“Se non si capisce che l'universalismo è la tara
di fondo, che non è mai esistito né mai esisterà un «cosmopolita», cioè
un «cittadino del mondo», che la «vera democrazia» esiste solo nella
mente di Giove, che la democrazia è solo questa bieca democrazia reale,
non si è capito nulla. La differenza non è più tra destra e sinistra,
tra rossi e neri, e così via. La differenza è fra mondialisti e
difensori del diritto dei popoli ad essere se stessi. Per distruggere le
appartenenze al mondo reale – fatto di razze, stirpi, nazioni, popoli e
Stati – tre sono le strategie dei Nemici degli uomini liberi.”
Federico Dal Cortivo per Europeanphoenix ha intervistato lo studioso Gianantonio Valli, collaboratore e redattore della rivista l’Uomo Libero.
La
Siria è sotto tiro da mesi oramai e dopo la liquidazione della Libia di
Gheddafi, l’apparato bellico e mediatico degli Stati Uniti e dei suoi
fidi alleati, ha iniziato a muoversi contro il legittimo presidente
siriano Bashar al Assad. Una guerra al momento fatta d’intelligence,
gruppi ben armati di mercenari, operazioni sotto copertura,
provocazioni, che hanno già causato migliaia di vittime tra la
popolazione civile e tra le forze di sicurezza governative. I fatti
riportati dai media embedded tutti allineati al mainstream imposto da
Washington, ogni giorno ci dipingono una Siria nel caos, un presidente
delegittimato, una forza di opposizione che gode del pieno consenso dei
siriani e una popolazione in attesa di essere “liberata”. Ne abbiamo
parlato con il dott. Giannantonio Valli che è stato di recente in visita
a Damasco.
1) Dott.
Valli innanzitutto una premessa, lei in una recente conferenza ha
esordito parlando della totale disinformazione che c’è sull’argomento
Siria. Giornali, riviste, canali televisivi tutti salvo rare e lodevoli
eccezioni ci propinano ripetitivamente la solita immagine degli insorti
liberatori e dei governativi oppressori, come giudica la libertà di
stampa in Italia oggi e in Europa in generale?
Il
paradigma storico-politico dal quale l'umanità viene conformata dal
secondo conflitto mondiale o per dirla più semplicemente la cornice che
inquadra la ricezione delle informazioni da parte dell'uomo comune, è
stato forgiato da precise centrali di guerra psicologica. Tali centrali
altro non sono che le dirette eredi della Psychological Warfare Branch
angloamericana. La creazione dei più diversi immaginarii è quindi, da un
lato, il risultato pressoché inconscio della conformazione dei cervelli
dell'uomo democratico, dall'altro dell'incessante opera dei mezzi di
comunicazione di massa. Questi ultimi rispondono, in ogni Paese
dell'Occidente, per il 99 per cento ai potentati finanziari, padroni
pure della quasi totalità delle forze politiche maggiori. La residua
libertà, di stampa e più latamente di informazione, è dovuta a voci
assolutamente coraggiose, che mettono in discussione non tanto questo e
quel singolo fatto, ma le radici stesse, ideologiche e storiche, del
mondo attuale. Tra queste mi piace ricordare, per la loro serietà,
coerenza e irriducibilità al Sistema, il quotidiano Rinascita e la
rivista l'Uomo libero, come pure i siti internetici olodogma e syrian
free press network. Quest'ultimo è la maggiore e più obiettiva fonte di
informazione sugli eventi siriani. Come ho detto in una recente
intervista radiofonica al periodico online La voce del ribelle, tale
sito, oltre ad un'infinità di notizie, smentite e rettifiche, diffonde
sia filmati girati dai cosiddetti ribelli «siriani», sia filmati di
provenienza governativa. Tra questi, anche i telegiornali siriani, la
cui diffusione viene impedita da mesi, alla faccia del pluralismo
vantato dalla cosiddetta Libera Stampa, dai canali satellitari non solo
occidentali, ma in primo luogo delle petromonarchie saudita, emiratica e
qatariota. Li si guardi. Ognuno giudichi poi da sé, con la propria
testa, la propria sensibilità, la propria coscienza. Quanto alle mie
convinzioni sugli eventi siriani, oltre che sulle citate testate, mi
sono basato sull'analisi degli eventi dell'ultimo trentennio, su una
quindicina di volumi, reperibili con qualche impegno per ogni
volonteroso che non voglia farsi accecare dalla propaganda degli
aggressori, ed infine sulle impressioni ricavate dal mio viaggio in
Siria nel maggio 2012. Una settimana non permette certo di conoscere la
realtà di un Paese nella sua complessità. Ma io, a differenza della
quasi totalità dei giornalisti di regime, ci sono stato. A mie spese. Il
mio cervello non lo paga nessuno.
2) Veniamo
alla Siria, che da tempo faceva parte di quella lista di “Stati
canaglia” stilata dal Dipartimento di Stato statunitense e quindi prima o
poi sarebbe finita sotto il mirino di Washington, quali sono state a
suo avviso le ragioni principali di quest’offensiva a tutto campo contro
Damasco?
La Sua domanda mi
permette di proseguire il discorso in tutta naturalezza. In effetti,
come ho detto alla televisione siriana, non si può capire il problema
Siria se non lo si inquadra in una più ampia visione ideologica e in una
strategia economico-geopolitica.
