Ricercatore, psicologo, filosofo. Con il best-seller La Vita Oltre la Vita aprì la strada delle ricerche nel campo delle esperienze di premorte (nde). Il dottor Raymond Moody è autore di numerosi altri testi, tra cui La Luce Oltre, contenente alcune riflessioni sulla vita dopo la vita, e la più recente pubblicazione: Reunions: Visionary Encounters With Departed Loved Ones. Attualmente svolge attività di ricerca sul paranormale e gli stati alterati di coscienza presso il suo centro di ricerca: Dr. John Dee Memorial Theater of the Mind. L’istituto si occupa degli stati alterati di coscienza applicati all’istruzione, all’intrattenimento e alla crescita spirituale.
Moody esplora le connessioni esistenti tra il paranormale ed il regno del gioco, dell’umorismo, delle arti e dello spettacolo. L’istituto prende il nome dal dottor John Dee (1527-1608), genio della matematica, inventore nel campo della nautica ed alchimista capace di creare esperimenti al limite del miracoloso, che gli attirarono accuse di stregoneria. Dee fu anche un esperto di intelligence alle dipendenze dell’amica regina Elisabetta I. Shakespeare si ispirò a lui nella creazione del personaggio di Prospero nella commedia La Tempesta. Il lavoro pionieristico del dr. Dee con lo specchio di ossidiana è ancora oggi fondamentale per le ricerche presso il Teatro della Mente di Moody.
Domanda: Da dove è scaturito il suo interesse verso il tema della vita dopo la morte?
Risposta: In effetti la cosa non ha avuto inizio con un interesse particolare verso il tema della vita dopo la morte. Il mio vero interesse fin dalla prima infanzia si è concentrato sul mistero della coscienza. Ricordo che da bambino mi interrogavo spesso sul fatto di essere coscienti. Ed ero anche estremamente interessato all’astronomia, tanto da sognare di lavorare un giorno in quel campo. Ciò che mi preme sottolineare è che la mia non fosse una famiglia particolarmente religiosa. In seguito, durante la crisi di mezza età di mio padre, i miei genitori decisero di portarci in chiesa. Avevo circa 12 anni. Fino ad allora ero stato in chiesa molto raramente, e ne rimasi molto impressionato.
Da ragazzo frequentai l’Università della Virginia, dove studiai filosofia. Nel 1965 uno dei miei professori mi parlò di un docente di psichiatria presso la nostra università – George Ritchie – il quale asseriva di aver vissuto un’esperienza sorprendente dopo essere stato dichiarato clinicamente morto. Ricordo che udendo quella storia mi interessai delle possibili implicazioni dal punto di vista della coscienza. Avevo sempre ritenuto che la coscienza si dissolvesse dopo la morte fisica, dunque incuriosito colsi l’occasione per ascoltarlo.
Quattro anni più tardi insegnavo filosofia, e ricordo che uno dei miei studenti mi chiese se in una prossima lezione avessimo potuto discutere della vita dopo la morte. Nei miei corsi insegnavo il Fedone di Platone, ma evitavo di addentrarmi nelle relative speculazioni sulla vita dopo la morte; cercavo di focalizzare l’attenzione degli studenti sulla logica, la metodologia. A mia volta ero stato istruito mediante il linguaggio filosofico ordinario, così gli domandai perché volesse affrontare quel genere di argomenti. Mi rispose che circa un anno prima, a seguito di un annegamento, era stato dichiarato morto. Durante il suo stato di morte clinica aveva avuto un’esperienza incredibile, qualcosa che aveva cambiato la sua vita, ma che lui non aveva avuto il coraggio di confidare a qualcuno. Così ascoltai la sua storia, e rimasi di sasso quando scoprii che la sua esperienza ricalcasse in modo pressoché identico quella vissuta quattro anni prima da George Ritchie. Fu così che iniziai ad interessarmi seriamente dell’argomento.
