lunedì 11 febbraio 2013

SANREMO: 1 MILIONE DI EURO A LITTIZZETTO & FAZIO

 

 

di Gianni Lannes

 Lo spettacolo è cominciato, come al solito. Vi faranno ridere a crepapelle e piangere a catinelle, mentre vi prenderanno per i fondelli tanto per nascondere la realtà. Domanda facile facile. Quanti secoli occorrono ad un operaio italiano, o se preferite un insegnante, oppure un agricoltore e mettiamoci anche un artigiano e un impiegato, per guadagnare circa due miliardi delle vecchie lire? Chissà chi lo sa. Naturalmente a milioni di precari e disoccupati non basteranno altre vite. Ebbene, è la cifra che in una manciata di giorni intascherà il duetto Littizzetto & Fazio. Ma dove sta scritto che questi individui debbano sgraffignare così tanti soldi, per giunta in un momento difficile per il nostro Paese? In una fase eterna dove a pagare sono sempre gli onesti ed i lavoratori che ormai non arrivano neanche alla fine della settimana, non dico del mese. Ma dove sono tutti gli specialisti a pagamento che affollano i divanetti televisivi e pontificano sempre, senza avere le competenze?Il tema è per niente artistico: il cachet milionario ai vip della televisione. La RAI seguita a violare la normativa sulla trasparenza che obbliga l’azienda di Stato a pubblicare in Rete (online) la pubblicità dei compensi, metà dei quali pagati dal contribuente italiota. Da almeno 6 anni la società guidata dalla plurindagata Tarantola, già ai vertici di Bankitalia, calpesta impunemente le leggi in vigore senza alcuna conseguenza. Perché mai la Corte dei Conti non interviene? Eppure, recentemente, un decreto legge dal 1 gennaio scorso impone ancora una volta alla Rai di fare quel che finora non ha mai fatto: rendere noti i compensi delle star.  Ma la legge, si sa, almeno in Italia non è uguale per tutti.
Dalle stalle alle stelle: i compensi stratosferici ed ingiustificati. E nessun solone di centro, destra e & sinistra, fiata, compreso Vendola. E si capisce Nichi: è spesso ospite di siparietti televisivi. Si parla di cifre a 5 zeri per entrambi i conduttori, cifre che si aggirano attorno a 600 mila euro per Fabio Fazio, mentre a  Luciana Littizzetto – che ogni domenica spara a zero circa i compensi dei politicanti italiani – andranno più di 350 mila euro, più tutti  gli extra garantiti dagli immancabili sponsor pubblicitari. A parte le trivialità, la comicante torinese pubblica con Mondadori, di proprietà dell’imbonitore confusionario Berlusconi (tessera P2 numero 1816). La stessa casa editrice di Massimo D’Alema: esatto, quello delle scarpe da ricchi che nel 1999 in qualità di “premier” autorizzò i bombardamenti in Kossovo e firmò il 13 dicembre 2007, assieme a Romano Prodi, il famigerato e poco noto Trattato di Lisbona. Vale sempre l’adagio: per entrare nel sistema bisogna appartenere al sistema. 
Ricordiamo che il presentatore dell’anno scorso, Gianni Morandi, tra festival e pubblicità incassò più di un milione di euro, mentre Belen Rodriguez per il ruolo di valletta venne pagata circa 150 mila euro.
 Quanto costa questa kermesse? Si era tanto parlato di un Festival di Sanremo, che puntava tutto sulla qualità e soprattutto sul “risparmio”, o per meglio dire quel principio di “spending review”, di cui abbiamo tanto sentito blaterare dal primo ministro non eletto democraticamente, Monti Mario (affiliato a società segrete e consulente di banche e multinazionali che speculano sull’Italia).
Cifre da capogiro, che fanno impallidire e anche un po’ rattristire: ma non è solo questo il caso in cui bisognerebbe indignarsi. Restano da capire i soldoni  che verranno intascati dai super-ospiti di quest’anno, tra i quali ci sarà anche Carla Bruni, non si sa bene a quale titolo.
L’atavica crisi economica, dunque, sembra aver messo piede anche sul palco dell’Ariston, tanto che la Rai avrebbe deciso di andare al risparmio, con costi che oscilleranno tra gli 11 ed i 12 milioni di euro (al netto della convenzione tra la Rai e il Comune di Sanremo, che vale 7 milioni l’anno), ovvero un milione in meno rispetto agli ultimi due anni, con un taglio pari al 10 per cento circa. Compresa la convenzione, dunque, i costi complessivi oscilleranno tra i 18 ed i 19 milioni.
 La legge del dicembre 2007 valida per tutte le pubbliche amministrazioni, traccia la strada della «trasparenza»: c’è un tetto nel mondo del pubblico legato allo stipendio del primo presidente della Cassazione, ma lo si può superare per prestazioni artistiche o professionali svolte in particolari condizioni, insomma quando la concorrenza offre ingaggi milionari. Perfetto, però in questi casi ci vuole «l’indicazione nominativa dei destinatari e dell’ammontare del compenso, attraverso la pubblicazione sul sito web». Non ci sono dubbi. Il decreto legislativo 150 del 2009  fa riferimento alla trasparenza intesa come accessibilità totale. Non è tutto. Il decreto del 22 giugno 2012 fa riferimento alle sanzioni che scattano appunto dal primo gennaio 2013. La grave e reiterata mancanza di trasparenza, comporta infatti «la diretta responsabilità amministrativa, patrimoniale e contabile per l’indebita concessione o attribuzione del beneficio economico.
C’è poco da fare. La Rai deve rendere noti all’opinione pubblica gli ingaggi dei suoi divetti. Altrimenti non dovrebbe pagarli con i soldi di cittadine e cittadini. Ma è meglio non far sapere nulla a quei fessi e pecoroni di italiane ed italiani. Alla luce di questi fatti inequivocabili il canone RAI non è altro che una rapina legalizzata.
Con 10 milioni di persone in Italia che sopravvivono al di sotto della soglia di povertà materiale, secondo i rapporti della Caritas, che sommati ai dati sconosciuti dello Stato arrivano a toccare effettivamente 12 milioni, i governanti dilapidano ancora il denaro pubblico come se niente fosse. Possibile che i pensionati a fare la carità per mangiare dinanzi ai supermercati siano invisibili?
 
Anche il tribuno Grillo tace sul tema, ma sbotta, mettendo le mani avanti, attanagliato dalla strizza di non riuscire a far entrare in Parlamento i suoi servitori: «Se non facciamo il botto subito, lo facciamo tra sei mesi. E’ solo questione di tempo: se non facciamo il botto subito, lo facciamo in autunno. Restando così la situazione, torniamo alle urne fra sei mesi». Parola di Beppe Grillo, che in un’intervista al Secolo XIX annuncia di voler «mettere i politici a dieta».
Niente di nuovo, tutto programmato, preordinato, legato e coordinato. Tutto torna. Recitano a soggetto mentre il popolo italiano giace in letargo ed avverte la fame.
Il problema, forse, siamo noi che li sopportiamo: non è il prezzo del successo. Un altro nodo irrisolto e cruciale, è la diseguaglianza sociale, sempre più grande. Perché dobbiamo foraggiare ed osannare questi privilegiati? Non siamo una platea ma esseri umani, con cuore, intelligenza ed anima. Ora basta, ma non basta indignarsi. Voglio scendere in piazza e paralizzare pacificamente l’Italia. Siamo una forza, ma disuniti. Siamo patria. E’ ora di dimostrarlo con i fatti concreti. Coraggio!

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