Ideologia e strategia non solo americane, ma più ampiamente mondialiste, vale a dire giudaiche. Avere bollato da decenni la Siria come «Stato canaglia» ha significato, per gli Occidentali (mi riferisco agli Stati Uniti, all'Inghilterra, alla Francia e ad Israele, eterno nemico con il quale mai Damasco ha sottoscritto un trattato di pace) tenere sotto scacco quel Paese fin dagli ultimi anni Settanta. In questa ottica, è comprensibile che la diffamazione di ogni atto del governo siriano sia stata e venga condotta col massimo della tenacia e della «buona coscienza» democratica. «Buona coscienza» che io riconosco non solo ai giornalisti della cosiddetta Libera Stampa, ma persino ai loro direttori e ai più «autorevoli» commentatori. Tra questi ultimi cito, persona tra le più velenose, l'ex ambasciatore Sergio Romano. Gran penna del Corriere della Sera, costui non perde occasione per pedissequare, con supponenza, la versione degli eventi siriani data dal foglio che lo nutre. Invero, oggi, la battaglia non la si vince tanto sul campo con le armi, quanto con la conquista dei cervelli dei sudditi democratici. Al contrario del nostro Solone, io ho potuto fare esperienza diretta, vedere coi miei occhi, toccare con le mie mani, come sia possibile manipolare le coscienze. Quella in atto è in primo luogo una guerra mediatica. Prima che sul campo, la guerra oggi si vince, ripeto, invadendo la mente degli individui. Sono quindi lieto – tristemente lieto – per avere assistito di persona alla creazione di realtà fittizie con immagini manipolate e le menzogne più sordide. In particolare, mi riferisco ai massacri compiuti nell'ultimo ventennio da Stati Uniti, Inghilterra, Francia e Israele col massimo di buona coscienza e avallati dalla complicità, dalla viltà dei popoli del Libero Occidente. Prima però di trattare dell'aggressione alla Siria, mi permetta di rammentare sette altri casi di menzogna, altrettanto atroci.
Ideologia e strategia non solo americane, ma più ampiamente mondialiste, vale a dire giudaiche. Avere bollato da decenni la Siria come «Stato canaglia» ha significato, per gli Occidentali (mi riferisco agli Stati Uniti, all'Inghilterra, alla Francia e ad Israele, eterno nemico con il quale mai Damasco ha sottoscritto un trattato di pace) tenere sotto scacco quel Paese fin dagli ultimi anni Settanta. In questa ottica, è comprensibile che la diffamazione di ogni atto del governo siriano sia stata e venga condotta col massimo della tenacia e della «buona coscienza» democratica. «Buona coscienza» che io riconosco non solo ai giornalisti della cosiddetta Libera Stampa, ma persino ai loro direttori e ai più «autorevoli» commentatori. Tra questi ultimi cito, persona tra le più velenose, l'ex ambasciatore Sergio Romano. Gran penna del Corriere della Sera, costui non perde occasione per pedissequare, con supponenza, la versione degli eventi siriani data dal foglio che lo nutre. Invero, oggi, la battaglia non la si vince tanto sul campo con le armi, quanto con la conquista dei cervelli dei sudditi democratici. Al contrario del nostro Solone, io ho potuto fare esperienza diretta, vedere coi miei occhi, toccare con le mie mani, come sia possibile manipolare le coscienze. Quella in atto è in primo luogo una guerra mediatica. Prima che sul campo, la guerra oggi si vince, ripeto, invadendo la mente degli individui. Sono quindi lieto – tristemente lieto – per avere assistito di persona alla creazione di realtà fittizie con immagini manipolate e le menzogne più sordide. In particolare, mi riferisco ai massacri compiuti nell'ultimo ventennio da Stati Uniti, Inghilterra, Francia e Israele col massimo di buona coscienza e avallati dalla complicità, dalla viltà dei popoli del Libero Occidente. Prima però di trattare dell'aggressione alla Siria, mi permetta di rammentare sette altri casi di menzogna, altrettanto atroci.
1.
Per l'Iraq di Saddam Hussein ricordo, del 1990, la farsa delle
incubatrici svuotate negli ospedali del Quwait, coi neonati scagliati a
terra dai soldati iracheni. E l'anno dopo le strisce verdi della
contraerea nel cielo notturno, con le quali l'emittente al-Jazeera, da
poco fondata dal Qatar con supervisione ebraico-americana, ci ha
suggestionato, facendoci credere di assistere ad una «guerra in
diretta». Ricordo, del 2003, la bufala delle «bombe intelligenti» e
delle «fiale di antrace» – rammenta Powell, il Segretario di Stato,
sventolante la mitica provetta di liquido giallo? Ricordo il cormorano
nero dagli occhi rossi coperto di petrolio a «provare» l'«infamia
ecologica» di Saddam. Mi permetta di sottolineare l'importanza anche dei
colori nella creazione degli immaginari fissati nei cervelli delle
masse, mille volte più forti di tante parole: verde, giallo, nero,
rosso... E poi le fantomatiche «armi di distruzione di massa», pretesto
per il nuovo massacro dopo il decennale stillicidio di bombe
clintoniano. Prova generale per i successivi in Afghanistan, Libia e
Siria.
2. Svaniti da
ogni memoria sono i 200.000 – sottolineo, duecentomila – morti del golpe
algerino compiuto nel 1992 dai militari massonici dopo la vittoria
elettorale del Fronte Islamico di Salvezza. Duecentomila persone, per la
quasi totalità stragizzate in un decennio. Vittime non solo i
protestatari cui sarebbe andata la legittima vittoria – e della cui
radicalizzazione successiva, e ribadisco: successiva, non dovremmo
quindi stupirci – ma anche migliaia di semplici cittadini tacciati di
connivenza. A carte ribaltate rispetto agli eventi siriani, è conferma
di quanto dico l'ammissione del supergiornalista Lorenzo Cremonesi sul
Corriere della Sera del 19 gennaio. Le cito: «Si affinò la tecnica dei
massacri di civili imputandoli poi agli islamici per ingraziarsi la
popolazione. Mohammed Samraoui, ex numero due dell'antiterrorismo, in un
libro del 2003 [...] citava una frase che usava ripetere il suo capo
diretto, Smail Lamari: "Sono pronto ad eliminare tre milioni di algerini
pur di mantenere la legge e l'ordine"».