Resto ancora molto scettico circa la possibilità di riuscire un giorno a produrre prove scientifiche dell’esistenza della vita dopo la morte. E’ una cosa che per me non ha senso, come voler mischiare mele con arance. Voglio dire, semplicemente i due approcci non si adattano. Per sua natura la metodologia scientifica non può giungere a simili determinazioni. Uno dei motivi per cui il metodo scientifico non può funzionare in questo ambito, è che la scienza si auto-limita a studiare la realtà materiale; se le esperienze di premorte sono ciò che pretendono di essere, allora esulano da questa realtà. Si tratta di esperienze vissute in qualche altro tipo di realtà.
Insomma, il tutto non ebbe inizio per via di un preciso interesse riguardo alla cosiddetta: vita dopo la morte.
A tal proposito, negli anni ho smesso di ricorrere a questo tipo di terminologia. Vita dopo la morte; aldilà. Espressioni che implicano relazioni temporali o spaziali, mentre secondo quanto ho potuto apprendere dalle persone che hanno avuto esperienze di premorte, si tratta di situazioni che prescindono lo spazio ed il tempo, perlomeno nel senso che ci è noto. Quindi sono convinto che la vecchia questione sulla vita dopo la morte e l’aldilà, retaggio di una cultura risalente all’epoca preistorica, dovrebbe essere riconsiderata. Il nostro ordine di idee ci induce a ricercare una metafora, tuttavia il problema con le metafore è che non sono mai abbastanza calzanti.
D: Qual è la sua conclusione su ciò che accade quando le persone sperimentano queste esperienze?
R: Potrò sembrarti evasivo, ma in tutta onestà la mia opinione è che se si cerca di trarre delle conclusioni, si è fuori strada. Molti si sbilanciano erroneamente dalla parte della fede religiosa o dell’incredulità. Ciò che gli scettici non capiscono, è che la loro incredulità è anch’essa una forma di fede. Sono così indaffarati a proteggere il loro scetticismo, da relegare in secondo piano molte altre evidenze; si tratta di una nuova forma di dogmatismo. La mia naturale tendenza emotiva è l’incredulità, a causa del mio background. Per tutti noi l’impronta culturale è qualcosa di fondamentale. Quando ho iniziato a studiare questi fenomeni l’ho fatto con incredulità, eppure vige ancora il luogo comune che le mie ricerche abbiano un che di religioso. Voglio dire, ho iniziato ad avvicinarmi ai fenomeni paranormali in un modo completamente nuovo, e comunque assai distante dall’approccio religioso, o da quello delle storie di fantasmi.
Il paranormale è stato approcciato sempre attraverso modalità molto convenzionali per la nostra società. Abbiamo la Parapsicologia che è convinta – per lo meno in linea di principio, o in teoria – che il metodo scientifico possa essere applicato agli studi sulla vita dopo la morte oppure, ad esempio, ai fenomeni di precognizione. Poi ci sono gli scettici militanti, i debunker, ed infine c’è il gruppo fondamentalista religioso che ascrive al diavolo qualsiasi studio non convenzionale. Questi tre insiemi compongono attualmente i principali attori che gravitano intorno al mondo del paranormale. Nessuno di essi è utile alla ricerca. Non credo che la scienza come la conosciamo sia in grado di produrre alcuna prova empirica. I debunker dal canto loro vivono in una perpetua condizione di fraintendimento, dal momento che sono convinti di essere uomini di scienza; il che è ingenuo, in quanto i loro metodi prevedono delle crociate sociali interessate solo ad opporsi alle ricerche sul paranormale. Il tutto discende da un difetto culturale, dato che molti di costoro sono convinti che studiare il paranormale equivalga ad involversi verso un nuovo Medio Evo. I fondamentalisti credo incarnino la forma più primitiva di fede. Sono credenti in modo completamente acritico. Non importa quanto bizzarra possa essere una storia; per costoro non possono esistere spiegazioni psicologiche plausibili; si tratta sempre e solo del diavolo. Anch’essi sono rigidi ed ossessionati da un’ideologia.
