Il giro d’affari lucroso che trae profitto dall’aborto non si limita al guadagno del personale medico e paramedico coinvolto, delle cliniche, e delle case farmaceutiche che dispensano le sostanze necessarie prima e dopo l’intervento.
Per ironia della sorte, quando la chirurgia fetale ha cominciato a fare progressi tangibili, gli avvoltoi hanno trovato pane per i loro denti.
Si notò infatti che i bambini che venivano operati nel grembo materno, alla nascita, non portavano cicatrici o segni degli interventi chirurgici che avevano subito: le cellule dell’epidermide fetale avevano una capacità rigenerativa e riparativa molto più sviluppata di quelle adulte.
Gli avvoltoi di cui sopra, quindi, pensarono bene di impiegare il tessuto fetale (e la placenta) per scopi cosmetici, con ottimi risultati e conseguenti macabri lucrosi traffici.
Non sorprenderà, quindi, che a Budapest, in Ungheria, otto persone siano state recentemente condannate aver venduto cellule staminali embrionali e tessuti derivati da bambini abortiti, sul mercato nero, per la produzione di prodotti cosmetici.
Nel caso è coinvolta una clinica di chirurgia plastica a Kaposvár nel sud-ovest dell’Ungheria, dove centinaia di pazienti si sottoponevano a infiltrazioni e trattamenti cosmetici con cellule embrionali pagando fino a 25.000 dollari.
Ogni bambino merita di essere trattato con dignità e rispetto, non come merce a scopo di lucro. Una società civile valorizza la vita preziosa dei bambini e non li riduce a materia prima per cosmetici. Perfino la Corte di giustizia dell’Unione europea ha stabilito che, nel contesto del diritto europeo dei brevetti, la vita inizia dal momento del concepimento: gli embrioni umani non possono essere utilizzati per “fini industriali o commerciali.”
Purtroppo il caso ungherese non è il primo del genere. Una società di San Francisco, nel 2012, è stata scoperta a vendere prodotti cosmetici e dermatologici ricavati da tessuti di feti abortiti , e di tanti altri casi abbiamo parlato nel numero di aprile 2015 del mensile Notizie ProVita.
Comunque, se continueremo a tollerare il mercato dei bambini “sintetici” figli dell’industria della provetta e dell’utero in affitto, sarà ovviamente scontato che sul commercio e l’utilizzo di quei poveri morticini ben pochi avranno da ridire.
Fonte: LifeSiteNews
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