3.
E il massacro del popolo serbo operato dalla NATO seminando il paese di
uranio. Uranio per il quale sono morti e muoiono tuttora di cancro
centinaia di nostri soldati inviati in quella missione «di pace».
Massacri compiuti non solo dai delinquenti albanesi, addestrati, armati e
guidati dagli americani, ma anche dai bombardieri partiti dall'Italia.
Dalle basi concesse al Grande Fratello Capitalista dal comunista Massimo
D'Alema, promosso capo del governo alla bisogna. E quindi
sbrigativamente scaricato. E qui apro una parentesi, e non parlo dei
famigerati «danni collaterali», espressione da allora entrata
nell'immaginario collettivo. «Collaterali», anche se furono scientemente
voluti per logorare e demoralizzare i serbi. Sottolineo come obiettivo
primario degli Occidentali fu, allora come oggi, silenziare i mezzi di
comunicazione non conformi. E tanto più quelli nemici, in particolare le
televisioni. Allora quella serba, bombardata con qualche «distrazione» a
monito contro la Cina... nell'attacco, ricorderà, morirono,
istruttivamente, cittadini cinesi. E nel 2011 la televisione libica,
colpita perché, dissero i virtuosi delle democrazie, «era di parte» e
«mentiva». E l'anno dopo, ed oggi la televisione siriana per mano di ben
istruiti terroristi, con l'uccisione di decine di giornalisti. E tutto
senza alcuna protesta dei loro «colleghi» occidentali. Ultima ma non
ultima riprova dell'idea occidentale di libertà di informazione:
all'inizio di settembre 2012 sono stati oscurati i canali televisivi
al-Ikhbariya e al-Dunya. Dopo il successo di Damasco nell’affrontare il
feroce attacco occidentale, armato e mediatico, gli amministratori del
satellite NileSat, hanno non solo violato i termini del contratto, ma
anche brutalmente violato le regole deontologiche dell'informazione.
4.
Ricordo poi due eventi gemelli: la cacciata dei giornalisti dalla città
ribelle di Falluja in Iraq nell'aprile 2004, per settimane stragizzata
all'uranio e al fosforo bianco dagli USA, e la cacciata dei giornalisti
da Gaza nel dicembre 2008, città e terra stragizzate all'uranio e al
fosforo bianco da Tel Aviv con l'Operazione Piombo Fuso. Da
quell'Israele, che avrebbe aggredito l'Iran già nel 2006 se non fosse
stato fermato sui confini dagli Hizbollah. Schiumando rabbia, Israele
distrusse allora dall'aria, strategia dei vigliacchi, le infrastrutture
civili. Ponti, strade, scuole, ospedali, abitazioni, acquedotti,
elettrodotti, e quant'altro. Tutto distrutto, contro ogni norma di
diritto bellico. Nessuna reazione dall'ONU, silenzio dal Tribunale
dell'Aja, guaiti dal Vaticano. Al contrario, le falsità create da
al-Jazeera e da al-Arabiyya, come pure i filmati girati dai terroristi,
vengono ripresi da ogni televisione e giornalone occidentale. E
riproposti a distanza, anche se da tempo smascherati come falsi.
5.
Solleticando il buon cuore dei sudditi democratici, dei minimalisti di
buona famiglia, di quelli che vedono l'albero e non si accorgono che fa
parte di una foresta, l'Afghanistan è stato devastato all'insegna di
«liberare le donne dal burqa». Che, infatti, è rimasto lì come prima. In
compenso, oltre ad avere impiantato enormi basi militari, fatto affari
con la ricostruzione di quanto avevano distrutto, portato alle stelle la
produzione di oppio, gli americani continuano a seminare stragi anche
da decine di migliaia di chilometri di distanza attraverso i droni. In
particolare, stragizzando qualunque assembramento «sospetto», come
quelli durante le feste di nozze.
6.
Quanto alla cosiddetta «primavera araba», spacciata per moti di libertà
in particolare dalle sinistre di ogni sfumatura, ci accorgiamo solo ora
che il vero obiettivo della messa in scena era propiziare un «inverno
libico» e, Dio non voglia, siriano. Aggredita a occidente a partire da
una Tunisia destabilizzata, ad oriente da un Egitto destabilizzato,
bombardata dal mare e dall'aria sempre contro ogni norma di diritto
bellico, la Libia ha finora visto il massacro di 120.000 suoi cittadini.
Con bombe a sottrazione di ossigeno, bruciato da ogni bomba su un'area
di ventimila metri quadri, tre campi di calcio. Con bombe a
frammentazione. Con una pioggia di fosforo, proiettili all'uranio,
missili a gas nervini. Con crani esplosi a colpi di mitra e persone
sgozzate. Massacro operato dai tagliagole armati dall'Occidente, così
come dai bombardamenti «umanitari» franco-anglo-americani. Ai quali si è
accodato, violando la Costituzione e su istigazione del quirinalizio
comunista Napolitano, lo sciacallo italiano. Nella fattispecie, il
governo berlusconico, quintocolonnato dal ministro degli Esteri Frank
Frattini. Ma poi, dov'erano quelli che nel 2003 appendevano gli stracci
arcobaleno della «pace» contro Bush? E così la Libia è stata riportata
all'ovile occidentale dopo quarant'anni di indipendenza e un'eroica
resistenza durata di sette mesi fino all'assassinio del colonnello
Gheddafi. Una resistenza tuttora in atto, nel silenzio della
Disinformazione Corretta. E questo, aggiungo, senza contare la
popolazione angariata e le decine di migliaia di lealisti tuttora
incarcerati, torturati e massacrati per essere rimasti fedeli ad un
legittimo governo. Ma, talora, chi semina vento raccoglie tempesta. L'11
settembre – un altro 11 settembre, ricorrenza mitopoietica
dell'operazione Torri Gemelle – sono stati linciati tre marines e
l'ambasciatore americano a Bengasi... ci dicono ad opera della «furia
fondamentalista». La causa: una «imperdonabile» offesa inferta a
Maometto dal cinema hollywoodiano. Con tutta evidenza, contro gli
Apprendisti Stregoni del «laico» Occidente si sta rivoltando un mostro
da loro scatenato contro Gheddafi. Nessuna pietà, me lo lasci dire, ho
provato per l'ambasciatore, uno degli organizzatori dei massacri di
Libia. Ne potrei provare un pizzico, per carità solo un pizzico, se
l'Abbronzato di Washington si cospargesse di cenere per la morte inferta
«per sbaglio», dai suoi, all'ultimo cammelliere dell'ultima oasi
libica. O all'ultimo spazzino dell'ultima cittadina libica, massacrato
perché pubblico dipendente.
