«Il bilancio dovrebbe essere equilibrato, le finanze pubbliche dovrebbero essere colmate, il debito pubblico dovrebbe essere ridotto, l'arroganza della amministrazione dovrebbe essere abolita e controllata e l'aiuto ai paesi esteri dovrebbe essere diminuito per E il rischio che Roma cada nel falli- mento».Da un bel pezzo che la classe politica non legge più Cicerone! Dalla fine degli anni Settanta, la maggior parte dei paesi industrializzati sono entrati in un regime di debito permanente, dal quale nemmeno i periodi di forte crescita economica hanno consentito di uscire.
Il debito misurato è quello delle amministrazioni pubbliche, che viene chiamato "debito sovrano" o "debito pubblico". Di Alain De Benoist
Il debito pubblico "nel senso di
Maastricht", misurato in valore nominale (e non in valore di mercato),
viene definito come il totale degli impegni finanziari degli Stati contratti
sotto forma di prestiti risultanti dall'accumulazione, sul filo degli anni, di
una differenza negativa tra le loro entrate e le loro spese o i loro oneri.
Esso concerne tre settori: le amministrazioni centrali, cioè lo Stato propriamente detto, le amministrazioni locali (collettività territoriali, organismi pubblici, ecc.) e i sistemi di Previdenza centrali. Il trattato di Maastricht del 1992 aveva adottato i principi che il deficit degli Stati membri dell'Unione europea non avrebbe dovuto superare il 3% del prodotto interno lordo (Pil) e che il loro debito pubblico sarebbe dovuto rimanere al di sotto del 60% del Pil. Quegli obiettivi non sono stati raggiunti. Globalmente, il debito pubblico nella zona euro è aumentato del 26,7% dal 2007.
Esso concerne tre settori: le amministrazioni centrali, cioè lo Stato propriamente detto, le amministrazioni locali (collettività territoriali, organismi pubblici, ecc.) e i sistemi di Previdenza centrali. Il trattato di Maastricht del 1992 aveva adottato i principi che il deficit degli Stati membri dell'Unione europea non avrebbe dovuto superare il 3% del prodotto interno lordo (Pil) e che il loro debito pubblico sarebbe dovuto rimanere al di sotto del 60% del Pil. Quegli obiettivi non sono stati raggiunti. Globalmente, il debito pubblico nella zona euro è aumentato del 26,7% dal 2007.
Oggi rappresenta l'80% del Pil globale della zona. Ma in questo caso si tratta solo di una media. Nel 2011, otto paesidell'Unione europea esibivano un debito superiore all'80% del loro Pil: l'Ungheria e la Gran Bretagna (80,1%), la Germania (83%), la Francia (85%), il Portogallo (92%), il Belgio (97%), l'Italia (120%) e la Grecia (160%). Gli americani non se la passano meglio: al momento, ogni spesa pubblica effettuata negli Stati Uniti viene finanziata nella misura del 42% da prestiti!
In Francia, il debito pubblico nel 1980 rappresentava solo il 20,7% del Pil, ovvero l'equivalente di 92,2 miliardi di euro. Nel 2007, quando Nicolas Sarkozy è stato eletto alla testa dello Stato, aveva già raggiunto il 64,2% del Pil (1.211 miliardi di euro). Oggi ammonta all'85,3% (1.688 miliardi di euro), con un 30% di aumento in quattro anni. Il rapporto 2011 della Corte dei conti lascia prevedere che potrebbe raggiungere il 100% del Pil nel 2016.
La parte essenziale del debito è a carico delle amministrazioni centrali: 1.297 miliardi di euro su 1.646 nel 2011 (le collettività locali erano indebitate solo per un ammontare di 156 miliardi, la Previdenza sociale per una cifra di 191 miliardi). E il deficit delle finanze pubbliche, che si è fissato nel 2011 a 98,5 miliardi di airo, continua a crescere al ritmo di 3.200 euro al secondo! Il servizio del debito rappresenta il pagamento annuale dei prestiti sottoscritti giunti alla scadenza. Il carico del debito costituisce il pagamento dei soli interessi, ovvero in Francia circa 50 miliardi di euro l'anno, il che corrisponde al 20% del bilancio dello Stato, all'89% dell'imposta sul reddito, o ancora al 140% dell'imposta sulle società. Poiché il rimborso del capitale del debito ammonta a circa 80 miliardi di euro, il servizio totale del debito rappresenta oggi per lo Stato 118 miliardi di euro, cioè l'equivalente della totalità delle sue risorse fiscali dirette. Mentre il pagamento dei soli interessi, sta per diventare la prima posta di bilancio dello Stato, prima dell'Educazione nazionale, della Difesa o della previdenza.
