Un invito del
lontano 2010
È l’invito che David
ha rivolto a una nostra giornalista, unica italiana al varo del Plastiki, il
catamarano fatto di 12 mila bottiglie riciclate. Il diario di bordo inizia
così: "Qui è un sogno... anche il capitano"
Incredibile. No, non sono stupita della
barca fatta di 12 mila bottiglie di plastica. E nemmeno dell’orticello
verticale che cresce sul ponte o della cyclette a prua. Incredibile è la tuta rattoppata, indossata con tanto
di berretto sdrucito stile Nostromo… Ma a un uomo così chi non sarebbe pronta a
perdonare tutto? E non (solo) perché è bello, biondo e di cognome fa de
Rothschild. Bensì perché, a 31 anni, alla Londra scintillante dei club
esclusivi ha preferito una casa a Sausalito, da dove sta per imbarcarsi e
attraversare il Pacifico per una causa: dimostrare che i nostri rifiuti stanno
rovinando il mare e hanno creato un’inquietante, vasta isola galleggiante. Ma
c’è un’altra ragione per cui, personalmente, sono pronta a perdonare a David de
Rothschild tutto: mi ha invitato, unica italiana, al varo della sua barca e
passerò 48 ore a bordo con lui e il suo equipaggio (e voi sapete cosa significa
condividere lo spazio ristretto sottocoperta, vero?).Annunciato da almeno due
anni, eccolo: ho qui davanti a me il “diamante di plastica”, che luccica sotto
la cornice simmetrica del Golden Gate, alle porte di San Francisco. Sto per
salire sul catamarano “Plastiki”, come il suo ideatore ha voluto chiamarlo, in
omaggio al “Kon-tiki”, la zattera di tronchi con cui l’esploratore norvegese
Thor Heyerdahl sfidò l’oceano nel 1947. Diciotto metri di bottiglie riciclate, uno
scafo trasparente, con cui l’erede del celebre impero di banchieri navigherà,
per tre mesi, fino a Sydney, toccando la “Eastern Garbage Patch”, lo
“staterello” di spazzatura che galleggia nell’oceano e di cui nessun Paese
vuole assumersi la responsabilità.
«Eppure è a due passi da Stati Uniti e
Giappone», spiega David de Rothschild, mentre con un salto smonta dalla
scialuppa e sale a bordo. Il mare è fermo, ma il cielo è cupo. I marinai lo
sanno: sta per arrivare la tempesta. «Le bottiglie che abbiamo utilizzato sono
riempite di un composto gassoso che, sublimando, le rende forti come il ferro»,
spiega de Rothschild, un diploma in Medicina e la passione per la chimica. «E
sono tenute insieme da una colla organica a base di zucchero. Nulla su questa
barca è artificiale». Speriamo, visto il tempo, che siano materiali molto
resistenti! «Tutto qui ha avuto una vita precedente: l’albero è un tubo
d’irrigazione in alluminio riciclato, i collanti sono a base di noci di acagiù
e canna da zucchero, i tessuti sono in fibre naturali», continua. Persino il
minuscolo bagno, installato vicino all’abitacolo, ha una destinazione utile. «È
il nostro concime», mi spiega la bella Jo Royle, la trentenne skipper di bordo.