7.
Nessuno ha poi parlato, se non per un giorno, del Bahrein, ove la
repressione dei moti di libertà da parte sciita, quelli sì veri, ha
visto il mitragliamento della popolazione da parte degli elicotteri
americani e l'invasione delle truppe saudite, chiamate dall'emiro.
Inoltre, la polizia ha imprigionato e torturato decine – sottolineo,
decine, il che rende l''ampiezza della repressione – di medici,
accusandoli di complicità coi dimostranti per avere curato i feriti.
All'inizio dello scorso settembre, dopo un anno e mezzo dai moti, decine
di manifestanti – ovviamente, i sopravvissuti – sono stati condannati a
pene che giungono all'ergastolo. E questo, nel più completo silenzio
della stampa e di ogni organizzazione umanitaria. E le rivolte, queste
sì vere e legittime, e la repressione continuano tuttora, nel più laido
silenzio della Grande Stampa Democratica.
E
mi fermo, ricordando l'imbonimento mediatico, quanto alla Siria,
compiuto per le stragi, veramente istruttive, di Houla, Daraya, Deir
al-Safir (colpi di mortaio su un asilo, spacciati per bombardamento
aereo governativo), Halfaya (scoppio di esplosivi in un covo
terroristico, spacciato per bombardamento aereo governativo di una
panetteria con la gente in coda... morti duecento, poi cento, poi
trenta, poi venti, poi boh!), Aleppo (missili o colpi di mortaio
sull'università e gli studenti in esame, sempre attribuiti al governo)
ed ancora Aleppo (un'ottantina di corpi nel canale, cittadini
assassinati con le mani legate dietro la schiena). Nessun problema poi,
ottenuto il risultato con titoloni, ad ammettere nelle pagine interne,
dopo qualche settimana, la responsabilità dei tagliagole e non del
governo siriano. Tanto, cosa ricorda il suddito democratico, tra
migliaia di altre notizie e in mezzo a tutti i suoi problemi? Altro che
la «verità» di chi spaccia filmati girati su regia occidentale! Vedi i
40 bambini di Houla, il 25 maggio. Cadaveri veri, bambini e familiari
colpiti da breve distanza o con le gole tagliate, fatti passare per
vittime dell'esercito, quando tutti erano di famiglie filogovernative.
Verità ammessa tre mesi dopo, ad esempio, dalla Frankfurter Allgemeine,
ma ignorata da ogni altro giornalone. Cento innocenti massacrati, foto
truccate, immagini scattate anni prima in Iraq e a Gaza. Di bambini
vittime del fuoco americano e israeliano. Egualmente massacrati dai
terroristi nelle case e per le strade sono stati, il 25 agosto, i 245
civili di Daraya presso Damasco. E sempre la strage è stata attribuita,
prima di svanire d'un botto dai giornali, all'esercito.
3) L’attacco
era stato preparato da qualche tempo, basta scorrere le pagine internet
del Brooking Institute e del Saba Center, noti think thank della
potente lobby sionista statunitense, oppure dare uno sguardo alla
rivista Foreingn Policy che a novembre 2011 ospitava un intervento di
Hillary Clinton dall’eloquente titolo “Il secolo pacifico dell’America”
vera e propria dichiarazione bellica contro il Vicino Oriente. Quindi
stiamo solo assistendo all’applicazione della geopolitica statunitense,
che andando a ritroso s’ispira a Zbigniew Brzezinski il quale nel
celebre libro “La grande scacchiera” aveva tracciato le linee guida per
il controllo dell’Eurasia. Lei dott. Valli che ne pensa?
In
un'intervista televisiva a Damasco mi è stato chiesto: perché la Siria?
Ho risposto che non è solo questione di geopolitica o di economia, ma
anche di ideologia. I piani degli aggressori datano da decenni, sono
piani a lunga scadenza. L'obiettivo finale, il messianico obiettivo
finale, è la distruzione delle nazioni e l'instaurazione di un unico
governo mondiale. A guida, ovviamente, americana. A guida, ovviamente,
dell'Alta Finanza. A guida, ovviamente, giudaica. Un governo che, delira
il profeta Isaia, tramuterà le spade in falci e le lance in vomeri
d'aratro. E dove il leone si pascerà di fieno a fianco dell'agnello,
senza mangiare l'agnello. Potenza dell'ingegneria genetica! Sappiamo che
non è un complotto, un tenebroso complotto. Un complotto, quando gli
scopi sono stati dichiarati a tutte lettere – ripeto: a tutte lettere –
dagli stessi autori in decine di pubblicazioni? Cerchiamo di essere
seri. Non prendiamoci in giro. È una strategia pensata in ogni aspetto,
non un complotto. Chi parla di complotto è un mistificatore. Uno che
nuota nel torbido. O, altrimenti, un perfetto ignorante. Di queste
pubblicazioni, progenie di precedenti progetti, cito solo tre esempi.