Ma a chi dobbiamo tutto questo denaro? Essenzialmente ai mercati finanziari, ad istituti bancari, a compagnie di assicurazione, a fondi pensionistici e a talune società acquistano. Sono loro che "aquistano" titoli del debito francese, si tratti delle obbligazioni assimilabili del Tesoro (Oat), le più importanti in volume, che sono prodotti a lungo termine, dei buoni del Tesoro a interesse annuale (Btan), che hanno una durata da due a cinque anni, o dei buoni del Tesoro a tassi fissi e a interessi predefiniti (Btf), a brevissimo termine. Di fatto, oggi è attraverso la gestione dei debiti degli Stati che i mercati finanziari sono strutturati ed organizzati. Gli istituti finanziari scambiano poi il debito che hanno "acquistato" in forme molteplici, come i prodotti derivati, il che consente loro di speculare a propria volta sui mercati. Il paese industrializzato più indebitato è il Giappone, con un debito che supera il 195% del suo Pil, ma questo debito è essenzialmente detenuto dagli stessi giapponesi, il che pone il Giappone relativamente al riparo dalle alee della congiunture internazionali. Non è il caso della Francia, dove il 68% del debito negoziabile dello Stato è nelle mani di investitori "non residenti", cioè stranieri. Quali sono i paesi che ne possiedono di più?
E impossibile saperlo con certezza, giacché la legge proibisce di divulgare tale informazione. Come si è arrivati a questo punto? Le cause ovviamente sono molteplici: deficit di bilancio a ripetizione (la Francia è in deficit da quasi quarant'anni), incapacità della maggior parte degli Stati di padroneggiare le spese pubbliche, riforme fiscali e riduzioni di tasse demagogiche (se la fiscalità non fosse cambiata dal 1999, il debito francese oggi sarebbe di circa 20 punti di Pil in meno), deindustrializzazione in parte dovuta alle delocalizzazioni rese possibili dalla globalizzazione (nell'insieme dei paesi appartenenti alla Ocde, qualcosa come 17 milioni di posti di lavoro industriali sono stati distrutti nell'arco di soli due anni), deregolamentazione, privatizzazioni e via dicendo.
Una delle cause immediate dell'innalzamento del debito risiede nei piani di salvataggio della finanza decisi dagli Stati nel 2008 e nel 2009. Per salvare le banche e le compagnie di assicurazioni, gli Stati hanno dovuto a loro volta contrarre prestiti sui mercati, il che ha accresciuto il loro debito in proporzioni enormi.
Somme astronomiche (800 miliardi di dollari negli Stati uniti, 117 miliardi di sterline in Gran Bretagna) sono state spese per impedire che le banche sprofondassero, decisione che ha gravato in pari misura sulle finanze pubbliche. Complessivamente, le quattro principali banche centrali (Riserva federale americana, Banca centrale europea, Banca del Giappone e Banca d'Inghilterra) hanno iniettato 5.000 miliardi di dollari nell'economia mondiale fra il 2008 e il 2010. È il più grande trasferimento di ricchezze della storia dal settore pubblico al settore privato! Un trasferimento che ha permesso alle banche salvate dagli Stati di ritrovarsi creditrici dei propri salvatori... Nel frattempo, il credito ha continuato a generalizzarsi. La possibilità di contrarre prestiti per coprire le spese correnti o acquistare un alloggio offerta ai nuclei familiari è stata la principale innovazione finanziaria del capitalismo del dopoguerra. Indebitandosi massicciamente, le famiglie hanno indiscutibilmente contribuito, fra il 1948 e il 1973, alla prosperità dell'epoca del Glorioso Trentennio, poiché l'indebitamento ha consentito alla macchina dei consumi di continuare a girare. E il credito si è ulteriormente sviluppato quando le monete, divenute fiduciarie, hanno definitivamente smesso di essere convertibili in oro.
