“Esprimo vicinanza a Salvatore Girone e Massimiliano Latorre, e confermo l’impegno per risolvere una vertenza che si trascina da troppo tempo”. Lo ha detto il presidente della Repubblica”. Le parole del presidente della Repubblica Sergio Mattarella, pronunciate durante una celebrazione al Quirinale e riferite anche alla ricorrenza del 25 aprile, hanno riacceso i riflettori sulla vicenda dei due fucilieri di marina arrestati in India per l’omicidio di due pescatori scambiati per pirati.
Una storia infinita, nella quale l’Italia ha fatto una serie interminabile di errori e le autorità indiane un’infinità di cambi di versioni. Comunque la si veda è un caso unico nella storia militare in tempo di pace, con due marò prigionieri dall’ormai lontano 15 febbraio 2012, quando il peschereccio Indiano St Antony , al largo delle coste Indiane, venne coinvolto in un conflitto a fuoco in cui trovarono la morte Valentine Jalestine e Ajesh Binkuil per un colpo di arma da fuoco rispettivamente alla testa ed al cuore.
Approdato al porto di Neendakara alle ore 22.25 l’equipaggio del peschereccio che aveva in precedenza denunciato tramite telefono satellitare l’accaduto, sosteneva che al momento dell’incidente tutti stavano dormendo e che nessuna imbarcazione era stata avvistata nelle vicinanze. Le Autorità Portuali contattarono quindi, tutte le navi presenti nella zona dell’incidente: l’Enrica Lexie, la Kamome Victoria, la Giovanni DP e l’Ocean Breeze, invitando chi avesse subito attacchi , ad entrare in porto a Kochi per un riscontro su un peschereccio fermato con armi a bordo. Tra tutte rispose all’invito solo la Enrica Lexie che entrò in porto alle 23,00, scortata da 2 unità indiane della Guardia Costiera.
La prima domanda è: chi diede l’ordine alla Lexie di consegnarsi agli indiani? E perché? Una parziale risposta possiamo immaginarla facendo riferimento a un altro punto oscuro di questa vicenda: il rientro in India dei marò dopo una licenza concessa per Natale. L’allora ministro Terzi annunciò che i due fucilieri di marina sarebbe rimasti in Patria, salvo poi essere smentito dal premier Monti, cosa questa che provocò le sue dimissioni. In ballo all’epoca c’erano diversi accordi commerciali, tra i quali anche una maxi commessa per una fornitura di elicotteri, poi parzialmente stoppata. Questo però attiene alla politica, e ai complicati intrecci con l’economia. Fatto sta che i nostri militari da oltre 4 anni sono formalmente nelle mani della giustizia indiana, che per loro ha previsto (in ipotesi) anche la pena di morte.
Ma sono colpevoli oppure no? Sarà un tribunale a stabilirlo, e questo è un altro punto dolente: quale tribunale? Essendo la Lexie in acque internazionali dovrebbe essere un tribunale “terzo”, ma gli indiani si sono arrogati il diritto di processare e giudicare. Negli ultimi tempi l’Italia ha finalmente puntato i piedi, e ora si è in attesa di una decisione internazionale. Nel merito della vicenda, vale la pena concentrarsi – tra i tanti – su un punto in particolare: i proiettili. L’analisi balistica costituisce il punto chiave attorno al quale ruota tutta l’inchiesta. Attraverso l’analisi delle ogive recuperate dai corpi dei pescatori e confrontando le traiettorie ed i segni rimasti sul peschereccio sarebbe stato possibile in tempi brevi far luce su questa intricata vicenda. Questo non è avvenuto a causa del comportamento delle autorità indiane che non hanno permesso ai tecnici di parte italiani di prendere parte attivamente alla perizia. Inoltre il peschereccio è stato «affondato» in circostanze non ben definite, rendendo di fatto impossibili ulteriori ed approfondite indagini.