(A)
Nel 1997 Brzezinski, l'ebreo polacco da Lei citato, consigliere di sei
presidenti da Carter ad Obama, democratici come repubblicani, pubblicò
The Great Chessboard, "La Grande Scacchiera - Il mondo e la politica
nell'era della supremazia americana". Suggerendo di adoperarsi per fare
scoppiare conflitti interetnici nei più diversi paesi, Brzezinski
ammonisce che in futuro «la capacità degli Stati Uniti di [continuare
ad] esercitare un'effettiva supremazia mondiale dipenderà dal modo in
cui sapranno affrontare i complessi equilibri di forze nell'Eurasia,
scongiurando soprattutto l'emergere di una potenza predominante e
antagonista in questa regione».
(B)
Nello stesso 1997 una trentina di neoconservatori, ventotto almeno dei
quali ebrei e anime nere bushiane, lanciò il Project for the New
American Century, "Progetto per il Nuovo Secolo Americano", che
rilanciava le tesi di Brzezinski, suggerendo i necessari comportamenti
applicativi.
(C) Similmente, un gruppo
di intellettuali israeliani capeggiati dall'influente politologo Oded
Yinon aveva codificato, fin dal 1982, quindi ben quindici anni prima dei
confratelli di oltreoceano, la preventiva distruzione di ogni Stato
considerato nemico.
Cinque sono state
le fasi di tale strategia. La prima: scagliare in una guerra contro
l'Iran khomeinista un Iraq stupidamente caduto nella trappola e quindi,
dopo averlo indebolito, spiazzarlo economicamente. La seconda: occupare
l'Iraq e impadronirsi delle sue risorse energetiche, eliminando al
contempo uno dei più tenaci nemici di Israele e interrompendo la
continuità territoriale tra Siria ed Iran. La terza: occupare
l'Afghanistan e impiantare basi nell'ex Asia sovietica, condizionando a
nord la Russia e accerchiando da oriente l'Iran, già possedendo a sud il
controllo del Golfo. La quarta: assicurarsi, in vista di una guerra con
l'Iran, le ingenti risorse energetiche libiche, spegnendo al contempo
le velleità panafricaniste di Gheddafi e testando le reazioni del duo
Russia-Cina. La quinta: eliminare il baluardo geografico e militare
siriano, premessa per l'aggressione all'Iran.
Sull'onda
delle secolari teorizzazioni massoniche dell'«Ordo ab chao, Ordine dal
caos», sull'onda di quel «caos creativo» cantato nel 2006 dal Segretario
di Stato bushiano Condoleezza Rice, possiamo definire tale strategia
«geopolitica del caos», espressione coniata dallo storico Paolo Sensini.
I Signori del Caos vogliono frantumare gli Stati laici e modernizzatori
– Iraq, Libia, Siria e, anche se non è propriamente laico, l'Iran
sciita di Ahmadinejad – in miniregioni in lotta una contro l'altra per
motivi etnici e religiosi. Un federalismo in salsa orientale. Uno Stato
dopo l'altro, la «politica del carciofo». Eliminare una foglia dopo
l'altra, fino a giungere al cuore. L'ultima foglia è l'Iran. Il cuore,
il nemico strategico dell'Alta Finanza, sono la Russia e la Cina. In
particolare, per l'estensione del suo territorio e la ricchezza in
materie prime di ogni genere, la Russia. Ma i giochi non sempre
riescono, e l'ultimo osso sarà troppo duro per questa banda di
assassini. Anche la distruzione economica dell'Europa, in quanto potenza
alternativa agli USA, rientra nei loro piani. Quanto alle modalità
dell'applicazione di tale strategia, invito ad informarsi sul rivelatore
volume dell'ebreo Gene Sharp, attivo fin dal 2004, «Come abbattere un
regime», edito in Italia da Chiarelettere nel 2011.
4) Quale
è a suo avviso il ruolo che stanno ricoprendo la Russia,la Cina e
l’Iran in questa fase? Proprio di recente la Repubblica Islamica
dell’Iran ha presentato una sua proposta di pace in sei punti (http://europeanphoenix.it/component/content/article/8-internazionale-/504-siria-tra-voglia-di-pace-e-voglia-di-guerra-la-proposta-della-lobby-sionista-statunitense-e-quella-della-repubblica-islamica-delliran-per-una-soluzione-della-crisi) per uscire dalla crisi ribadendo ancora una volta la posizione pacifica di Teheran.
Dopo
avere abbandonato al suo destino la Libia, Russia e Cina hanno preso
una netta posizione all'ONU ponendo il veto sulla terza «zona di non
volo» pretesa (dopo la prima in Iraq e la seconda appunto in Libia)
dagli aggressori mondialisti. Date le loro dimensioni, le loro economie
ed i loro armamenti, Russia e Cina sono potenze globali, per cui,
consapevoli della sostanziale ostilità americana nei confronti di
entrambi, devono giocare su diversi scacchieri. Come che sia, all'errore
storico di valutazione compiuto nel caso libico potranno rimediare con
grande difficoltà. Resta la bruciante lezione, che certo non
dimenticheranno. L'ipocrisia, il cinismo, l'arroganza e la violenza
adoperati dagli Occidentali – l'ignobile mosca cocchiera fu la Francia –
saranno una lezione perenne per chiunque voglia ancora prestare fede
alle Grandi Carte, dell'ONU come delle Democrazie. Dopo l'«ingenuità» di
allora, quali furono gli altri motivi dell'indecisionismo russo-cinese?
