DI FEDERICO DEZZANI
federicodezzani.altervista.org
Si apre una fase cruciale per il sistema euro-atlantico: il periodo che intercorre tra il referendum inglese sulla permanenza nella UE e le presidenziali statunitensi sarà decisivo per le sorti dell’impalcatura“occidentale”, sempre più scricchiolante sul versante americano come su quello europeo. La carneficina di Orlando è l’inizio della strategia della tensione che accompagnerà i prossimi, convulsi, mesi. A distanza di nemmeno 48 ore è la volta dell’ennesimo attentato dell’ISIS in la Francia, peso massimo europeo in piena crisi, attraversata da proteste e disordini sempre più accesi. L’escalation di violenza è sintomo che le oligarchie hanno perso il controllo della situazione.
Sei mesi decisivi per l’egemonia atlantica
L’Occidente è entrato in una fase cruciale per il suo futuro. O meglio, considerato che l’Occidente in termini geografici sopravviverà imperturbabile fino alla notte dei tempi, è l’attuale architettura politica che controlla i due lati dell’Atlantico ad essere entrata in una fase cruciale: il sistema euro-atlantico, d’ora in avanti, lotta per la sua sopravvivenza.
L’angoscia che attanaglia le élite atlantiche è per certi versi simile a quella vissuta dalla classe dirigente europea tra la prima e la seconda guerra mondiale: si avverte chiaramente come un’epoca stia finendo ed un mondo, ancora funzionante dal punto di vista formale, sia in realtà in rapida decomposizione. Capita così che il presidente del Consiglio Europeo Donald Tusk, uno dei massimi alfieri dell’atlantismo, evochi con riferimento alla Brexit la fine della civiltà occidentale, un tema già sviluppato dal filosofo tedesco Oswald Spengler tra gli anni ’20 e ’30 del XX secolo. Sono affermazioni, quelle di Tusk, del tutto autoreferenziali, perché il collasso dell’Unione Europea e dell’Alleanza Nord Atlantica implicherebbe la fine solo delle oligarchie cui appartiene l’ex-premier polacco, non certo dei popoli europei che, al contrario, potrebbero finalmente rifiatare e riacquistare spazi di manovra.
La crucialità del momento nasce dall’accavallarsi di una molteplicità di consultazioni elettorali e dal concomitante deteriorarsi dell’economia, negli USA come nell’eurozona: si comincia con il referendum inglese sulla permanenza nella UE e si termina con le elezioni presidenziali negli Stati Uniti, mentre il rialzo del tassi da parte della FED è procrastinato sine die e l’eurozona si dibatte ancora nella deflazione, a distanza di 15 mesi dall’avvio dell’allentamento quantitativo della BCE. Una vittoria dei anti-europeisti alla referendum inglese, un successo di Donald Trump alle presidenziali, il ritorno dell’eurozona in recessione, rischiano di infliggere il colpo di grazia alla già traballante impalcatura atlantica.
Le contromisure adottate dall’establishment in questi frangenti, benché apparentemente molto diverse fra loro, sono riconducibili ad unico, comune, denominatore: incutere paura. Si minaccia l’opinione pubblica inglese di recessione e pesanti sacrifici economici nel caso cui il Regno Unito uscisse dalla UE, si assaltano i mercati finanziari europei per scongiurare l’eventualità che altri Paese indicano referendum analoghi, si dipingono scenari a tinte fosche qualora si affermassero i candidati “populisti”.
Gli effetti sull’elettorato sarebbero però modesti senza l’apporto dell’ingrediente più esplosivo: il terrorismo. Bombardando l’opinione pubblica con notizie, immagini e video di stragi compiute nei luoghi della quotidianità (aeroporti, stazioni ferroviarie, discoteche, stadi, quartieri della movida, etc. etc.) si ottiene un duplice risultato: si distoglie l’attenzione dalle criticità economiche e si genera domanda di normalità e sicurezza, a discapito delle formazioni anti-establishment ed a vantaggio dei partiti tradizionali, difensori dell’ordine vigente.