In definitiva, oggi il mio punto di vista inquadra i collegamenti intuitivi tra il paranormale ed il mondo dello spettacolo, l’umorismo ed il gioco. Pensiamo alle tecniche di divinazione, i tarocchi, le tavole Ouija, le rune; nel loro contesto naturale sono come giochi di società. Per la stragrande maggioranza delle persone che si interessano di queste pratiche, si tratta di attività ludiche. Molti psicologi come Jung hanno fatto notare che di solito le persone più abili nelle tecniche istrioniche, ad esempio attori ed attrici, sono anche buoni sensitivi. Esistono molte relazioni di questo genere, così sono giunto alla conclusione che l’approccio sistemico al paranormale spesso abbia luogo sotto forma di intrattenimento. Ritengo sia uno sviluppo molto positivo.
Una delle cose che hanno causato molta sfiducia in coloro che hanno studiato il paranormale è la non replicabilità degli esperimenti. Beh, ma è ovvio! Perché la scienza si occupa dei fenomeni esistenti all’interno di questo livello di realtà. Ma qual è il campo dell’attività umana che ha sempre facilitato l’interazione tra il nostro livello di realtà ed altri livelli di realtà? Beh, è l’intrattenimento. Assisti al Macbeth e vieni trasportato in una realtà parallela. Questa prospettiva mi ha permesso di sviluppare un metodo attraverso cui possiamo effettivamente ricreare l’esperienza delle apparizioni dei defunti. E su tale esperienza abbiamo realizzato alcuni studi scientifici che non riguardano la questione se ci sia una vita dopo la morte, ma i processi che si attivano nel cervello, per esempio, delle persone che vivono l’esperienza di un’apparizione.
D: Sta affermando di avere sviluppato un metodo per provocare le apparizioni dei defunti?
R: Assolutamente si. Senza alcun dubbio. E sono molto sollevato nell’aggiungere che numerosi altri psicologi negli Stati Uniti abbiano replicato l’esperimento, con successo. Addirittura alcuni di essi si sono dimostrati più esperti di me, probabilmente perché io sono – per così dire – prevalentemente un intellettuale, mentre molti di loro sono terapeuti.
Circa quattro anni fa ero impegnato a ricercare un metodo che ci consentisse di riprodurre le esperienze di premorte, così da studiarle direttamente e cercare di catturare alcuni dati clinici. Ma ovviamente il metodo non poteva essere simile a quello immaginato nel film Linea Mortale.
Nel 1981 Bruce Greyson (un caro amico anch’egli impegnato nello studio delle esperienze di premorte) mi aveva fatto notare che in effetti non fosse necessario pensare al problema a livello composito, in quanto l’esperienza di premorte poteva suddividersi in un insieme di caratteristiche; da cui l’idea di replicarle separatamente. Ma anche in tal caso, una cosa era la teoria, altra la pratica. Un giorno ebbi modo di riflettere sul fatto che le apparizioni dei defunti accadano sia a persone senzienti che a persone in stato di premorte. Abbiamo registrato innumerevoli casi di persone che raccontano di avere visto apparire un caro defunto. Sono esperienze che si verificano spontaneamente. Alcuni studi statistici (The Hereafter Report – n.d.t.) hanno evidenziato che accadano ad una percentuale elevata di persone in lutto, ben il 13% dei vedovi. Elemento piuttosto interessante. Da ciò siamo giunti a comprendere che se le apparizioni del caro estinto sono così comuni, vuol dire che gli esseri umani sono in qualche modo predisposti a viverle. Dunque abbiamo pensato di organizzare una serie di circostanze controllate capaci di catalizzare la possibile apparizione, così da monitorare la persona durante l’esperienza, attraverso elettroencefalogrammi ed altri sistemi di misurazione.
Ricordo di avere ripensato al mio seminario del 1962 presso l’Università della Virginia. Fu il corso più lungo che abbia frequentato nel mio iter accademico; trascorremmo l’intero semestre solo a studiare i classici dell’antica Grecia. In uno di essi Erodoto – che può essere considerato il primo vero storiografo – narra di un luogo in cui gli antichi greci si recavano per rivedere i loro cari defunti. Erodoto non ne parlava in termini di esperienza medianica, vissuta cioè per via indiretta, attraverso un medium. Secondo la sua descrizione in quel luogo la gente era in grado – in completa autonomia – di vivere un’esperienza di apparizione del defunto. Mi domandai se un posto simile potesse essere realmente esistito. Era menzionato in un passo dell’Odissea. Erodoto lo definiva: l’Oracolo dei Morti, e lo collocava geograficamente presso la Tesprozia, in Epiro, Grecia nord-occidentale.