Certamente la freddezza, o se vogliamo l'«equidistanza», mostrata da
sempre da Gheddafi nei loro confronti. Di un Gheddafi non solo illuso
dal «patto di amicizia» stipulato con l'Italia (che avrebbe dovuto
tutelarlo non mettendo a disposizione dei suoi nemici le basi per
un'aggressione aerea), ma anche, tutto sommato, illuso dalle «garanzie»
cartacee dello statuto dell'ONU. Quanto alla politica di Russia e Cina
nei confronti della Siria, devo dire che, a differenza della Russia
putiniana, della Cina io non mi fido affatto. La Russia ha concreti,
essenziali interessi geopolitici alla sua periferia. Se cadesse la Siria
non avrebbe più sbocco navale sul Mediterraneo, ma, cosa ancora più
importante, i suoi nemici occidentali avrebbero mano totalmente libera
sui suoi confini meridionali. Pensiamo al caso Georgia, a ragione
bacchettata duramente nel 2008. Per la Cina conta, invece, in primo
luogo l'Iran, uno tra i suoi primi fornitori energetici.
L'Iran
sciita sa benissimo di essere nel mirino da un lato delle
petromonarchie sunnite infeudate agli americani, dall'altro degli
Occidentali e di Israele. Se non vuole crollare come Stato e infeudarsi a
Washington e Tel Aviv, non può assolutamente permettersi di perdere la
Siria. Non solo per le affinità ideologico-religiose, ma per concreti
interessi strategici geopolitici. Quanto alla proposta di pace cui Lei
accenna, da un lato confesso di non averne preso documentata visione,
dall'altro mi permetto di ritenerla un passo che, seppur doveroso
nell'ambito della politica internazionale e mediatica, sarà del tutto
infruttuoso, data la determinazione degli aggressori occidentali. Questi
delinquenti politici, che in tempi più fausti sarebbero stati
pubblicamente impiccati per i loro crimini – parlo di supercriminali
come Sarkozy, Hollande, Obama, Erdogan, Netanyahu, i sauditi e i
qatarioti, come pure dei loro portaborse italiani – si sono spinti ormai
troppo avanti. Ritengo difficile, per non dire impossibile, non solo
che questa banda ripieghi rientrando nei ranghi del diritto
internazionale, ma anche che si arresti in una sorta di nuova guerra
fredda.
5) Chi sono invece i nemici principali della Siria?
Ogni
aggressore della Siria ha i propri obiettivi. In prima fila – per
quanto silenzioso, dato che per lui agisce l'intero Occidente – resta
sempre Israele, per il quale Damasco è non solo il nemico tradizionale,
ma l'ultimo ostacolo per l'aggressione all'Iran, pianificata da anni.
A
ruota segue il suo grande satellite a stelle e strisce. La distruzione
di un altro anello dell'Asse del Male risale non ai repubblicani Bush
padre né a Reagan, ma al democratico Carter. Al Nobel per la pace
Carter, al buono e mite democratico, che trentatré anni fa avviò la
destabilizzazione della Siria. Vale a dire, tre anni prima che Hafez
al-Assad, il padre dell'attuale presidente, reprimesse il terrorismo dei
Fratelli Musulmani, mobilitati fin dal 1971 contro il «testo ateo»
della Costituzione. Sulla stessa linea si è messo, con più concreti
ordini operativi, nel marzo 2005 Bush figlio. La scoperta, in questi
ultimi anni, di enormi depositi di gas e petrolio al largo delle coste
siriane è un'altra motivazione per l'intervento dei predatori
occidentali.
Quanto a Londra e Parigi, i
due compari ricalcano un colonialismo nato nel maggio 1916 e proseguito
coi Mandati loro assegnati dopo la prima guerra mondiale dalla Società
delle Nazioni. Cioè, da loro stessi. Violando ogni norma, Parigi non
solo staccò dalla Siria nel 1923 il territorio libanese, da sempre
provincia di Damasco, ma nel giugno 1939, per ingraziarsi la Turchia in
vista della nuova, programmata guerra mondiale, le cedette l'intera
provincia di Alessandretta con Antiochia. Infine, un punto ancor più
significativo, almeno sotto l'aspetto simbolico, è che le bande
terroristiche del cosiddetto «Libero Esercito Siriano» sventolano oggi,
senz'alcuna vergogna, la bandiera con la striscia verde e le tre stelle
rosse. Quella dei servi, della Siria coloniale francese.
Secolare
è poi l'ostilità tra Istanbul e Damasco, cui si aggiunge l'odio
religioso tra la Turchia sunnita e l'Iran sciita. Nonché, con più
concrete motivazioni, la volontà turca di diventare il principale
crocevia, e quindi controllore, energetico dal Medio Oriente e dall'Asia
Centrale all'Europa.
I regimi feudali
di Arabia e Qatar, stretti agli USA fin dal febbraio 1945 da un ferreo
patto in cambio della più totale acquiescenza, aggiungono ai
predominanti motivi economici l'odio per il laicismo siriano che difende
la convivenza delle più varie fedi ed etnie. Intrisa di wahabismo – una
ideologia messianica fondata da criptoebrei come criptoebrei furono i
fondatori del clan dei Saud – l'Arabia è l'unico paese al mondo a trarre
il nome non da un popolo né da un credo, ma da una famiglia. Quasi che
lo Stato e il popolo siano proprietà personale di qualche migliaio di
principotti. Invero, non esiste «il mondo arabo», e neppure «il mondo
islamico», intesi come entità omogenee spinte contro l'Europa da un
interesse comune o da un'ideologia unificante. Esistono solo paesi
arabi, o islamici, in lotta fra loro. Divisi da concreti interessi, da
rivalità geopolitiche, da settarismi religiosi. Paesi vassalli degli
Stati Uniti, a partire dal Marocco fino agli Emirati Uniti.