Il debito è un contratto fra due entità che ha per oggetto uno scambio scaglionato nel tempo. Il credito è definito come il potere di acquistare in cambio di una promessa di pagare. Il sistema ovviamente funziona solo se questa promessa è mantenuta. La crisi attuale, come è noto, è iniziata negli Stati uniti nell'estate 2007, con la vicenda dei subprimes. Le famiglie americane, incapaci di risparmiare, sono state sistematicamente incitate ad indebitarsi ipotecando il loro alloggio. Dal momento che il ricorso al prestito per loro non era altro che un modo per mantenere artificialmente il livello di vita malgrado il calo dei loro redditi, i fallimenti non hanno tardato a moltiplicarsi. Le banche e le compagnie di assicurazione sono state a loro volta minacciate, il che ha condotto gli Stati a concedere massicciamente prestiti per salvarle. Così la crisi del sovraindebitamento privato si è trasformata in crisi del sovraindebitamento pubblico.
Il concetto di debito è oggi fortemente associato al meccanismo di creazione monetaria. L'apertura di crediti da parte delle banche private è una creazione di moneta scritturale, puramente contabile, vale a dire virtuale, che è il risultato di un semplice gioco di scritture.Tramite la creazione monetaria, le banche creano ex nihilo un "potere d'acquisto" che trasmettono ai clienti a cui concedono prestiti. Questa moneta costituisce oggigiorno oltre il 90% della massa monetaria. Il suo ruolo è amplificato dall'effetto moltiplicatore del credito consentito dal sistema delle riserve frazionarie, che permette alle banche di prestare varie volte l'ammontare dei propri fondi. Una gran parte dei debiti pubblici si trova quindi oggi nei conti delle banche, che non hanno mai smesso di acquistare rifinanziandosi presso la Banca centrale europea ad un prezzo quasi nullo. In altri termini, le banche hanno prestato agli Stati, ad un tasso d'interesse variabile, somme che hanno avuto in prestito per quasi niente. Ma perché gli Stati non possono procurarsi autonomamente le somme in questione presso la Banca centrale? Semplicemente perché ciò è loro proibito!
La data chiave è quella del 3 gennaio 1973, data in cui il governo francese, su proposta di Valéry Giscard d'Estaing, all'epoca ministro delle Finanze, ha fatto adottare una legge di riforma degli statuti della Banca di Francia, disponendo che «il Tesoro pubblico non può essere presentatore dei propri effetti allo sconto della Banca di Francia» (art. 25), il che significava che era ormai proibito alla Banca di Francia accordare prestiti — per definizione non gravati da interesse — allo Stato, che di conseguenza era obbligato a contrarre prestiti sui mercati finanziari ai tassi che questi ritengono adeguati. Tale disposizione è stata in seguito generalizzata in tutta l'Europa, prima di essere ripresa nel trattato di Maastricht (art. 104) e poi nel trattato di Lisbona (art. 123), che stabilisce il divieto per la Banca centrale europea di prestare agli Stati, talché questi si vedono costretti a sottoscrivere prestiti con i mercati o con istituti privati pagando forti tassi di interesse. Le banche private, invece, possono continuare a prendere a prestito denaro dalla Bce ad un tasso risibile (meno dell'1%) per prestarlo agli Stati ad un tasso variabile fra il 3,5% e il 7%.
La legge del 1973 segna il momento in cui la Banca di Francia ha abbandonato il ruolo di servizio pubblico e spossessato lo Stato della sovranità monetaria. In origine, quella legge si appoggiava sul fatto che i prestiti senza interessi accordati dalle banche centrali agli Stati favorivano l'inflazione. Non era falso, ma si è passati da un eccesso all'altro. Invece di conservare lo stesso sistema pur istituendo una procedura che consentisse di limitare l'inflazione, si è puramente e semplicemente decretato che le banche centrali non avrebbero più potuto concedere prestiti agli Stati ma avrebbero potuto farlo alle banche ad un tasso d'interesse ridicolmente basso. Il maggiore privilegio degli Stati, che era il privilegio di battere moneta, è stato così trasferito alle banche, e al settore privato si è concesso il monopolio della creazione monetaria.