Da quel momento iniziai una ricerca di informazioni su quel luogo. Per molti anni fu considerato una specie di bufala dagli studiosi. Sostenevano che Erodoto, Strabone, Posineo e tutti coloro i quali lo avevano menzionato, semplicemente avessero riportato un mucchio di leggende, o che se mai fosse esistito, doveva esserci stata dietro qualche truffa.
Nel 1958 il noto archeologo Sotiris Dakaris si era messo in viaggio con il proposito di dimostrare l’esistenza delle località descritte nell’Odissea. Il luogo in cui Ulisse vede le apparizioni dei defunti viene collocato da Omero nel pressi delle città dei cimmeri, avvolte nella nebbia e nelle nuvole. Per intere generazioni la cultura convenzionale ha confuso il popolo dei cimmeri con alcune genti stanziate in Medio Oriente. Tuttavia, anche in tempi molto antichi vari studiosi avevano ampiamente sottolineato come Omero in quel passo non si riferisse ad un popolo del Medio Oriente, ma ai cimmeri dell’Epiro, stanziati per l’appunto presso la Tesprozia. Ebbene, si dà il caso che la Tesprozia sia proprio la località in cui Erodoto collocò geograficamente l’Oracolo dei Morti. Sulla base delle coordinate geografiche desunte attraverso le descrizioni paesaggistiche del poema di Omero, Dakaris era infine riuscito a ritrovare le rovine sepolte dell’Oracolo dei Morti.
Era una gigantesca struttura sotterranea, piena di corridoi e camere dormitorio in cui la gente presumibilmente attendeva il proprio turno per consultare l’Oracolo. Un’estremità di un corridoio sfociava in un labirinto, il tutto nella più completa oscurità. Oltre il labirinto si giungeva nel luogo in cui – presumibilmente – avevano luogo le apparizioni. In quella sala Dakaris aveva rinvenuto i resti di un enorme calderone di bronzo circondato da una ringhiera. Il tutto dava l’idea che le persone si affacciassero da quella ringhiera per osservare qualcosa sulla superficie o all’interno del calderone.
Dakaris commentò la scoperta come avrebbe fatto qualsiasi ricercatore non dedito allo studio degli stati alterati di coscienza; si disse convinto che nell’antichità qualcuno si nascondesse nel calderone per fingere di essere lo spirito che la gente si aspettava di vedere.
Dal mio punto di vista ho formulato una ipotesi diversa, suffragata dai Papiri Magici, una serie di antichi documenti in lingua greca rivenuti in Egitto e basati sulla cultura magica egizio-ellenica. In questi documenti sono descritti nel dettaglio i metodi per evocare un defunto attraverso uno specchio; qualcosa di molto simile a ciò che probabilmente nell’antichità aveva luogo presso l’Oracolo dei Morti sul fiume Acheronte.
Mi sono riproposto così di ricreare lo stesso tipo di contesto all’intero della mia struttura di ricerca; ho costruito una camera con uno specchio al posto del calderone; un grande specchio circondato da una tenda di velluto nero e disposto in modo tale che una persona seduta nella cabina circostante non fosse in grado di vedere il proprio riflesso. Presso l’Oracolo dei Morti accadeva probabilmente che l’interno lucido di quel calderone, riempito d’acqua, sotto la luce delle torce riflettesse le visioni di cui riferisce Erodoto.
