DI ROSANNA SPADINI e FRANCESCO COLONNA
comedonchisciotte.org
Gli arditi della tastiera si sono scatenati tout court sul web ed hanno rovesciato un vaso di Pandora di insulti e improperi alla notizia che Alessandro di Battista, definito da Giovanni Minoli un giovanotto “un po’ esaltato”, avesse avuto l’ardire di fare l’ennesima proposta indecente del referendum per l’uscita dall’euro. Però come dice Aldo Giannuli sul suo blog, il referendum sull’euro si potrebbe fare e il M5S avrebbe ragione a proporlo. …
Infatti sarebbe praticabile la strada di un referendum consultivo di indirizzo come avvenne nel giugno del 1989, contestualmente alle elezioni europee in merito al conferimento o meno di un mandato costituente al Parlamento Europeo, che veniva eletto nella stessa occasione.
Esiste anche l’art. 75 II comma, che sancisce testualmente “Non è ammesso il referendum per le leggi tributarie, di bilancio, di amnistia ed indulto, di autorizzazione a ratificare trattati internazionali” e l’Euro è la conseguenza di un trattato internazionale. Però anche se il referendum non avrebbe valore vincolante ed efficacia esecutiva, lo si potrebbe fare ugualmente per sfidare il sistema.
Certo, dal punto di vista finanziario probabilmente metterebbe in allarme i mercati, però avrebbe un peso politico non indifferente, soprattutto perché permetterebbe di aprire un dibattito ampio e costruttivo in tutto il Paese, coinvolgerebbe tutte le forze politiche alla discussione, costringendo anche i più ignari ed increduli tra gli italiani ad approfondire l’argomento riguardante l’incidenza dannosa della moneta unica sugli equilibri economici, dato che ha causato disinvestimenti, insolvenze, disoccupazione, svendita degli assets economici più rappresentativi ed emigrazione all’estero di professionalità eccellenti.
A differenza dei soliti mantra, ormai divenuti anche piuttosto monotoni e scontati, l’esecutività del referendum potrebbe anche non limitarsi necessariamente all’uscita dall’euro o al ritorno alla lira, ma proporre alternative interessanti, quali l’introduzione di un sistema di cambi flessibili anche mantenendo l’euro, con valori monetari diversi a seconda delle diverse aree di pari produttività … magari una moneta per le aree più produttive (Germania Occidentale), una per quelle meno produttive (Meridione italiano e la Grecia), una per le aree intermedie (mantenendo l’indipendenza delle politiche economiche degli Stati) … oppure articolare l’attuale moneta unica a seconda di aree economiche più ampie, una per il Nord Europa, una per il Sud ed una per l’Est.
Il punto in questione sarebbe appunto quello di costringere tutto il Paese ad uscire dalla gabbia dell’informazione fasulla pilotata dai potentati d’interesse economico ed estrarre dal divieto liturgico eurista e dai terrorismi apocalittici mediatici tutte le verità sull’euro, su cui è stato impedito ogni dibattito equilibrato, oscurato da una narrazione propagandistica durata 70 anni e dalle pretese dei dogmi monoteisti delle élites oligarchiche, che hanno depredato la classe media proletarizzata dei diritti e del benessere, mediante rapine legalizzate dal sistema finanziario e dalla legge dei mercati.
A ciò si aggiungano anche le dichiarazioni della Banca d’Italia, secondo le quali il signoraggio sarebbe percepito in prima battuta dalle banche centrali, che poi lo riversano agli Stati, ancora oggi titolari della sovranità monetaria … allora potremmo giustamente condividere l’altra proposta di Fabio Conditi (moneta positiva), il quale sostiene che per mettere in crisi il sistema basterebbe forzare la mano all’Eurozona e cominciare a stampare euro … si potrebbe ipotizzare che gli Stati siano a questo punto autorizzati a richiedere di emettere moneta sovrana valida sul proprio territorio, e ad una richiesta di questo tipo da parte dell’Italia, la BCE farebbe fatica a giustificare un rifiuto per diversi motivi : la sovranità monetaria è ancora dello stato; la Germania ha creato monete metalliche in quantità maggiori di tutti gli Stati europei e sta iniziando a coniare moneta metalliche da 5 euro valide solo sul proprio territorio; per coniare monete metalliche di valore superiore a 2 euro la BCE deve “solo approvarne” la quantità (art.128 comma 2 del TFUE); emettere biglietti di Stato di qualsiasi valore, perché il TFUE dà alla BCE l’esclusiva solo delle “banconote” aventi corso legale nell’Unione (art.128 comma 1 del TFUE); emettere moneta elettronica o carte di credito di Stato, che non sono prese in considerazione dai trattati, dove si parla solo di moneta metalliche e banconote, tant’è che le banche possono creare moneta elettronica senza limiti; moneta a valenza fiscale, in quanto in base ai Trattati Europei la sovranità tributaria è ancora di competenza esclusiva degli Stati nazionali.