Non è quindi un caso se l’inizio di questa fase delicatissima sia stato scandito da due attentati compiuti a distanza di nemmeno 48 ore l’uno dall’altro, il primo negli Stati Uniti ed il secondo in Francia, entrambi perpetrati ufficialmente allo Stato Islamico. Dire “ISIS” equivale a dire “servizi israeliani ed angloamericani” e sul perché Tel Aviv, Washington e Londra svolgano un ruolo così attivo nella strategia della tensione che sta insanguinando l’Europa, già ci soffermammo in occasione degli attentati di Bruxelles: l’Unione europea rappresenta il “contenitore geopolitico” dentro cui è racchiuso il Vecchio Continente e la sua sopravvivenza è di vitale importanza per piegare i 28 membri ad unica volontà (quella atlantica), come hanno dimostrato in questi anni i casi delle sanzioni economiche all’Iran ed alla Russia.
L’attentato dell’11 giugno (firma inequivocabile) al locale omosessuale di Orlando, Florida, è la sanguinosa ouverture della strategia della tensione che accompagnerà l’Occidente per i prossimi mesi. Omar Mateen, cittadino 29enne americano di origine afgane, persona “non stabile” secondo l’ex-moglie, inserito dall’FBI in una lista di possibili simpatizzanti dell’ISIS, figlio di un predicatore estremista, già guardia giurata per la società di sicurezza G4S, chiama il 911 asserendo di aver giurato fedeltà all’ISIS, quindi, armato di una pistola e di un fucile mitragliatore AR-15, irrompe in una discoteca, seguendo il copione già sperimentato al Bataclan lo scorso novembre. Muoiono 50 persone, la peggiore strage con armi da fuoco negli Stati Uniti (il rapporto 7 attentatori per 130 vittime del Bataclan -1:18- raggiunge così l’incredibile livello di 1:50) e, distanza di poche ore, l’immancabile SITE diretto dall’israelianaRita Katz scova la rivendicazione dello Stato Islamico.
Da un’analisi più superficiale si ricaverebbe l’idea che la strage sia un assist al candidato populista Donald Trump, finito alla ribalta internazionale per aver proposto di proibire l’immigrazione mussulmana. Sono però sufficiente poche ore perché l’accento dei media sia posto sulla facilità con cui le armi da fuoco sono acquistabili negli Stati Uniti, anche da cittadini instabili e pericolosi come Mateen: il dito è così puntato contro lo sfidante repubblicano, che gode dell’appoggio della National Rifle Association, e si porta acqua al mulino di Hillary Clinton, favorevole a norme più restrittive in materia di armi. “Orlando shooting sparks gun control, language debates” titola la CNN, evidenziando i risvolti politici della strage di Orlando incentrati sul porto d’armi.
Per inquadrare l’attentato in una cornice più ampia, per ricondurlo a quello stato di angoscia vissuto dalle oligarchie atlantiche, è fondamentale la lettura dell’editoriale “Orlando and Trump’s America” apparso sulNew York Times il 13 giugno e firmato da Roger Cohen. Il giornalista si fa interprete delle paure che attanagliano le élite, allarmate per la valanga degli eventi (il Brexit, la vittoria alle presidenziali di Trump, l’ingresso all’Eliseo di Marine Le Pen) che rischia di sommergerle. Secondo Cohen, la strage di Orlando ed i crescenti consensi raccolti da Trump e dalla Le Pen germogliano nello stesso humus: il malessere economico, la rivolta contro le élite e la frustrazione sociale, sono le cause che spingono l’elettorato versopericolosi salti nel vuoto ed i lupi solitari ad imbracciare i fucili. Scrive Cohen1:
“Omar Mateen, the Florida shooter who had pledged allegiance to the Islamic State, just ushered Donald Trump to the White House, Britain out of the European Union,Marine Le Pen to the French presidency, and the world into a downward spiral of escalating violence. (…) But there is no question that the largest mass shooting in American history comes at a time of particular unease. In both the United States and Europe, political and economic frustrations have produced a groundswell against the status quo and an apparent readiness to make a leap in the dark. Washington and Brussels have become bywords for paralysis. (…) I hope for the best but fear the victory of the politics of anger in America and Europe.”
L’esplicito richiamo alla Francia è profetico: a distanza di meno di 48 ore dall’attentato ad Orlando, la strategia della tensione sorvola l’Atlantico e torna a materializzarsi in Francia, la più grande minaccia al sistema atlantico sul versante europeo, seconda solo ad una vittoria degli anti-europeisti all’imminente referendum inglese.