Perché i marò sarebbero innocenti lo spiega bene una valutazione cronologica degli eventi sviluppata dall’avvocato Roberta De Luca e dall’Analisi Tecnica dell’esperto Luigi Di Stefano. Le forze armate italiane sono equipaggiate con il fucile Beretta modello AR 70/90 del quale esistono diverse versioni, tutte però in calibro 5,56 Nato, Il referto, firmato da K. Sasikala, anatomopatologo, professore di Medicina e Chirurgia legale a Trivandrum, sostiene che il «proiettile metallico a punta» ritrovato nel cranio del pescatore misura «3,1 cm di lunghezza», «due centimetri di circonferenza sulla punta» e «2,4 cm sopra la base».
Nel rapporto si parla di circonferenza, non di diametro. Partendo dalla circonferenza (24mm) è facile calcolare il raggio R (formula R=C/2π) ottenendo quindi un diametro pari a 7,64mm. Tale valore può identificarsi facilmente con il 7,62mm, un classico calibro esistente sia in versione (NATO), che ex URSS (tipico esempio AK47).In base a queste affermazioni sembrerebbe che il calibro del proiettile estratto dai corpi dei 2 pescatori (7,62 mm) non sia compatibile con il calibro (5,56 mm) in dotazione ai 2 fucilieri di marina. Questo importante scoperta di fatto contribuirebbe a scagionare dalle accuse i 2 militari Italiani. Uno schiaffo a chi, anche in Italia, li ha già condannati per partito preso.
Ma, si dirà, essi stessi hanno ammesso un attacco… Sì, ma non è lo stesso di cui sono imputati. La nave era lontana dal punto in cui sono stati uccisi i due pescatori. Gli attacchi in quel tratto di mare sono frequenti, e a questi si aggiungono i pattugliamenti degli Arrow Boat (piccole imbarcazioni progettate e costruite nello Sri Lanka) che vengono usati per il controllo delle acque territoriali e la repressione della pesca illegale. Questi sì, dotati di quel calibro 7,62 che ha ucciso i due pescatori indiani.
Domani arriverà – salvo rinvii dell’ultima ora, strategia già ampiamente utilizzata dalle autorità indiane – la decisione su un eventuale prolungamento della licenza concessa a Latorre per curarsi in Italia; poi si aspetterà la sentenza del tribunale arbitrale dell’Aja sulla richiesta italiana di concedere anche a Girone di attendere in Italia l’esito dell’arbitrato. Poi dopo l’arbitrato, si stabilirà la competenza giuridica. E infine il processo vero e proprio potrà iniziare. Insomma, la vicenda marò è ben lontana dal concludersi, ma almeno potrebbe finire questa interminabile pantomima tra Italia e India che tanto male ha provocato alle famiglie dei fucilieri e al prestigio della nostra nazione.
Approdato al porto di Neendakara alle ore 22.25 l’equipaggio del peschereccio che aveva in precedenza denunciato tramite telefono satellitare l’accaduto, sosteneva che al momento dell’incidente tutti stavano dormendo e che nessuna imbarcazione era stata avvistata nelle vicinanze. Le Autorità Portuali contattarono quindi, tutte le navi presenti nella zona dell’incidente: l’Enrica Lexie, la Kamome Victoria, la Giovanni DP e l’Ocean Breeze, invitando chi avesse subito attacchi , ad entrare in porto a Kochi per un riscontro su un peschereccio fermato con armi a bordo. Tra tutte rispose all’invito solo la Enrica Lexie che entrò in porto alle 23,00, scortata da 2 unità indiane della Guardia Costiera.
La prima domanda è: chi diede l’ordine alla Lexie di consegnarsi agli indiani? E perché? Una parziale risposta possiamo immaginarla facendo riferimento a un altro punto oscuro di questa vicenda: il rientro in India dei marò dopo una licenza concessa per Natale. L’allora ministro Terzi annunciò che i due fucilieri di marina sarebbe rimasti in Patria, salvo poi essere smentito dal premier Monti, cosa questa che provocò le sue dimissioni. In ballo all’epoca c’erano diversi accordi commerciali, tra i quali anche una maxi commessa per una fornitura di elicotteri, poi parzialmente stoppata. Questo però attiene alla politica, e ai complicati intrecci con l’economia. Fatto sta che i nostri militari da oltre 4 anni sono formalmente nelle mani della giustizia indiana, che per loro ha previsto (in ipotesi) anche la pena di morte.