Già nel 1999 Maurice Allais, Premio Nobel di economia, scriveva: «Nella sostanza, l'attuale creazion monetaria ex nihilo da parte del sistema bancari è identica, non esito a dirlo, alla creazione di mone da parte dei falsari. Concretamente, sfocia nei me desimi risultati. L'unica differenza è che sono diversi coloro che ne approfittano» (La crise mondiale d'aujourd'hui).
Ancora di recente Mario Draghi, nuovo presidente della Bce, ha deciso di accordare alle banche prestiti in euro ad un tasso dell'i % su tre anni, senza alcuna limitazione di importo. Dato che il tasso Euribor, cioè il tasso al quale le banche si prestano denaro, è dell'1,9%, le istituzioni finanziarie della zona euro hanno in tale modo avuto accesso a finanziamenti due volte meno costosi. Non sorprendentemente, 523 banche europee hanno immediatamente sottoscritto la prima parte di questa offerta, datata 21 dicembre 2011, per un ammontare di 489 miliardi di euro — che avrebbero potuto prestare agli Stati al tasso da loro stesse deciso!
A questo punto intervengono le agenzie di rating, il cui ruolo è ormai ben noto. Più un paese riceve una buona quotazione, più ha la possibilità di contrarre prestiti a tassi ridotti (dalli% al 4%, in funzione della durata del prestito contratto). Viceversa, un paese mal quotato deve far fronte ad un innalzamento dei tassi d'interesse, che si suppone possa compensare il rischio più elevato che gli istituti e mercati si assumono prestandogli denaro.
Le agenzie sono infallibili? Nient'affatto, perché non è possibile per loro valutare in perfetta obiettività un futuro che è, per sua natura, indeterminato. Nel dicembre del 2010, l'agenzia di rating Standard & Poor's sottolineava ad esempio che «la Francia è quotata AAA, cioè con il voto più alto, con una prospettiva stabile, il che significa che non si vede questo voto avere sbalzi nei prossimi due anni». Tredici mesi dopo, la Francia perdeva la "tripla A". Dato più grave: le opinioni delle agenzie di rating possono essere paragonate a termometri che, non contenti di registrare la temperatura, la farebbero automaticamente innalzare quando constatassero che è cattiva. Basta infatti che un paese sia "degradato" perché i suoi prestiti divengano più costosi e di conseguenza la sua situazione si aggravi.
ssumiamo. Sin devonoo a tassi d'ine fissatai credit loro pialute finanziQuegli inter Essendo i non e i mer (*) rimborsare né il debito né gli interessi, gli Stati contraggono nuovi prestiti, innanzitutto per far funzionare i propri paesi, poi per rimborsare l'importo del debito precedente, infine per rimborsare gli interessi di quest'ultimo, il che ha l'effetto di aumentare ancora il loro debito e di appesantirne gli interessi. E dato che la loro situazione si aggrava, anche i tassi di interessi che vengono loro imposti aumentano. Risultato: più rimborsano, più prendono a prestito e più devono pagare. Il debito viene così posto in una situazione di crescita esponenziale per la semplice ragione che tutto il denaro messo in circolazione lo è attraverso prestiti bancari e il contraente il prestito deve sempre rimborsare più dell'importo riscosso. Una spirale infernale. Come uscirne? La soluzione che gli Stati hanno scelto per risanare la situazione consiste nell'intervenire sulle pensioni, sugli assegni familiari o sugli stipendi dei dipendenti pubblici, nel ridurre i programmi sociali, nel diminuire il numero dei funzionari, nel vendere o privatizzare tutto ciò che può esserlo (il che riduce di altrettanto il loro patrimonio), nell'instaurare ovunque rigore ed austerità. Il problema è che quegli stessi Stati vogliono nel contempo "rilanciare la crescita".