Sulle condizioni critiche in cui versa l’Esagono, sulla sua capacità di innescare l’implosione della UE/NATO e sul terrorismo di Stato adottato per sedare l’opinione pubblica sempre più vicina al punto di ebollizione, non abbiamo lesinato analisi in questi ultimi mesi: iniziammo con l’articolo “Turbolences en France: danger mortel pour l’euró!”2, per poi dare ampia copertura agli attentati del 13/11, evidenziando il ruolo della DGSE nella carneficina ed il nesso tra i terroristi dell’ISIS ed i servizi segreti d’Oltralpe. Nel recente articolo “Il nuovo maggio francese”3 abbiamo evidenziato come fosse tutto, fuorché casuale, che l’esecutivo socialista avesse atteso la promulgazione dello stato d’emergenza per affrontare la riforma del mercato del lavoro: conscio della combattività dei sindacati nazionali, della tremenda esperienza vissuta da Nicolas Sarkozy in concomitanza alla riforma delle pensioni, e dello spietato braccio di ferro già in corso con alcune categorie, personale di Air France in primis, il governo auspicava che la cappa di terrore facilitasse l’introduzione di quelle norme neoliberiste tanto care alla Troika.
Concludevamo affermando, con un riferimento alla minaccia di nuovi attacchi terroristici: obbiettivo Francia, Euro 2016? Ci siamo, purtroppo, sbagliati di poco.
L’ISIS, la stessa organizzazione che russi, iraniani e siriani hanno quasi smantellato in Medio Oriente, torna a colpire nella notte tra il 13 ed il 14 giugno, a Magnanville, comune alla periferia nord-occidentale di Parigi.
Larossi Abballa, cittadino francese 25enne, già incriminato per reati comuni, condannato a tre anni di carcere nel 2013 per “association de malfaiteurs en vue de préparer des actes terroristes”4, accusato di aver reclutato jihadisti da inviare in Pakistan ed Afghanistan (profilo, insomma, identico a quello di Mohamed Merah, dei terroristi di Charlie Hebdo, del 13/11 e dell’aeroporto Zavantem e corrispondente al classico “infiltrato” o “collaboratore” della DGSE) uccide a coltellate un poliziotto davanti alla sua abitazione, poi si barrica all’interno dove ferisce a morte la moglie della vittima, anch’essa impiegata del Ministero degli Interni. Il finale non si discosta dal solito copione: le teste di cuoio isolano il quartiere e freddano in un conflitto a fuoco l’attentatore , non prima che questi abbia proclamato su Facebook la sua fedeltà all’ISIS e promesso che l’Euro 2016 “sera un cimetière”, sarà un cimitero5.
L’agenzia Amaq, organo ufficiale di stampa dell’ISIS (munita di ottimi tecnici informatici che le permettono di sfuggire alla contromisure dell’NSA), può così pubblicare la rivendicazione dell’attentato, prontamente diffusa urbi et orbi da Rita Katz.
A suo tempo evidenziammo l’assenza di una rivendicazione dell’ISIS nel disastro aereo del volo Egyptair, definito all’unanimità come un attacco terroristico dai servizi segreti occidentali e russi: ex-post, possiamo fornire una spiegazione. Solo gli attentati perpetrati in Francia, con l’assenso dei servizi segreti francesi ed il contributo decisivo di quelli israeliani ed atlantici, sono etichettati “Stato islamico”: l’abbattimento dell’Airbus esula da questa categoria e si inserisce nello scontro senza esclusione di colpi sul dossier libico, dove i francesi sostengono gli egiziani ed il generale Haftar, mentre gli angloamericani sostengono gli islamisti di Tripoli ed il governo di Al-Serraj.
Non c’è alcun dubbio, infatti, che il duplice omicidio di Magnanville targato ISIS sia una vera e propria ciambella di salvataggio lanciata a François Hollande: il presidente (che ha recentemente stabilito un nuovo record in termini di impopolarità, con l’83% dei francesi che esprime un giudizio negativo sul suo operato6), coglie la palla al balzo e convoca martedì mattina, 14 giugno, l’ennesima unità di crisi all’Eliseo, rilasciando poi ai trepidanti giornalisti la dichiarazione7:
“C’est un acte terroriste à la fois parce que son auteur, qui a été neutralisé par les forces de sécurité, avait voulu lui-même voulu que son acte puisse être reconnu comme terroriste, et l’organisation dont il se réclamait a elle aussi revendiqué l’acte(…) La France est confrontée à une menace terroriste de très grande importance. Le risque est partout très élevé.”
