di Gianni Lannes
Lo spettacolo è cominciato, come al solito. Vi faranno ridere a
crepapelle e piangere a catinelle, mentre vi prenderanno per i fondelli
tanto per nascondere la realtà. Domanda facile facile. Quanti secoli
occorrono ad un operaio italiano, o se preferite un insegnante, oppure
un agricoltore e mettiamoci anche un artigiano e un impiegato, per
guadagnare circa due miliardi delle vecchie lire? Chissà chi lo sa.
Naturalmente a milioni di precari e disoccupati non basteranno altre
vite. Ebbene, è la cifra che in una manciata di giorni intascherà il
duetto Littizzetto & Fazio. Ma dove sta scritto che
questi individui debbano sgraffignare così tanti soldi, per giunta in un
momento difficile per il nostro Paese? In una fase eterna dove a pagare
sono sempre gli onesti ed i lavoratori che ormai non arrivano neanche
alla fine della settimana, non dico del mese. Ma dove sono tutti gli
specialisti a pagamento che affollano i divanetti televisivi e
pontificano sempre, senza avere le competenze?Il tema è per niente
artistico: il cachet milionario ai vip della televisione. La RAI
seguita a violare la normativa sulla trasparenza che obbliga l’azienda
di Stato a pubblicare in Rete (online) la pubblicità dei compensi, metà
dei quali pagati dal contribuente italiota. Da almeno 6 anni la società
guidata dalla plurindagata Tarantola, già ai vertici di Bankitalia,
calpesta impunemente le leggi in vigore senza alcuna conseguenza.
Perché mai la Corte dei Conti non interviene? Eppure, recentemente, un
decreto legge dal 1 gennaio scorso impone ancora una volta alla Rai di
fare quel che finora non ha mai fatto: rendere noti i compensi delle
star. Ma la legge, si sa, almeno in Italia non è uguale per tutti.
Dalle stalle alle stelle: i compensi stratosferici ed
ingiustificati. E nessun solone di centro, destra e & sinistra,
fiata, compreso Vendola. E si capisce Nichi: è spesso ospite di
siparietti televisivi. Si parla di cifre a 5 zeri per entrambi i
conduttori, cifre che si aggirano attorno a 600 mila euro per Fabio Fazio, mentre a Luciana Littizzetto
– che ogni domenica spara a zero circa i compensi dei politicanti
italiani – andranno più di 350 mila euro, più tutti gli extra garantiti
dagli immancabili sponsor pubblicitari. A parte le trivialità, la
comicante torinese pubblica con Mondadori, di proprietà dell’imbonitore confusionario Berlusconi (tessera P2 numero 1816). La stessa casa editrice di Massimo D’Alema:
esatto, quello delle scarpe da ricchi che nel 1999 in qualità di
“premier” autorizzò i bombardamenti in Kossovo e firmò il 13 dicembre
2007, assieme a Romano Prodi, il famigerato e poco noto Trattato di Lisbona. Vale sempre l’adagio: per entrare nel sistema bisogna appartenere al sistema.
Ricordiamo che il presentatore dell’anno scorso, Gianni Morandi, tra festival e pubblicità incassò più di un milione di euro, mentre Belen Rodriguez per il ruolo di valletta venne pagata circa 150 mila euro.
Quanto costa questa kermesse? Si era tanto parlato di un Festival
di Sanremo, che puntava tutto sulla qualità e soprattutto sul
“risparmio”, o per meglio dire quel principio di “spending review”, di
cui abbiamo tanto sentito blaterare dal primo ministro non eletto
democraticamente, Monti Mario (affiliato a società segrete e consulente di banche e multinazionali che speculano sull’Italia).
Cifre da capogiro, che fanno impallidire e anche un po’
rattristire: ma non è solo questo il caso in cui bisognerebbe
indignarsi. Restano da capire i soldoni che verranno intascati dai
super-ospiti di quest’anno, tra i quali ci sarà anche Carla Bruni, non si sa bene a quale titolo.
L’atavica crisi economica, dunque, sembra aver messo piede anche sul
palco dell’Ariston, tanto che la Rai avrebbe deciso di andare al
risparmio, con costi che oscilleranno tra gli 11 ed i 12 milioni di euro
(al netto della convenzione tra la Rai e il Comune di Sanremo, che vale
7 milioni l’anno), ovvero un milione in meno rispetto agli ultimi due
anni, con un taglio pari al 10 per cento circa. Compresa la convenzione, dunque, i costi complessivi oscilleranno tra i 18 ed i 19 milioni.
La legge del dicembre 2007 valida per tutte le pubbliche
amministrazioni, traccia la strada della «trasparenza»: c’è un tetto nel
mondo del pubblico legato allo stipendio del primo presidente della
Cassazione, ma lo si può superare per prestazioni artistiche o
professionali svolte in particolari condizioni, insomma quando la
concorrenza offre ingaggi milionari. Perfetto, però in questi casi ci
vuole «l’indicazione nominativa dei destinatari e dell’ammontare del
compenso, attraverso la pubblicazione sul sito web». Non ci sono dubbi.
Il decreto legislativo 150 del 2009 fa riferimento alla trasparenza
intesa come accessibilità totale. Non è tutto. Il decreto del 22 giugno
2012 fa riferimento alle sanzioni che scattano appunto dal primo gennaio
2013. La grave e reiterata mancanza di trasparenza, comporta infatti
«la diretta responsabilità amministrativa, patrimoniale e contabile per
l’indebita concessione o attribuzione del beneficio economico.
C’è poco da fare. La Rai deve rendere noti all’opinione pubblica gli
ingaggi dei suoi divetti. Altrimenti non dovrebbe pagarli con i soldi di
cittadine e cittadini. Ma è meglio non far sapere nulla a quei fessi e
pecoroni di italiane ed italiani. Alla luce di questi fatti
inequivocabili il canone RAI non è altro che una rapina legalizzata.
Con 10 milioni di persone in Italia che sopravvivono al di sotto
della soglia di povertà materiale, secondo i rapporti della Caritas,
che sommati ai dati sconosciuti dello Stato arrivano a toccare
effettivamente 12 milioni, i governanti dilapidano ancora il denaro
pubblico come se niente fosse. Possibile che i pensionati a fare la
carità per mangiare dinanzi ai supermercati siano invisibili?
Anche il tribuno Grillo tace sul tema, ma sbotta, mettendo
le mani avanti, attanagliato dalla strizza di non riuscire a far entrare
in Parlamento i suoi servitori: «Se non facciamo il botto subito, lo
facciamo tra sei mesi. E’ solo questione di tempo: se non facciamo il botto subito, lo facciamo in autunno. Restando così la situazione, torniamo alle urne fra sei mesi». Parola di Beppe Grillo, che in un’intervista al Secolo XIX annuncia di voler «mettere i politici a dieta».
Niente di nuovo, tutto programmato, preordinato, legato e coordinato.
Tutto torna. Recitano a soggetto mentre il popolo italiano giace in
letargo ed avverte la fame.Il problema, forse, siamo noi che li sopportiamo: non è il prezzo del successo. Un altro nodo irrisolto e cruciale, è la diseguaglianza sociale, sempre più grande. Perché dobbiamo foraggiare ed osannare questi privilegiati? Non siamo una platea ma esseri umani, con cuore, intelligenza ed anima. Ora basta, ma non basta indignarsi. Voglio scendere in piazza e paralizzare pacificamente l’Italia. Siamo una forza, ma disuniti. Siamo patria. E’ ora di dimostrarlo con i fatti concreti. Coraggio!
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