Fra i frequentatori di questo giornale ce ne sono alcuni che mostrano una particolare idiosincrasia per il termine Padania e per quel che significa. Spesso si tratta di un’avversione che non trova altra giustificazione se non nel cattivo uso che certa dirigenza leghista ne ha fatto. È il frutto di una sorta di transfer di inimicizie: chi mi ha fregato è milanista e perciò odio il Milan. Bossi e i suoi ci hanno illusi tutti con la promessa della Padania, l’hanno poi trasformata in un concorso di bellezza e in un giro ciclistico, l’hanno caricaturizzata con il ridicolo saluto di “Buona Padania” (roba da teatro del non senso), ne hanno fatto una pancera elastica da estendere a piacimento sulla carta geografica: l’hanno insomma sputtanata. E in tanti trasferiscono il loro rancore dal soggetto al prodotto dell’inganno. É una repulsione psicanalitica più che culturale o politica. Lo dimostra il fatto che sono in buona compagnia. I peggiori figuri dell’italianità attaccano, denigrano, sviliscono l’idea di Padania non per delusione ma per paura, ma il risultato non cambia.
Fini non perde occasione per ripetere con fare saputello che la Padania non esiste e l’altro giorno ci si è messo anche Mario Monti, che – con l’abituale energia da pesce lesso – è andato a Palermo a dire due cose: di sentirsi siciliano e che la Padania non esiste. Ovazioni dal pubblico. Ha detto più o meno: «La Padania non ha confini naturali, etnici, linguistici e geografici (forse prendendo a riferimento la Svizzera), non credo proprio che esista. So invece cosa è la Sicilia, e quando vengo qui sono colpito dalla bellezza e dalla potenziale ricchezza». Una osservazione che dovrebbe mettere molto in allarme i siciliani.
Perché questi signori dedicano tanta dotta attenzione a un’idea che la stessa Lega ha derubricato, preferendo un asettico e ambiguo Nord? Non c’è nessuno che in questa campagna elettorale sventoli bandiere padane: perché allora perdere tanto tempo prezioso a occuparsene?
Perché la Padania è la cosa più pericolosa per lo Stato italiano ladro e maneggione, perché in tutta la sua storia non c’è mai stato nessun altro progetto con la stessa potenzialità devastante e che sia andato più vicino a liberare il mondo da un gigantesco foruncolo vecchio di 150 anni.
Il sistema non ha mai vacillato neppure davanti alle più devastanti e sanguinarie ideologie, si è fatto un baffo di rivoluzioni rosse o nere, di brigatisti, di “uomini qualunque” e oggi di grillini: nessuno di loro ha mai neppure lontanamente tentato di terminare lo Stato unitario. La sola cosa che gli fa davvero paura è il progetto di Padania. Gli ha fatto paura quando è stato gestito da una banda di goliardici sciamannati presto ammansiti con stipendi e cadreghe, figuriamoci se fosse maneggiato da qualcuno più serio. È vero che lo hanno in passato disturbato separatismi periferici e bombaroli, come oggi lo impensieriscono talune pulsioni regionaliste ma sono tutte cose che lo Stato italiano può fronteggiare senza troppi pericoli. Cosa non riuscirebbe a contenere è proprio la Padania, per dimensioni e per consistenza culturale, e perché la Padania è il suo Bankomat, il suo vitalizio, l’inesauribile e indispensabile miniera cui attingere per il pane e per il companatico.
Per questo – oggi che nessun partito politico parla espressamente di Padania ma che il problema di fondo della questione settentrionale continua a emergere sotto l’incalzare della crisi economica – i sacrestani dell’unità e i guardiani dello Stato manolesta sparano bordate contro la Padania. Se ne hanno paura significa che è lo strumento giusto.
Fonte: srs di Gilberto Oneto, da L’Indipendenza, del 21 febbraio 2013
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