L’attenzione dei media e dell’opinione pubblica è così dirottata sull’attacco del “Califfato”, proprio quando a Parigi, nelle stesse ore, è in programma la nuova mobilitazione dei sindacati contro la riforma del lavoro, una prova di forza con cui la Confédération générale du travail e le altre sigle sindacali di sinistra voglio spingere l’esecutivo socialista alla capitolazione, costringendolo a ritirare la riforma El Khomri.
“Journée de mobilisation du 14 juin contre la loi travail : la CGT espère faire mieux que le 31 mars” aveva scritto pochi giorni fa Le Monde, evidenziando la sicurezza degli organizzatori di poter superare i numeri della precedente manifestazione. Già, perché nel frattempo, la protesta è cresciuta per estensione e profondità: dopo le raffinerie, i treni, le metropolitane, i porti ed il personale di Air France, agli scioperi hanno aderito anche gli addetti alla raccolta dei rifiuti a Parigi. La strategia di Hollande di applicare il divide et impera,elargendo benefici alle singole categorie in cambio dell’assenso riforma, si è rivelata infruttuosa e, per la prima volta, si è parlato in questi giorni di “réquisitions”, ossia di precettazione dei lavoratori, extrema ratio per evitare la paralisi del Paese8.
E così, nonostante lo stato d’emergenza, nonostante il freno inibitorio della minaccia terroristica, nonostante l’attenzione dei media sia concentrata sull’attentato di Magnanville, la mobilitazione del 14 giugno si svolge imperturbabile, superando i numeri del 31 marzo9 (125.000 persone a Parigi secondo le autorità, 1,3 milioni secondo gli organizzatori) e rafforzando la volontà dei sindacati a continuare gli scioperi ad oltranza.
L’efferatezza della strage di Orlando, il susseguirsi a distanza di meno di 48 ore dell’attacco a Magnanville, l’organizzazione approssimativa degli attentati ed il concomitante crollo delle piazze finanziarie, sono segnali dell’impotenza e dello stato confusionale in cui versa l’establishment euro-atlantico, conscio di quanto l’intera impalcatura su cui è costruito il suo potere sia vicina al collasso.
La prossima, decisiva, tappa è il referendum inglese sulla permanenza nella UE. L’esplosione del terrorismo internazionale a distanza di pochi giorni dalla consultazione corrobora l’ipotesi che le forze anti-europeiste siano in testa, proprio come il “venerdi nero dell’ISIS”, la serie di attentati che insanguinò Tunisia, Francia, Kuwait, Tunisia e Somalia il 26 giugno 2015, preannunciò la vittoria “dell’oxi”al referendum greco del 5 luglio.
C’è ne occuperemo nel prossimo articolo, a meno che qualche colpo di scena non modifichi ancora la nostra agenda: ipotesi tutt’altro che peregrina di questi tempi.
http://www.comedonchisciotte.org/
1http://www.nytimes.com/2016/06/14/opinion/orlando-omar-mateen-pulse-florida-donald-trumps-america.html?_r=0
2http://federicodezzani.altervista.org/turbolences-en-france-danger-mortel-pour-leuro/
3http://federicodezzani.altervista.org/il-nuovo-maggio-francese/
4http://www.lemonde.fr/police-justice/article/2016/06/14/qui-est-le-meutrier-des-policiers-a-magnanville_4949931_1653578.html
5http://www.lemonde.fr/police-justice/article/2016/06/14/la-revendication-des-meurtres-de-magnanville-a-eu-lieu-en-direct-sur-facebook_4950310_1653578.html
6http://www.20minutes.fr/politique/1850919-20160524-popularite-francois-hollande-manuel-valls-touchent-encore-fond
7http://www.franceinfo.fr/fil-info/article/couple-de-policiers-tue-magnanville-bernard-cazeneuve-denonce-un-acte-terroriste-abject-797759
8http://www.lefigaro.fr/politique/2016/06/09/01002-20160609ARTFIG00366-hollande-et-valls-ont-echoue-a-trouver-la-sortie-de-crise-avant-le-debut-de-l-euro.php
9http://www.lefigaro.fr/politique/2016/06/09/01002-20160609ARTFIG00366-hollande-et-valls-ont-echoue-a-trouver-la-sortie-de-crise-avant-le-debut-de-l-euro.php
Nessun commento:
Posta un commento