E i programmi di austerità comportano meccanicamente un aggravio della disoccupazione e un deterioramento del potere d'acquisto, quindi della domanda, il che non può che frenare la crescita e diminuire ulteriormente la solvibilità degli Stati. Sotto l'effetto dell'austerità, l'economia non può più essere trainata dal consumo, che è inevitabilmente destinato a contrarsi. Le classi medie e le classi popolari sono allora le prime a pagare l'imperizia della classe dominante. Quando l'austerità raggiunge un livello mai visto in tempo di pace, le conseguenze politiche e sociali minacciano di sfociare nel caos. L'applicazione di programmi di austerità finisce con l'«organizzare la recessione in Europa, con il risultato che i paesi non usciranno mai dal sovraindebitamento», ha dichiarato di recente Hubert Védrine, interrogato dal quotidiano del Québec «le Devoir». Per poi esortare a «domare i mercati» piuttosto che a rassicurarli, «perché questi mercati non sono una raccolta di vecchie persone inquiete, ma una palude di coccodrilli».
C'è un altro modo di comportarsi? Una soluzione, perlomeno a breve termine, sarebbe che la Bce accettasse di "monetizzare il debito", cioè di svolgere il ruolo di prestatore di ultima istanza. Ma la Bce si rifiuta di farlo, la Germania anche e la Commissione europea pure. Che fare, allora? Rinazionalizzare l'economia e porre fine all'indipendenza delle banche centrali? E quel che ha fatto il governo ungherese, con la conseguenza di esporsi a una denuncia per «violazione del diritto comunitario» presentata dalla Commissione europea.
Cancellare il debito? Sarebbe possibile se tutti i paesi indebitati lo esigessero contemporaneamente (la Francia, con un tratto di penna, ha cancellato nel giugno 2011 l'intero debito del Togo). Ma nessuno vuol decidersi a farlo. Allora? Allora, in mancanza di una rimessa in discussione dei fondamenti dell'attuale sistema, ognuno sega coscienziosamente il ramo sul quale è seduto. I politici si lamentano di dipendere dai mercati finanziari e dalle agenzie di rating, ma hanno fatto tutto quel che occorreva per porsi sotto il loro controllo. Hanno deregolamentato i mercati per decenni, hanno liberalizzato il credito, hanno tollerato le delocalizzazioni, hanno consentito alle banche di deposito e alle banche d'investimento di fondere le loro attività, hanno proibito alle banche centrali di aiutare finanziariamente gli Stati, hanno lasciato che la stretta azionaria si sviluppasse al di là del ragionevole, hanno dato alle agenzie di rating il potere (che in precedenza non avevano) di dare voti agli Stati, mentre questi si indebitavano in modo duraturo. Oggi raccolgono i frutti della propria cecità.
Viene chiamato «usura» l'interesse di importo eccessivo attribuito ad un prestito. Ma l'usura è altresì il procedimento che consente di imprigionare il contraente un prestito in un debito che non può più rimborsare e di impadronirsi dei beni che gli appartengono e che egli ha accettato di dare in garanzia. È esattamente quel che vediamo accadere attualmente su scala planetaria. Quello che Keynes chiamava un «regime di creditori» corrisponde alla definizione moderna dell'usura. I procedimenti usurari sono rintracciabili nella maniera in cui i mercati finanziari e le banche possono fare man bassa degli attivi reali degli Stati indebitati, impadronendosi dei loro averi a titolo di interessi di un debito la cui componente principale costituisce una montagna di denaro virtuale che non potrà mai essere rimborsata.
In conseguenza della crisi, l'Europa del Sud si trova oggi ad essere governata da tecnocrati e banchieri formatisi in Goldman Sachs o in Lehman Brothers. «Essere governati dal denaro organizzato è altrettanto pericoloso quanto esserlo dal crimine organizzato», diceva Roosevelt.
Non vi sarà alcun riaggiustamento spontaneo del sistema. Nessun paese ha oggi i mezzi per arrestare la crescita del proprio debito in percentuale del Pil, nessuno ha i mezzi per rimborsare la parte principale del proprio debito. Per questo motivo la crisi del debito è assai più grave della crisi dell'euro, che in rapporto ad essa svolge esclusivamente il ruolo di circostanza aggravante. Prova ne sia il fatto che i paesi industrializzati che non appartengono alla zona euro sono altrettanto indebitati quanto gli altri, se non di più. L'Europa si orienta verso la recessione, gli Stati Uniti e il Regno Unito verso la depressione. Malgrado tutte le manovre dilatorie, un'esplosione generalizzata appare inevitabile di qui a due anni.
http://www.vocidallastrada.com/2013/03/il-debito-infinito.html#more
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