Sono
del tutto infondate due tesi. La prima, che vede in Siria una rivolta
di popolo contro il cosiddetto «clan» alauita del presidente Bashar. La
seconda, che vede in atto una guerra civile. Per quanto esistano frange
di opposizione antigovernativa più o meno radicali, non è una rivolta,
non è una guerra civile, cioè un conflitto fra due componenti
sostanziali di una stessa società. È invece una feroce aggressione
dall'esterno, voluta dagli Occidentali, dalle petromonarchie e dalla
Turchia. I loro strumenti sono bande di fanatici religiosi, di
sperimentati mercenari, di sadici criminali.
Contro
la splendida realtà siriana di umana convivenza, l'Occidente ha
scagliato centomila tagliagole. Qualche decina di migliaia di terroristi
autoctoni, pressoché tutti delinquenti comuni e latitanti condannati
con pene anche fino all'ergastolo; ben più numerosi e in
posizione trainante sono quelli giunti dall'estero. Mercenari
sperimentati in Libia, Iraq ed Afghanistan. Pazzoidi religiosi arrivati
da Marocco, Algeria, Tunisia, Libano, Giordania, Yemen e Pakistan.
Guerriglieri salafiti e wahabiti intossicati da un credo
ottuso, esaltati contro l'«eretico» Bashar che permette a cristiani,
drusi e altri non musulmani di convivere a parità di diritti con la
maggioranza sunnita.. Bande di terroristi salafiti, wahabiti, alqaedisti
messe in piedi dalla CIA. Armati, addestrati, pagati e guidati
dall'Occidente «laico e progressista».
Assassini
che soprattutto all'inizio, quando la mano delle autorità è stata
leggera per mesi, dapprima nelle zone più periferiche poi in quartieri
delle grandi città hanno creato repubblichette partigiane ove regnava la
violenza più cruda. Dove hanno compiuto attentati con mortai,
autobombe, lanciarazzi e, ritiratisi sotto la pressione dell'esercito,
con mine a scoppio ritardato. Dove hanno incendiato e distrutto
monumenti millenari come il vecchio mercato di Aleppo, patrimonio
dell'UNESCO. Dove hanno distrutto centinaia di scuole e ambulatori. Dove
hanno sgozzato, decapitato, squartato, mutilato impiegati statali,
poliziotti, amministratori, insegnanti, medici, religiosi non allineati.
Dove hanno sequestrato e massacrato nei modi più efferati, nella ferrea
logica di ogni partigianesimo che deve intimorire i civili con un
terrore esemplare, gente di ogni età e di ogni ceto. All'inizio,
diffondendo video sulle proprie prodezze, quali i «processi» agli
avversari malmenati, umiliati e messi al muro, lo sgozzamento di
poliziotti, l’assassinio di civili a colpi di mitra o di machete, il
lancio nel vuoto di lealisti dai tetti delle case. In seguito,
eliminando in massa civili di ogni età e, resi più accorti delle
reazioni negative del delicato Occidente, attribuendo, spudoratamente
supportati dalla Grande Stampa e dalle Grandi Televisioni, i massacri
alle forze governative. In ogni caso cercando di sfiancare, logorare,
demoralizzare, paralizzare il paese dall'interno, di far perdere ai
cittadini la fiducia nella protezione del proprio governo. Il tutto, in
attesa dell'attacco in supporto dall'esterno, con le bombe e i missili
NATO. E di un più vasto bagno di sangue.
Certa
è in ogni caso l'intercambiabilità degli aggressori. Il risultato è lo
stesso che ad aggredire sia un Bush, bianco massone cattivo e
repubblicano, o un Obama, negro massone buono e democratico. Un tizio
nobelizzato per la Pace ancor prima di avere detto bah, e per questo
legittimato a fare ciò che vuole. Nonché zombizzato dall'odiosa Hillary,
quella dei quintali di Viagra – qualcuno lo ricorderà – distribuiti da
Gheddafi per incitare i soldati a stuprare le donne dei nemici.
Il
risultato è lo stesso vi sia il socialista Blair o il conservatore
Cameron, il destrorso Sarkozy o il sinistrorso Hollande, i militari
massoni di Istanbul o l'islamico Erdogan. Complici e pagatori pronta
cassa, gli sceicchi delle petromonarchie. E a tirare le fila, Israele e
l'ebraismo internazionale. Di quest'ultimo mi limito a citare il trio
intellettuale rappresentato dagli ex sessantottini miliardari
Bernard-Henri Lévy, Alain Finkielkraut e André Glucksmann. Coadiuvati
fattivamente dall'ex ministro degli Esteri sarkozyco Bernard Kouchner,
già fondatore di Medici senza frontiere, uno dei massimi istigatori al
massacro di Serbia, e dal ministro degli esteri hollandico Laurent
Fabius. Cinque ebrei. Come ebrei ed ebrei onorari furono e sono lo
stesso Sarkozy e lo stesso Hollande. Di Fabius, poiché tutto si tiene,
rammento che fu il cervello, l'ideatore eponimo della legge
Fabius-Gayssot, approvata nel 1990 per tacitare ogni storico nonconforme
alla vulgata sterminazionista, all'Immaginario Olocaustico. Defilatosi
in seguito Fabius, tutto il merito della repressione del pensiero, tutto
il merito dell'infamia, resta al comunista Gayssot, l'ennesimo utile
idiota goyish.
6) Dott.Valli
ci parli delle libere elezioni che si sono svolte in Siria nel maggio
2012, sulle quali è calato il silenzio mediatico teso ad avallare
l’immagine di una Siria dominata da una feroce dittatura e ci parli
della Costituzione siriana.