E indica un orticello in crescita verso il cielo (il tipico “vertical garden”
dei grattacieli americani. Solo che qui siamo in mezzo al mare) che provvederà,
almeno in parte, a sfamare l’equipaggio con lattuga e spinaci. A bordo c’è
anche un apparecchio che permette di depurare l’acqua piovana, perché David, il
bel “barone ecologista”, non permetterebbe mai ai suoi una doccia utilizzando
l’acqua potabile. Che, detto per inciso, è razionata. «Il riciclo è la salvezza
del pianeta», spiega David, indossando un giaccone impermeabile e un berretto
di lana… (il vento si sta alzando, e anche le onde!). «Non credo che oggi
possiamo permetterci di condannare o eliminare completamente la plastica o
altri materiali non biodegradabili: sarebbe una battaglia persa. Dobbiamo
diventare astuti, e semplicemente riciclare, riutilizzare». Forse era questa
stessa determinazione, che gli vedo negli occhi, e la passione per il rischio,
che fece la fortuna di suo nonno (il temibile banchiere Anthony) e di suo
padre, sir Evelyn, re della finanza con il pallino del polo e dei cavalli. David
ha scelto un altro tipo di avventura: alla Borsa ha preferito le spedizioni
estreme (organizzate con la sua associazione Adventure Ecology) e le battaglie
ambientaliste. Qui, a bordo del Plastiki, adesso sta aiutando Jo a sistemare le
vele. Lei somiglia a Cameron Diaz, cosa che ha confuso i paparazzi, che,
qualche mese fa, hanno attribuito a David un flirt con l’attrice. E la sua
(chiacchierata) amicizia con Claudia Schiffer (trovo il coraggio di
chiedergli)? «Andiamo a prua – taglia corto lui – ti mostro una cosa». Grossi,
luccicanti pannelli solari. Dappertutto. «Ecco da dove arriverà l’energia, ma
non solo. La cyclette incastonata sul ponte alimenta un sistema che utilizza la
meccanica, fornendo ulteriore forza al catamarano. L’energia qui è pulita, e viva».
Inutile tentare di farlo parlare di donne. Tanto vale provare la sua bici e
capire che sensazione fa pedalare… sull’acqua. Fra l’altro, questo è un modo
per tenersi in forma (tre mesi in barca, senza soste, infiacchiscono) e, al
tempo stesso, si compie un piccolo miracolo della termodinamica. Arrivano anche
Josian e Olav Heyerdahl, membri (non fissi) dell’equipaggio e nipoti del mitico
esploratore del “Kon-tiki”. Un gruppo giovane, di ragazzi allenati a stare
gomito a gomito perché si conoscono da tempo. E poi, se c’è bisogno di
isolarsi, basta la musica: «Se qualcosa va storto, mi chiudo sottocoperta e
metto i Led Zeppelin a palla», dice David. Il vento della baia californiana non
mente e prima ancora che le nuvole abbiano coperto il Golden Gate si scatena il
temporale. Ci spostiamo velocemente sottocoperta, nel minuscolo abitacolo
realizzato in materiali riciclabili. Pochi metri quadri tra pozzetto e cabina
notte, e ti chiedi come faranno a condividere uno spazio così esiguo per tanti
giorni. «Semplice», spiega David, «abbiamo tutti lo stesso obiettivo:
raggiungere il “cuore malato” dell’oceano, denunciare lo scempio». Non ci sarà
tempo per le discussioni. Anche perché i tre membri fissi dell’equipaggio
(oltre a David e Jo ci sarà anche il co-skipper Dave Thomson) saranno impegnati
a portare la barca e a procacciarsi il cibo pescando. Sì, le scorte (carne e
verdura essiccate) non sono tante e la pesca sarà il principale mezzo di
sostentamento. «E poi leggeremo molto», dice David, che ha una passione per i
libri di moda, design e per i pionieri dell’ambiente come Jeremy Rifkin. «E
terremo un blog e un resoconto del nostro viaggio su Twitter». Tempeste, venti
e punti critici della rotta permettendo... Già perché l’itinerario non è uno
scherzo. A ridosso dell’equatore, sopra Tuvalu, c’è un punto in cui le correnti
giocano a rincorrersi pericolosamente. «Paura? Non ne ho, semmai sono molto
eccitato», dice David, che se ne sta tranquillamente a chiacchierare con me,
mentre si sta scatenando la tempesta nella baia. A me sembra spaventosa, la
barca oscilla, sbanda, sussulta, ma a uno come lui, che ha raggiunto entrambi i
Poli in slitta, si è buttato col parapendio negli angoli più impervi
dell’Ecuador e si prepara ad affrontare venti da 60 nodi, questa deve sembrare
poco più che una brezza primaverile. Sorridente e del tutto incurante dei miei
sguardi preoccupati a ogni movimento brusco dello scafo, torna all’unico tema
che gli sta a cuore: «Non tollero quando mi dipingono come un rampollo viziato.
Questa volta ho una missione importante da compiere. E sono pronto a ribadire
il mio messaggio al mondo intero. A voce alta».
http://archivio.grazia.it/people/david-de-rothschild-vieni-in-barca-con-me
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