Una volta impostato il tutto, ho iniziato gli esperimenti. Con mia estrema sorpresa, circa il 50% dei soggetti rispondeva positivamente. Le apparizioni erano vissute come eventi reali, ed il dato guadagnava importanza dal fatto che i soggetti dei test fossero miei colleghi psicologi e studenti universitari di psicologia. Ma la cosa più incredibile è che quando uscivano non si limitavano ad ammettere di avere vissuto un’esperienza semplicemente strana, cioè imputabile alla suggestione o ad eventuali scherzi della vista. Non mi dicevano: “Sì, sai, ho visto un’immagine che sembrava la sagoma di mia nonna, ma non so se fosse reale o frutto della mia immaginazione.” In realtà, i soggetti completavano il test e poi esclamavano con stupore ed eccitazione che: “Sì, ho parlato con il nonno, ed è stato semplicemente sorprendente!”
Una percentuale piuttosto rilevante dei soggetti ha riferito che le forme apparivano all’interno dello specchio per poi manifestarsi di fronte a loro, a colori ed in tre dimensioni. Il 30% dei soggetti ha dichiarato di avere udito chiaramente la voce della persona defunta, e di avere conversato con essa. Ed in larga parte i soggetti hanno segnalato che l’esperienza li ha aiutati con il loro dolore; a riordinare il lavoro incompiuto. Quindi ciò che posso affermare è che siamo riusciti a replicare in un contesto controllato la comune esperienza umana della visione dei defunti. E’ in tutto e per tutto identica all’esperienza delle apparizioni spontanee ed estemporanee. Se si leggono i primi compendi dedicati allo studio dei fenomeni di apparizioni, realizzati circa un secolo fa dalla Società per la Ricerca Psichica, è facile riscontrare come fosse molto comune che le apparizioni spontanee si sviluppassero prima all’interno di specchi o superfici riflettenti, per poi prendere forma integralmente. Gli antichi resoconti riguardanti la psychomanteum, termine greco per definire l’evocazione dei defunti, sono identici ai resoconti attuali.
Ora, si tratta forse della prova scientifica definitiva della vita dopo la morte? Probabilmente no. Tuttavia siamo riusciti, credo, a dimostrare che percorrendo metodologie differenti da quelle strettamente scientifiche, sia possibile replicare in modo affidabile un’esperienza cosiddetta: ‘paranormale.’
D: Le persone che nei suoi libri raccontano di avere sperimentato esperienze di premorte, riferiscono di essere tornate indietro con una più profonda consapevolezza del significato della vita. L’esperienza delle apparizioni riesce ad essere altrettanto d’aiuto per le persone che la sperimentano?
R: Beh, in realtà si tratta di studi recenti, iniziati circa da tre anni e mezzo, quindi non mi sento di dire qualcosa di definitivo al riguardo. Al momento credo solo che l’esperienza abbia dato loro una sorta di garanzia personale, a prescindere da una credenza o una supposizione intellettuale, che le vecchie idee sulla vita dopo la morte non siano del tutto infondate. Vedremo gli sviluppi. Finora, la cosa certa è che l’esperienza si rivela sempre molto utile in termini di liberazione dal dolore della perdita.
D: Ha provato a sperimentarla in prima persona?
R: L’ho fatto, ed ho visto mia nonna, morta alcuni anni fa, esattamente come in questo istante vedo te. Ho udito la sua voce proprio come adesso sto ascoltando la tua. Davvero sorprendente. Sono molto perplesso riguardo ciò che ho vissuto; non posso negarlo. Insomma l’ho vissuta come tutti gli altri. Da questo esperimento non è ancora possibile trarre conclusioni scientifiche definitive sulla vita dopo la morte, ma è certamente possibile modificare radicalmente il proprio punto di vista interiore su molte cose.
D: Cosa dà senso alla sua vita?
R: I miei figli e mia moglie. E poi mi piace lavorare per imparare cose, amo le novità, e mi piace mangiare. Tutto qua.
D: Sembra che spesso le persone che abbiano vissuto episodi di premorte parlino di una sorta di depressione, ottusità, insensatezza esistenziale che governava le loro vite prima dell’esperienza, e del risveglio interiore sperimentato dopo di essa; un nuovo modo di vedere la vita.
