ACCUSATA DI TERRORISMO INTERNAZIONALE, E’ PARTITA PER L’ARABIA SAUDITA ED E’ IRRINTRACCIABILE
La donna è nata e cresciuta in Italia ma è di passaporto canadese. E proprio a causa del passaporto il suo mandato di cattura sembra essersi perso in un buco nero. E in Arabia Saudita non esiste trattato di estradizione…
«MI DICEVA che non dovevo andare all’università, che mi avrebbero detto cose sbagliate. Che dovevo trovarmi un marito e lo studio era secondario. Che per noi musulmani vivere in un paese non islamico è haram, proibito. Che dovevo trasferirmi in luoghi come l’Arabia Saudita o la Siria. Ci penso spesso: se non avessi avuto una mente stabile avrei potuto fare la fine della ragazza di Padova che è partita per la Siria».
A parlare è Maria (un nome di fantasia): la ragazza è una di quelle che è sfuggita al più importante network di reclutamento dell’Is scoperto finora in Italia, che da domani sarà a processo in un’aula di tribunale a Milano. Un network che ha portato in Siria almeno una decina di persone, di cui almeno quattro donne, (un’italiana, Maria Giulia Sergio alias Fatima e tre albanesi) e in cui la componente femminile ha un ruolo di primo piano.
Non a caso al centro del procedimento ci sarà Bushra Haik, 30 anni, ex studentessa di moda, nata e cresciuta a Bologna da una famiglia di musulmani moderati di origini siriano-canadesi, cittadina del Canada: la donna che con la scusa di offrire lezioni di Corano in italiano ha creato dal nulla una rete mirata a portare nello Stato islamico ragazze italiane è accusata di terrorismo internazionale. Ma in aula non ci sarà: le sue tracce si perdono a Riad, dove fino a qualche mese fa viveva indisturbata.
La storia di Haik è venuta alla luce l’estate scorsa, quando la polizia fermò la famiglia Sergio: a guidare il loro viaggio verso la Siria, dall’Arabia Saudita dove si è trasferita dopo il matrimonio nel 2012, avrebbe dovuto essere la stessa persona che aveva facilitato la partenza di Maria Giulia, Bushra appunto. Da allora sulla sua testa pende un mandato di cattura internazionale: ma questo, come ha ricostruito Repubblica, non ha fermato la sua opera di reclutamento.
Appena le notizie sull’ordine di arresto hanno cominciato a circolare, il cellulare di Haik, a cui Maria Giulia aveva mandato un sms appena arrivata in Turchia, si è spento. Seguito dall’account Skype.
Un altro numero, però ha cominciato a parlare. Il prefisso internazionale è lo stesso, stessa la compagnia telefonica: Bushra ha ricominciato subito a “lavorare”, complice il buco nero in cui sembra essersi perso il mandato di cattura per una cittadina canadese inviato da una procura italiana a un paese, come l’Arabia saudita, con cui non esiste trattato di estradizione. E il cui impegno nella lotta al terrorismo è, per gli esperti, quantomeno ambiguo.
Sui telefonini delle ragazze a cui aveva dato lezioni a luglio è comparso un messaggio: «Ciao, sono Bushra. Questo è il mio nuovo numero». Ad accompagnarlo, una foto coperta da capo a piedi dalla tipica abaya saudita. Per Maria e due sue amiche è stato come tornare indietro: «Quando l’ho visto mi sono infuriata — racconta la ragazza — provavo tanta rabbia per quello che aveva cercato di farmi fare. L’ho bloccata subito».
Ma gli investigatori sono certi che il rifiuto delle vecchie allieve non abbia fermato la donna. «Siamo di fronte a una persona con delle capacità comunicative non comuni — spiega una fonte che ha seguito le indagini — qualcuno che conosce bene la struttura dello Stato islamico, che è in grado di fornire a Maria Giulia Sergio rassicurazioni sulle cure mediche disponibili a Raqqa, oltre ai contatti su come arrivare». A tutt’oggi, il nuovo numero di telefono saudita di Bushra Haik è attivo, insieme al relativo profilo WhatsApp.
I messaggi del social network non risultano utilizzati da agosto, ma questo non tranquillizza gli investigatori: «Probabile che si trovi ancora a Riad. Del resto non potrebbe andare lontano senza documenti falsi: il suo nome è segnalato in ogni aeroporto. Sembra aver trovato un luogo ideale per continuare ad agire indisturbata».
I timori trovano conferma nelle ovattate stanze del ministero degli Interni saudita: «Non sappiamo nulla di lei. Non è nei nostri radar», sostiene una fonte assai qualificata. Insistere è inutile: l’Arabia Saudita che negli ultimi due anni ha mandato a processo 23 donne con l’accusa di essere affiliate ad Al Qaeda o all’Is, di una cittadina canadese nata in Italia sulla cui testa pende un mandato di cattura internazionale non sa nulla.
All’ambasciata italiana di Riad stringono le spalle: è cittadina canadese, non c’è nulla che si possa fare. E la sua attività sfugge anche ai Servizi segreti, che a Roma come a Riad rispondono con un nulla di fatto. Eppure è difficile pensare che Haik sia scomparsa. «Donne come lei svolgono un ruolo fondamentale nella costruzione del cosiddetto Stato islamico», spiega Renata Pepicelli, docente dell’università Luiss ed esperta di donne e Islam.
Un ruolo che difficilmente chi vede nell’Islam radicale l’unica ragione di vita, come ha detto più volte, abbandonerebbe. Della ex maestra di Corano, Maria oggi non vuole sapere più nulla: si augura solo che venga fermata al più presto. «Quello che è accaduto a me potrebbe succedere a qualunque altra ragazza musulmana in Italia. Io stavo solo cercando qualcuno che mi aiutasse ad approfondire. Ma anche se la arrestassero, non basterebbe. Bushra non è l’unica, ce ne sono altre come lei».
Francesca Caferri per “la Repubblica”
Fonte:Dagospia
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