“Le pagine più nere dell’Anm e del Csm sono state scritte alla luce del sole”. Marco Travaglio commenta a modo suo le vicende di Luca Palamara e delle toghe, ovvero con badilate di fiele e fango. Secondo il direttore del Fatto quotidiano, l’ex potentissimo magistato “spesso agiva sotto dettatura del Colle, con Napolitano e pure con Mattarella“. Non mancano poi i riferimenti ai vicepresidenti del Csm “Mancino, Vietti, Legnini, Ermini (tutti targati Pd)”. Gli esempi? Travaglio tira in ballo due suoi storici cocchi, e pazienza poi se le inchieste si siano scontrate, prima ancora che con le guerre interne alla magistratura, con la realtà dei fatti: Luigi De Magistris e John Henry Woodcock
Non c’è bisogno di chat – scrive Travaglio nel suo editoriale – per sapere che, quando De Magistris osò toccare i santuari politico-affaristico-massonici di Calabria e Basilicata, fu spazzato via prima dai suoi capi e poi dal Csm (tutto) insieme ai pm salernitani Apicella, Nuzzi e Verasani, che stavano scoprendo le sue ragioni, con la benedizione apostolica di Napolitano. Il quale benedisse pure le prime azioni disciplinari contro Woodcock, pm che da Potenza a Napoli rompeva le palle al Pd, a B. (per la corruzione dei senatori) e alla Lega (per i 49 milioni rubati).
Quando invece tentarono di fargliela pagare per lo scandalo Consip del Giglio Magico renziano, c’era già Mattarella”. E nella sagra delle accuse non poteva mancare quella sulla guerra intestina alla Procura di Milano tra Edmondo Bruti Liberati e Alfredo Robledo, “scippato del fascicolo su Expo2015 dal suo capo contro ogni regola interna: il Csm diede ragione a chi aveva torto e punì e cacciò chi aveva ragione su preciso ordine dello staff di Napolitano, con lettera su carta intestata”.
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