L’uranio impoverito non sarebbe il responsabile delle malattie e morti sviluppate dai soldati italiani mandati in missione all’estero. Ci sono invece altri agenti, come cadmio e nichel, sostanze chimiche cancerogene, e vaccinazioni fatte in dosi massicce, che potrebbero aver provocato dei danni nell’organismo dei soldati: è la conclusione del progetto “Signum”, lo Studio di Impatto Genotossico Nelle Unità Militari promosso nel 2004 dal Ministro della Difesa sui militari impegnati in Iraq nell’operazione “Antica Babilonia”, terminato l’anno scorso ma finora mai pubblicato dal ministero della Difesa.
A parte infatti una breve relazione fatta da alcuni membri del Comitato scientifico di Signum alla commissione d’inchiesta del Senato sull’uranio impoverito nel gennaio 2011, non vi è traccia ufficiale dei risultati di questo studio, le cui conclusioni sono state consegnate un anno fa al ministro della Difesa. Il progetto Signum è nato sulla base delle raccomandazioni della Commissione Mandelli (che nel 2000 rilevò un eccesso di linfomi di Hodgkinnei militari che erano stati nei Balcani), ed è stato organizzato in due fasi: nella prima è stata valutata l’esposizione a elementi potenzialmente tossici tra il 2004 e 2005, mentre nella seconda è stata attuata una sorveglianza clinico-epidemiologica, ancora in corso, per analizzare la presenza di effetti a lungo termine. In totale sono stati coinvolti 982 militari, di cui il 60% tra i 30 e 39 anni. Sono inoltre state monitorate aria, acqua, terreno, condizioni climatiche, valutati i marcatori biologici incluso stile di vita, dieta, fumo, anamnesi patologica, e altre esposizioni a genotossici e vaccinazioni.
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Tre i punti importanti emersi dallo studio. Nei soldati al termine della missione la quantità di uranio impoverito nelle urine e nel sangue non è aumentata, bensì diminuita. Nel loro organismo sono invece aumentati livelli di cadmio e nichel (cancerogeni riconosciuti) ed è cresciuto il danno ossidativo sul dna dei linfociti (cioè le cellule del nostro sistema immunitario che devono eliminare gli agenti patogeni esterni) in chi svolgeva mansioni con impiego esterno, come pattugliatori e conduttori, e in chi aveva subito 5 o più vaccinazioni o ricevuto vaccini vivi attenuati. Un evento quest’ultimo maggiormente presente in una frazione di popolazione “geneticamente suscettibile” (4% circa) e che, spiega lo studio, “presumibilmente dipende da un fenomeno adattativo all’immunità indotta dai cicli vaccinali”, ma che dovrebbe essere ulteriormente approfondito, insieme al ruolo di altre variabili, quali stile di vita e condizioni di impiego operativo.
Tuttavia non sono mancate delle “complicazioni” nello svolgimento dello studio. Nonostante il coinvolgimento dell’Istituto superiore di sanità e scienziati di altri istituti infatti, diversi campioni di sangue sono diventati inutilizzabili a causa dell’emolisi (cioè la dissoluzione dei globuli rossi, che rende necessario ripetere il test), “forse per un’imprevedibile interruzione della catena del freddo”. Poi sono stati smarriti e mai più ritrovati 195 campioni di urine raccolti al termine della missione e si è riusciti a prelevare solo 6 campioni di capelli, rispetto a quasi mille previsti, perché i capelli erano troppo corti al momento della raccolta. Criticità ed errori che però, come ha spiegato il comitato scientifico alla commissione del Senato sull’uranio impoverito, non minano i risultati dello studio, che rimane “solido scientificamente”.
Se allora i risultati sono validi, perché non sono stati resi noti? Certo, lo studio suggerisce di fare ulteriori ricerche e di considerare l’opportunità di adottare provvedimenti orientati a contrastare i possibili danni indotti da sostanze chimiche e vaccinazioni, magari modificando le abitudini di vita (con dieta ricca di frutta e verdura fresca), adottando misure precauzionali per tutte le attività esterne (fotoprotezione), e usando agenti antiossidanti. Ma dopo 8 anni e tanti soldi spesi ci si aspettava di più. Più certezze e meno errori.Soprattutto per i 192 militari morti e i quasi 4mila che si sono ammalati in questi anni per patologie legate all’uranio e altri agenti patogeni e che da anni attendono una risposta per capire cosa gli è accaduto.
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