sabato 11 giugno 2016

PERÙ: L’80% DELLA TRIBÙ DEI NAHUA È AVVELENATA



Gli alti livelli di mercurio riscontrati nell’area possono essere correlati all’espansione del progetto Camisea gas, uno dei più grandi progetti di energia delPerù.
L’80 per cento della tribù peruviana dei Nahua ha manifestato dei sintomi di avvelenamento da mercurio.
La maggioranza della comunità indigena che vive nell’Amazzonia peruviana ha mostrato chiari sintomi di intossicazione o gravi problemi di salute, come infezioni respiratorie, anemie e insufficienza renale acuta, riconducibili a una contaminazione da mercurio.

La denuncia è arrivata dall’Asociación interétnica de desarrollo de la selva peruana (Aidesep), la principale organizzazione per la difesa dei diritti umani in Amazzonia. “La contaminazione da mercurio è estremamente dannosa per la salute umana perché i suoi effetti sono irreversibili” ha affermato il leader indigeno Nery Zapata. “Il dipartimento della salute deve indagare sulla questione, e fermare la contaminazione che sta colpendo la popolazione indigena.”
Gli alti livelli di mercurio riscontrati nell’area possono essere correlati alla continua espansione del progetto Camisea gas, uno dei più grandi progetti di energia del Perù.
Il primo giacimento di gas naturale fu scoperto nel cuore della foresta amazzonica negli anni Ottanta e si trovava a pochi passi dalla riserva Nahua-Nanti, all’interno della quale vivono ancora oggi diverse tribù indigene: gli indiani Nahua, i Nanti, i Matsigenka e i Mashco Piro.
In quanto tribù isolate, ossia che non hanno mai avuto contatti con altre persone al di fuori della riserva, la loro sopravvivenza dipende totalmente da ciò che la foresta offre.
Già a quell’epoca, alcuni membri della tribù dei Nahua iniziarono a manifestare dei sintomi ricollegabili a contaminazione da mercurio, causati dallo sfruttamento intensivo delle loro terre per la ricerca di gas e petrolio, di cui pioniere è stato il colosso petrolifero Shell.
Gli indiani non avevano difese immunitarie per contrastare i virus portati dall’esterno e molti morirono di malattie comuni. Metà dalla tribù fu spazzata via. La situazione non mutò nel corso degli anni. Dal 2004 si sono registrate almeno cinque importanti fuoriuscite di gas, che hanno contaminato la terra e i corsi d’acqua e ciò ha inciso sulle condizioni di salute delle comunità locali che traggono sostentamento dalle loro terre.
Nell’aprile del 2012, il ministero dell’Energia del Perù ha approvato nuove esplorazioni di gas all’interno delLotto 88 – con il quale si identifica l’area dove sorge il giacimento di gas naturale – che hanno portato alla costruzione di nuovi pozzi, di nuovi test sismici e ulteriori sconvolgimenti per le tribù.
Recentemente il Perù ha annunciato l’acquisizione da parte del governo di un altro lotto nell’area in cui sorge il giacimento di gas naturale. Esso penetrerà fino al cuore della riserva, tagliando in due il territorio degli indigeni. La compagnia petrolifera statale PetroPerù ha finora tenuto segreto il piano dei lavori, non informando la popolazione locale del progetto.
Il progetto Camisea è gestito da un consorzio di compagnie del gas fra le quali figurano la statunitense Hunt Oil e la spagnola Repsol, sotto la guida dell’argentina Pluspetrol. Il loro obiettivo a lungo termine è quello di trasformare il paese nel principale produttore di gas naturale. Un recente rapporto ha reso noto che dall’estrazione del gas le multinazionali del petrolio ricavano dei guadagni che si aggirano intorno ai 230 milioni di dollari all’anno e 90 milioni di entrate fiscali.
La battaglia in difesa dei popoli indigeni della foresta amazzonica è proseguita negli anni. Nel mese di febbraio 2016 l’Aidesep ha presentato una petizione al ministero della Cultura in cui chiedeva di pubblicare lo studio condotto nel marzo del 2015, dove si valutava il livello di mercurio nella zona e i suoi effetti.
“Le autorità peruviane sono sempre state piuttosto indifferenti ai problemi delle loro comunità indigene, e lo dimostra la loro totale negligenza in questo caso” ha dichiarato il direttore generale di Survival International, Stephen Corry. “Se questo avvelenamento fosse avvenuto a Lima non penso che sarebbero stati così superficiali nel rispondere, o così lenti a pubblicare i risultati delle loro ricerche. È scandaloso che non facciano di più per risolvere questa crisi. E il fatto che stiano nascondendo informazioni al pubblico la dice lunga”.

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