Quindi divulgare un’informazione corretta sui danni provocati dall’euro attraverso diverse piattaforme mediatiche (televisione, streaming, forum di discussione online, social network ecc.), potrebbe innescare un dibattito salutare per la presa di consapevolezza nazionale da un lato, servirebbe per fare proposte chiare e alternative rispetto al solito mantra ormai scontato dell’uscita dall’euro, per sfidare il sistema fino all’estrema conseguenza di metterlo in crisi.
Francesco Colonna
D’altro lato occorre porsi una domanda molto pratica. Se il M5S non facesse la proposta (come abbiamo visto realizzabile sul piano tecnico e auspicabile sul quello del dibattito che innescherebbe) di un referendum sull’euro, che cosa potrebbe rispondere alla domanda che gli viene spesso fatta: “Che cosa farete sulla questione della moneta unica una volta che sarete al governo?”. Nel mondo sovranista taluni continuano ad affermare che Dibba e compagnia dovrebbero rispondere: “Siccome la Ue è irriformabile, usciremo unilateralmente per decreto, da effettuare senza preavviso e con un piano rapido e studiato nei dettagli”. Non ci vuole un genio per comprendere che si tratterebbe di una vera e propria fesseria politica, che può essere giusto sostenuta da chi sa che non avrà nel prossimo futuro alcuna responsabilità di governo (e quindi può permettersi il lusso di fare affermazioni dure e pure). Siccome però pare che nel mondo no-euro questa suggestiva tesi (“bisogna dire tutta la verità e metterla nel programma di governo”) continua ad essere ripetuta, è bene chiarire perché si tratta di una colossale stupidaggine. Le ragioni sono le seguenti:
Se hai un piano segreto, da effettuare in modo rapido (la famosa “uscita per decreto nel weekend”), lo sbandieri ai quattro venti? Possibile che non si veda l’assurdità intrinseca di tale posizione?
La maggioranza degli italiani ha forse (forse) capito dopo anni di sofferenze che l’euro è stata ed è una fregatura. Ma pochi di costoro, al dunque, avrebbero il coraggio di votare un partito che dicesse esplicitamente di volerlo abbandonare. Un conto è considerare l’euro una palla al piede, ben altro decidere di affrontare i rischi (veri o presunti poco importa) di un’uscita unilaterale. Non dimentichiamo che la gente è impaurita da anni di propaganda e che i media sono tutti euristi. Chi si schierasse apertamente per l’eurexit non riuscirebbe a vincere le elezioni. Nel caso del M5S, significherebbe perdere una parte consistente degli elettori e dire addio ai sogni di governo. Negarlo significa non avere il polso dell’opinione pubblica e dell’uomo della strada.
Si sostiene che annunciare l’intenzione di indire un referendum significherebbe esporsi alle ritorsioni dei mercati. Vero. I sovranisti però dovrebbero spiegare come mai annunciare addirittura il proposito di uscire non dovrebbe scatenare ritorsioni ancora peggiori!
Insomma, il referendum è legalmente fattibile e anche il solo discutere se indirlo o meno, con un M5S al governo, sarebbe ragione sufficiente per innescare un salutare dibattito. E proporlo nel programma di governo è molto più razionale che proporre un’uscita che la maggioranza del popolo italiano ancora non è pronto a sostenere.
Rosanna
Verissimo quello che dice Francesco … una volta arrivato al governo, il M5S potrebbe controllare la Rai, che ora è completamente lottizzata dal renzismo, e permettersi in questo modo di modulare il dibattito nel paese in maniera finalmente molto più libera, e priva di quelle pastrocchie propagandistiche che hanno infestato negli ultimi anni tg e talk show, tutti insieme appassionatamente.