R: Oh, certamente. Voglio dire, una volta che simili esperienze sono vissute in prima persona viene meno l’elemento indiretto, e con esso le credenze. Una credenza è qualcosa che si adotta indirettamente, un concetto totalmente cognitivo ed intellettuale, mentre l’esperienza personale coinvolge direttamente. L’effetto è molto diverso.
D: Come mai, dopo una formazione filosofica ha scelto di intraprendere l’indirizzo psicologico?
R: Beh, sono tra quelli che hanno iniziato a studiare Freud al liceo. Provai anche con Jung, ma è molto difficile capirci qualcosa se hai diciassette anni; solo da adulti si può iniziare a comprendere realmente il senso di Jung. Ma credo che la mia curiosità risalisse ad un’età anche precedente; già da bambino ricordo quanto fossi curioso in merito ai misteri della mente. Verso i venticinque anni ho finito il mio dottorato di ricerca in filosofia. Insegnai per diversi anni; poi decisi di proseguire il mio percorso accademico, e sulla base della mia inclinazione naturale scelsi la psicologia.
D: Di cosa si occupa il suo istituto di ricerca?
R: Teatro della mente. Sto sviluppando gli studi sulla psicomanzia di cui ti parlavo. Sono molto fiducioso che entro i prossimi cinque anni chiunque potrà essere in grado di replicare l’esperimento. La ragione per cui te lo dico è che se il mio tasso di successo si attesta intorno al 50%, altri ricercatori specializzati in terapeutica effettuando il medesimo esperimento hanno raggiunto una percentuale dell’80%.
D: A cosa è dovuto il nome di Teatro della Mente?
R: E’ dedicato a John Dee. Il nome per esteso dell’istituto è Dr. John Dee Memorial Theater of the Mind. Tutto sommato ciò che sto cercando di fare è verificare fino a che punto possiamo suscitare esperienze paranormali tramite l’uso di tecniche connesse alle arti dello spettacolo, il tutto a scopo educativo, di sviluppo spirituale, di interesse storico. Gli antichi greci ebbero un istituto di ricerca simile, e lo portarono avanti per mille anni. Era suddiviso in numerose strutture simili a quella dell’Epiro. Non era facile raggiungerle; non ci si poteva svegliare un mattino ed andare a fare due chiacchiere con la vecchia zia defunta; raggiungere l’Oracolo dei Morti era un calvario; questi luoghi erano ubicati in contesti territoriali estremi, il che scoraggiava tutti coloro i quali non fossero mossi da profonde motivazioni. Insomma non volevano che la gente prendesse l’esperienza con superficialità. La psicomanzia fu un elemento piuttosto comune della cultura greca, però ad un certo punto fu spazzato via, in parte perché la Chiesa nel 350 dC lanciò un anatema contro qualsiasi cristiano credesse di poter vedere uno spirito riflesso in uno specchio. In quel momento stavano formulando la loro ideologia e cercavano di eliminare qualsiasi cosa potesse contraddire il loro codice ufficiale. E qui entra in gioco anche l’interesse storico. Si tratta di nozioni importanti, che aiutano a comprendere come mutò la cultura dei nostri antenati.
D: Quanto dura l’esperimento? Un giorno? Una settimana?
R: Un giorno. Secondo la fonte antica più affidabile – Luciano di Samosata – i soggetti venivano rinchiusi nel luogo delle apparizioni per 29 giorni. Noi otteniamo risultati apprezzabili in un giorno, dalle 10 del mattino fino alle 20 della sera, circa.
D: Quindi ha spostato i suoi studi dalle esperienze di premorte alla psicomanzia?
R: Non è esattamente così. Come dicevo, ritengo che la psicomanzia sia un buon sistema per approfondire quanto già compreso delle esperienze di premorte, sempre contraddistinte dall’apparizione di un caro defunto. Secondo le osservazioni di molti medici e paramedici che assistono frequentemente pazienti in procinto di morire, circa il 40% dei morienti all’interno di ospizi, poche ore prima del decesso dicono cose del tipo: “Oh, la mamma!” Il che è del tutto coerente con l’esperienza di premorte, in quanto i ‘ritornati’ riferiscono sistematicamente di avere visto un loro caro defunto, come la mamma o la nonna. Si tratta di una costante nelle esperienze di premorte, che la gente riferisce spontaneamente. Dunque, quello che sto affermando è che adesso siamo in grado di riprodurre e studiare una componente dell’esperienza di premorte. E credo che a breve saremo in grado di riprodurne e studiarne altre.
