“Finora gli esperimenti di geoingegneria si sono svolti in laboratorio”
La realtà è una semplice illusione, sebbene molto persistente, disse Albert Einstein.
La guerra ambientale (ndr chiamala anche geoingegneria ) non è più solo un’ipotesi: è già in atto. Ma guai a dirlo: si passa per pazzi. Eppure, «negare l’informazione è già un atto di guerra fondamentale», denuncia il generale Fabio Mini, che conferma tutto: la “bomba climatica” è la nuova arma di distruzione di massa a cui si sta lavorando, in gran segreto, per acquisire vantaggi inimmaginabili su scala planetaria. Alluvioni, terremoti, tsunami, siccità, cataclismi. Uno scenario che, purtroppo, non è più fantascienza. PROSEGUE QUI
I PRIMI ESPERIMENTI DI GEOINGEGNERIA
L’idea di modificare il clima artificialmente per limitare il riscaldamento globale fa discutere.(ndr: non pubblicamente) Ma secondo alcuni bisognerebbe fare almeno qualche esperimento, e in fretta. (ndr: sono in corso da più di sessant’anni operazioni e tentativi di condizionare artificialmente meteo e clima)
Se non riusciamo a ridurre le emissioni di gas serra, in quale altro modo si può raffreddare il pianeta? Per un gruppo di climatologi sarebbe importante capire, rapidamente, se la geoingegneria funziona. La manipolazione delle condizioni atmosferiche e climatiche della Terra suscita molte preoccupazioni.(ndr con buoni motivi, le conseguenze già si vede)
Ecco perché servono gli esperimenti, affermano gli scienziati. Ed ecco perché il primo andrebbe fatto entro due anni.
A novembre il gruppo ha pubblicato nella rivista Philosophical Transactions of the Royal Society (ndr vedi NOTA 1 ) un programma di lavoro con gli esperimenti da fare.
Il primo dovrebbe analizzare gli effetti della polverizzazione di aerosol di sale marino nelle nubi. Lo scopo è far aumentare le goccioline d’acqua nelle nuvole affinché riflettano più luce solare, il cosiddetto sbiancamento.
Il secondo esperimento, ideato da John Dykema di Harvard (ndr:vedi NOTA 2) , studierebbe gli effetti della nebulizzazione di sostanze a base di zolfo a venti chilometri di altitudine, nella stratosfera inferiore. Questo esperimento di perturbazione stratosferica controllata (Scopex) permetterebbe di verificare se gli ioni solfato rischiano di vanificare i tentativi di ricostruire lo strato di ozono.(ndr:operazione già riuscita – grassetto aggiunto)
Il terzo esperimento valuterebbe la possibilità di rendere i cirri della parte alta dell’atmosfera più permeabili alle radiazioni che dalla Terra rimbalzano nello spazio. Il vapore acqueo presente nelle nuvole si comporta allo stesso modo di un gas serra e intrappola il calore quasi come fa l’anidride carbonica. Immettendo nelle nuvole delle sostanze che trasformano l’acqua in particelle di ghiaccio, come lo ioduro di bismuto, si spera di ridurre il vapore acqueo e favorire la dispersione delle radiazioni.
L’idea di ricorrere alla geoingegneria per raffreddare il pianeta manipolando l’atmosfera suscita molte discussioni. Chi è contrario sostiene che l’idea è destinata a fallire e rischia di sconvolgere ancora di più il clima. Alterando la copertura nuvolosa, per esempio, si potrebbe incidere sulle precipitazioni, facendo aumentare in modo imprevedibile siccità e alluvioni.(ndr: grassetto aggiunto)
Chi è a favore, invece, insiste che alcune proposte meritano un approfondimento. Per David Keith (ndr: vedi NOTA 3), uno degli autori del programma di lavoro, il progetto è “un grande passo avanti”. Finora gli esperimenti di geoingegneria si sono svolti in laboratorio e si sono basati su modelli informatici. “I modelli e gli esperimenti in laboratorio sono fondamentali”, dice Dykema. “Ma l’unico modo per capire la complessa chimica dell’atmosfera è studiarla sul campo, dove ci sono il giusto flusso di radiazione solare, il mix di specie chimiche e la reale dinamica delle interazioni delle particelle di aerosol nelle fasi gassosa, liquida e solida”. (ndr: grassetto aggiunto)
“Gli esperimenti proposti sono su scala piuttosto piccola, per cui molto probabilmente le conseguenze ambientali sarebbero trascurabili rispetto a quelle di molte attività umane che diamo per scontate”, sostiene Doug MacMartin del California institute of technology di Pasadena, coautore del programma. L’esperimento di Dykema, per esempio, prevede di liberare solo un chilo di zolfo, la stessa quantità emessa in un minuto da un aereo di linea.
Dati reali
Eppure un grande progetto britannico (ndr:vedi NOTA 4) concepito per studiare la geoingegneria, l’Integrated assessment of geoengineering proposals (Iagp), è più cauto e pessimista. Grazie alle simulazioni al computer, i ricercatori hanno scoperto che i tentativi di ridurre la radiazione solare nell’Artico per fermare l’arretramento del ghiaccio marino non sono fattibili. Per rilevare qualche effetto con gli attuali sistemi di osservazione, servirebbero esperimenti vasti e sul lungo periodo, sostiene Piers Forster dell’università di Leeds, responsabile dell’Iagp. “Abbiamo scaricato 500 miliardi di tonnellate di anidride carbonica e solo da poco abbiamo qualche certezza che stanno cambiando il clima, per cui esperimenti così circoscritti non ci direbbero quasi niente”.
Per gli aspiranti sperimentatori, però, la carenza di dati reali, raccolti sul campo, rende i modelli poco affidabili. E anche se la geoingegneria dovesse rivelarsi impraticabile, pare questi esperimenti fornirebbero comunque informazioni preziose per la ricerca sul clima.(ndr:vedi test atomici)
Andy Coghlan, New Scientist, Regno Unito
Tratto da Internazionale
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