci sia. L’Unione Europea è per loro il paradiso dei diritti umani, delle libertà progressiste: nozze gay, uteri in affitto, eutanasia, step-child adoption; ed ovviamente della “accoglienza” senza limiti.
Non hanno ancora preso atto di come Angela Merkel abbia cominciato a predicare agli immigrati che, appena torna la pace in Siria, loro devono andarsene. Di colpo, la Germania ha scoperto che la maggior parte non fuggono da guerre, non sono nemmeno siriani, non hanno diritto d’asilo. In certe città tedesche c’è un’aria che qualche capo della polizia ha definito “da pogrom”, con la caccia ai profughi. Il Belgio raccomanda di “Non dar da mangiare ai profughi, se no ne vengono altri”, e alcuni iracheni che ci sono arrivati sono trattati in modo tale, che tornano volontariamente: “Piuttosto morire in Irak che vivere il Belgio” (qualcuno gli aveva fatto credere che avrebbero 3 mila euro e il ricongiungimento immediato coi familiari, e si sono trovati in una branda da campo in una caserma). Il presidente della Finlandia: “L’immigrazione è una minaccia ai valori occidentali” (ma tu guarda…). La Svezia si propone di espellerne 60 mila; la Danimarca, di sequestrare i soldi e i gioielli di quelli che entrano,come contributo alle spese di mantenimento: tutti d’accordo, i socialdemocratici svedesi con la destra populista. E l’Austria sta proponendo il dispiegamento militare di forze della UE nei Balcani, onde intercettare i profughi alla frontiera esterna della UE e rimandarli in Turchia; e chiede alla UE di tagliare gli aiuti alla Tunisia, perché si rifiuta di riprendersi i profughi. Insomma i nordici, che per anni si sono infischiati dell’invasione quando arrivava sulle coste italiane e greche, adesso che gli invasi sono loro, chiudono le frontiere; e – senza ovviamente riconoscere minimamente che aveva ragione Orban e loro torto – ordinano anche a noi di chiudere. E siccome comandano loro, queste saranno le “normative” nuove sull’immigrazione che diverranno regola pan-europea.
Quando Frontex “ consiglierà” alle navi italiane di sparare, altrimenti ci chiude fuori da Schengen e ci lascia tutti i profughi a centinaia di migliaia, sarà interessante vedere i commenti progressisti. Quelli che “siamo l’ultimo paese in Europa che non riconosce il matrimonio gay” o “le adozioni dei figli del compagno”, adesso cominciano a vedere l’altra faccia della libertà di un’Europa che s’è liberata dalle radici cristiane: “diritti” ai gay e respingimenti sono la faccia della stessa medaglia. Il buon cuore è inadeguato, nei tempi d’acciaio che ci sovrastano. Fuori i dilettanti e i provinciali, per favore.
M.Blondet
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