D: Insegna ancora?
R: No, a suo tempo decisi che – soprattutto con due figli iscritti al college e le relative spese – avrei dovuto fare qualcosa che mi rendesse di più economicamente. Amo l’insegnamento, ma non sono riuscito a sacrificare all’attività di insegnante l’istruzione dei miei figli. Così mi sono spostato nella ricerca privata, più remunerativa. C’è di buono che non devo più avere a che fare con la stupidità della burocrazia.
D: Cos’è la grande luce che i ‘ritornati’ affermano di vedere durante la loro esperienza di premorte?
R: Cosa sono i sentimenti? No, guarda, per avere risposte su questo interrogativo sono disposto ad aspettare, e penso che qualsiasi sia l’opinione che ognuno di noi abbia sviluppato sul tema della morte, resti un argomento incomprensibile ed inesprimibile. La reazione più comune tra le persone che raccontano la loro esperienza di premorte è la convinzione di non avere parole capaci di rappresentarla. “Cercherò di usare quelle che mi sembrano più congeniali.” E così ho accettato l’idea che potrò comprendere realmente di cosa di tratta solo il giorno in cui la sperimenterò di persona. Esistono cose totalmente ineffabili, per citare la meravigliosa frase di William James. Quindi aspetterò. Sai, ho grande fiducia …
D: Come è mutata la sua coscienza in tanti anni di ricerca?
R: Per il discorso che si faceva inizialmente, alcuni concetti possono esprimersi solo attraverso metafore. La mia metafora è mutata, e la mia vita è cambiata in meglio; mi sento molto meno preoccupato, meno timoroso. Ero afflitto da una grande paura della morte, mentre oggi non ho più alcuna paura della morte. Anche la vita mi spaventava, ed anche da questo punto di vista le cose sono migliorate, nel senso che la vita mi spaventa in misura minore rispetto al passato. Resta la fobia della malattia, del dolore. Ho paura di ammalarmi; cammino un’ora e mezza al giorno sul mio tapis roulant, cerco di non ammalarmi perché prima di qualsiasi altra cosa, detesto il dolore. Ma a parte questo, tutto bene.
Ti potrà sembrare pazzesco, ma la mia metafora è che questa vita sia una sorta di media educativo e di intrattenimento in uso a Dio. Noi facciamo parte del film. So che suona strano, ma questa è la mia metafora della situazione. Quindi non mi preoccupo troppo. Penso che sarà molto interessante vedere cosa succede. E sono davvero interessato alla situazione mondiale in questo momento; sta cambiando così rapidamente e credo che i cambiamenti in arrivo nella nostra società siano incomprensibili. Credo che nessuno di noi possa realmente comprendere fino in fondo ciò che sta arrivando. Ma sento che qualcosa di grosso sta arrivando, perché il tasso di cambiamento sta accelerando così velocemente che giungeremo ad un punto di rottura. Questo è il mio modo di vedere. E credo che il punto di rottura giungerà presto, anche entro un paio di anni. Non sto parlando del giorno del giudizio biblico, sto parlando di qualche altro tipo di incomprensibile cambiamento.
D: Qual è il suo ideale?
R: Oh, a mio modo di vedere, senza alcun dubbio, la cosa più importante è imparare ad amare. E poi l’umorismo ed il divertimento. L’amore è la vera conoscenza che ognuno di noi potrà portare via con se quando lascerà questa realtà, credo.
D: Grazie.
R: Grazie a voi. Posso continuare a lavorare grazie alle persone che continuano a comprare i libri che scrivo. Quindi vi ringrazio molto!
Sintesi di un articolo in lingua inglese, pubblicato sul sito Som.org
Link diretto:
som.org
Traduzione e sintesi a cura di Anticorpi.info
http://www.altrogiornale.org/
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