Ma sono colpevoli oppure no? Sarà un tribunale a stabilirlo, e questo è un altro punto dolente: quale tribunale? Essendo la Lexie in acque internazionali dovrebbe essere un tribunale “terzo”, ma gli indiani si sono arrogati il diritto di processare e giudicare. Negli ultimi tempi l’Italia ha finalmente puntato i piedi, e ora si è in attesa di una decisione internazionale. Nel merito della vicenda, vale la pena concentrarsi – tra i tanti – su un punto in particolare: i proiettili. L’analisi balistica costituisce il punto chiave attorno al quale ruota tutta l’inchiesta. Attraverso l’analisi delle ogive recuperate dai corpi dei pescatori e confrontando le traiettorie ed i segni rimasti sul peschereccio sarebbe stato possibile in tempi brevi far luce su questa intricata vicenda. Questo non è avvenuto a causa del comportamento delle autorità indiane che non hanno permesso ai tecnici di parte italiani di prendere parte attivamente alla perizia. Inoltre il peschereccio è stato «affondato» in circostanze non ben definite, rendendo di fatto impossibili ulteriori ed approfondite indagini.
Perché i marò sarebbero innocenti lo spiega bene una valutazione cronologica degli eventi sviluppata dall’avvocato Roberta De Luca e dall’Analisi Tecnica dell’esperto Luigi Di Stefano. Le forze armate italiane sono equipaggiate con il fucile Beretta modello AR 70/90 del quale esistono diverse versioni, tutte però in calibro 5,56 Nato, Il referto, firmato da K. Sasikala, anatomopatologo, professore di Medicina e Chirurgia legale a Trivandrum, sostiene che il «proiettile metallico a punta» ritrovato nel cranio del pescatore misura «3,1 cm di lunghezza», «due centimetri di circonferenza sulla punta» e «2,4 cm sopra la base».
Nel rapporto si parla di circonferenza, non di diametro. Partendo dalla circonferenza (24mm) è facile calcolare il raggio R (formula R=C/2π) ottenendo quindi un diametro pari a 7,64mm. Tale valore può identificarsi facilmente con il 7,62mm, un classico calibro esistente sia in versione (NATO), che ex URSS (tipico esempio AK47).In base a queste affermazioni sembrerebbe che il calibro del proiettile estratto dai corpi dei 2 pescatori (7,62 mm) non sia compatibile con il calibro (5,56 mm) in dotazione ai 2 fucilieri di marina. Questo importante scoperta di fatto contribuirebbe a scagionare dalle accuse i 2 militari Italiani. Uno schiaffo a chi, anche in Italia, li ha già condannati per partito preso.
Ma, si dirà, essi stessi hanno ammesso un attacco… Sì, ma non è lo stesso di cui sono imputati. La nave era lontana dal punto in cui sono stati uccisi i due pescatori. Gli attacchi in quel tratto di mare sono frequenti, e a questi si aggiungono i pattugliamenti degli Arrow Boat (piccole imbarcazioni progettate e costruite nello Sri Lanka) che vengono usati per il controllo delle acque territoriali e la repressione della pesca illegale. Questi sì, dotati di quel calibro 7,62 che ha ucciso i due pescatori indiani.
Domani arriverà – salvo rinvii dell’ultima ora, strategia già ampiamente utilizzata dalle autorità indiane – la decisione su un eventuale prolungamento della licenza concessa a Latorre per curarsi in Italia; poi si aspetterà la sentenza del tribunale arbitrale dell’Aja sulla richiesta italiana di concedere anche a Girone di attendere in Italia l’esito dell’arbitrato. Poi dopo l’arbitrato, si stabilirà la competenza giuridica. E infine il processo vero e proprio potrà iniziare. Insomma, la vicenda marò è ben lontana dal concludersi, ma almeno potrebbe finire questa interminabile pantomima tra Italia e India che tanto male ha provocato alle famiglie dei fucilieri e al prestigio della nostra nazione.
http://www.interris.it/2016/04/25/92093/posizione-in-primo-piano/schiaffog/25-aprile-per-la-liberazione-dei-maro.html
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