Francesco Colonna
D’altro lato occorre porsi una domanda molto pratica. Se il M5S non facesse la proposta (come abbiamo visto realizzabile sul piano tecnico e auspicabile sul quello del dibattito che innescherebbe) di un referendum sull’euro, che cosa potrebbe rispondere alla domanda che gli viene spesso fatta: “Che cosa farete sulla questione della moneta unica una volta che sarete al governo?”. Nel mondo sovranista taluni continuano ad affermare che Dibba e compagnia dovrebbero rispondere: “Siccome la Ue è irriformabile, usciremo unilateralmente per decreto, da effettuare senza preavviso e con un piano rapido e studiato nei dettagli”. Non ci vuole un genio per comprendere che si tratterebbe di una vera e propria fesseria politica, che può essere giusto sostenuta da chi sa che non avrà nel prossimo futuro alcuna responsabilità di governo (e quindi può permettersi il lusso di fare affermazioni dure e pure). Siccome però pare che nel mondo no-euro questa suggestiva tesi (“bisogna dire tutta la verità e metterla nel programma di governo”) continua ad essere ripetuta, è bene chiarire perché si tratta di una colossale stupidaggine. Le ragioni sono le seguenti:
Se hai un piano segreto, da effettuare in modo rapido (la famosa “uscita per decreto nel weekend”), lo sbandieri ai quattro venti? Possibile che non si veda l’assurdità intrinseca di tale posizione?
La maggioranza degli italiani ha forse (forse) capito dopo anni di sofferenze che l’euro è stata ed è una fregatura. Ma pochi di costoro, al dunque, avrebbero il coraggio di votare un partito che dicesse esplicitamente di volerlo abbandonare. Un conto è considerare l’euro una palla al piede, ben altro decidere di affrontare i rischi (veri o presunti poco importa) di un’uscita unilaterale. Non dimentichiamo che la gente è impaurita da anni di propaganda e che i media sono tutti euristi. Chi si schierasse apertamente per l’eurexit non riuscirebbe a vincere le elezioni. Nel caso del M5S, significherebbe perdere una parte consistente degli elettori e dire addio ai sogni di governo. Negarlo significa non avere il polso dell’opinione pubblica e dell’uomo della strada.
Si sostiene che annunciare l’intenzione di indire un referendum significherebbe esporsi alle ritorsioni dei mercati. Vero. I sovranisti però dovrebbero spiegare come mai annunciare addirittura il proposito di uscire non dovrebbe scatenare ritorsioni ancora peggiori!
Insomma, il referendum è legalmente fattibile e anche il solo discutere se indirlo o meno, con un M5S al governo, sarebbe ragione sufficiente per innescare un salutare dibattito. E proporlo nel programma di governo è molto più razionale che proporre un’uscita che la maggioranza del popolo italiano ancora non è pronto a sostenere.
Rosanna
Verissimo quello che dice Francesco … una volta arrivato al governo, il M5S potrebbe controllare la Rai, che ora è completamente lottizzata dal renzismo, e permettersi in questo modo di modulare il dibattito nel paese in maniera finalmente molto più libera, e priva di quelle pastrocchie propagandistiche che hanno infestato negli ultimi anni tg e talk show, tutti insieme appassionatamente.
Del resto, immediatamente prima del Brexit, il Telegraph citava un nuovo sondaggio Ipsos Mori che individuava l’Italia, oltre alla Francia, tra i paesi maggiormente a rischio di farsi contagiare dalla tentazione di lasciare la casa europea.
Tra gli italiani consultati, il 58% chiedeva un referendum sulla possibilità di uscire dall’Ue, di questi il 48% si diceva intenzionato a votare per una “Italexit”, per portare fuori il nostro Paese dall’Unione. Le relative percentuali erano del 55% e 41% in Francia. Molto più cauti i tedeschi (solo il 34% voleva poter votare sull’opzione fuori dall’Ue e di questi il 34% avrebbe scelto la fuoriuscita della Germania) e gli spagnoli (40% e 26% rispettivamente).
Tra gli italiani consultati, il 58% chiedeva un referendum sulla possibilità di uscire dall’Ue, di questi il 48% si diceva intenzionato a votare per una “Italexit”, per portare fuori il nostro Paese dall’Unione. Le relative percentuali erano del 55% e 41% in Francia. Molto più cauti i tedeschi (solo il 34% voleva poter votare sull’opzione fuori dall’Ue e di questi il 34% avrebbe scelto la fuoriuscita della Germania) e gli spagnoli (40% e 26% rispettivamente).
Teniamo presente che anche Marine Le Pen ha recentemente dichiarato che la Francia potrebbe seguire la Gran Bretagna nel lasciare l’UE, e che ormai in Europa è nato un movimento eurocritico che “non può essere fermato”. Le Pen avrebbe anche aggiunto che se vincesse le elezioni presidenziali francesi il prossimo aprile, proporrà un referendum sull’adesione all’ UE entro sei mesi.
Rosanna Spadini e Francesco Colonna
Fonte: www.comedonchisciotte.org
Rosanna Spadini e Francesco Colonna
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