A
differenza della Libia, Paese di sei milioni di abitanti divisi in
centocinquanta tribù in eterna discordia tra loro, unificati solo dal
carisma di Gheddafi – e tuttavia semplicemente eroico nella resistenza
solitaria, per sette mesi, contro nemici perfidi e ultrapotenti – la
Siria è un vero Stato. Uno Stato laico nel quale convivono una
quindicina di confessioni religiose e una ventina di etnie. La scuola è
gratuita. La sanità è anch'essa a carico dello Stato. Se il presidente è
di religione musulmana-alauita, i vicepresidenti sono di confessione
sunnita. E non solo, uno dei tre vicepresidenti è stata una donna,
l'unica donna a rivestire una carica di tale importanza nel Vicino
Oriente. In Arabia alle donne è persino vietato guidare la macchina.
Inoltre la Siria, per quanto secondo la Costituzione il Presidente non
possa essere che musulmano, è l'unico paese arabo dove l'islamismo non è
religione di Stato e il credo dei cittadini non è riportato sulle carte
d'identità.
Impressionanti,
a confronto del deserto stepposo della Giordania, sono i cento
chilometri che separano Damasco da Daraa visti dall'aereo, verdeggianti,
bonificati, irrigati dalle riforme volute da Hafez al-Assad, «il padre
della Siria». Un personaggio di umili origini divenuto generale
d'aviazione, un modernizzatore che, appoggiato dagli intellettuali e dai
tecnici del partito nazionalista e socialista Baath, «Rinascita», ha
spazzato via le tracce del peggiore feudalesimo.
Che
un paese assediato abbia usato ed usi un pugno saldo, ed ora un pugno
finalmente di ferro, per mantenere la convivenza civile e fronteggiare
una spietata aggressione esterna, non fa meraviglia. In ogni caso la
Siria di Bashar al-Assad era un paese che stava vivendo una fase di
dinamismo politico caratterizzato dal progetto di una nuova Costituzione
– stilata da un comitato di giuristi, parlamentari e membri della
società civile – e da un multipartitismo sempre più vivace.
E,
soprattutto, caratterizzato da quelle libere elezioni del 7 maggio 2012
sulle quali è subito calato il silenzio, il silenzio totale da parte
dei massmedia occidentali... arma la più efficace perché una qualunque
cosa, come che la si voglia giudicare, neppure più esiste se non se ne
parla. Non vale neppure accusare il governo di brogli. Non se parla. In
ogni caso le democrazie occidentali, le nostre truffaldine democrazie
del nostro beato Occidente, sono proprio le ultime a poter impartire
lezioni di correttezza. Inoltre, le elezioni hanno dato una netta
maggioranza ai partiti governativi. Alla tornata elettorale ha
partecipato il 51,26 % degli aventi diritto, una cifra miracolosa, se
pensiamo che in molte zone l'accesso ai seggi è stato impedito dai
terroristi, che hanno anche assassinato numerosi candidati. Una tornata
che ha visto 7.195 candidati, di cui 710 donne, contendersi i 250 seggi
dell'Assemblea Nazionale che avrebbe approvato una nuova Costituzione.
Prima delle elezioni il governo era retto da una maggioranza di nove
partiti, tra cui il Baath. Oltre a candidati indipendenti, hanno
concorso altri nove partiti, facenti parte di un'opposizione più o meno
determinata ma non terroristica. Con Paolo Sensini, della genuinità
della contesa elettorale sono stato testimone io stesso a Damasco.
Chiudo
con qualche cifra. Su ventiquattro milioni di siriani, i nemici
radicali del regime sono quattro milioni, pressoché tutti sunniti ed
appartenenti alla parte più bassa della popolazione. Trogloditi, mi
passi il termine, nemici delle scuole pubbliche, tenuti nel più
ignorante fanatismo islamico dai loro capi religiosi, residenti nelle
zone di Homs, Hama, Idlib e Daraa. All'epoca del mio viaggio in Siria le
vittime, civili come militari, dell'aggressione terroristica
imperversante da tredici mesi si aggiravano sulle 4000. A fine giugno
erano balzate a 13.000. Terrificante la successiva scalata. A tutt'oggi,
febbraio 2013, dopo soli altri otto mesi, possiamo contare, dalla parte
del governo e del popolo siriano, assassinati 40.000 civili e caduti
30.000 militari – militari di leva, il «ragazzo della porta accanto»,
non «milizie di regime» – e 30.000 paramilitari di autodifesa. Di
contro, 40.000 sarebbero i terroristi indigeni ed altri 40.000 quelli
stranieri terminati dall'esercito.
7)
Durante il suo recente viaggio in terra siriana ha potuto certamente
raccogliere testimonianze e vedere con i proprio occhi la realtà locale,
quella quotidiana fatta di uomini e donne del popolo, ce ne può
parlare?
Come ho detto, ho avuto la
fortuna di passare in Siria la prima settimana di maggio 2012. Ho
interrogato il generale medico, cristiano figlio di contadini, direttore
del maggiore ospedale di Damasco. Quotidianamente vi morivano una
decina di militari, oggi infiniti di più. La nostra delegazione ha
intervistato decine di soldati feriti e mutilati. Ho intervistato il
presidente del parlamento. Il ministro dell'Informazione. Il governatore
di Daraa, la prima città ad essere infiltrata dai terroristi. Il
patriarca greco-cattolico melchita Gregorio III ci ha parlato a nome di
tutte le confessioni cristiane, sostenendo il governo. Il massimo
studioso vivente dell'Islam, il dottor Mohammad Albouti, lucidissimo
novantenne nella moschea sunnita degli Omayyadi, nella funzione del
venerdì ci ha detto testualmente: «I cittadini siriani hanno un livello
di conoscenza che impedisce loro di cadere nella trappola. È proprio
questa conoscenza la nostra difesa contro questa aggressione». Dopo
avere citato il proverbio «È un tuo fratello anche se non è stato
generato da tua madre», si è rivolto a noi: «Credo nella vostra
fratellanza più che in quella dei nostri cugini arabi che falsificano la
verità». Per un più dettagliato resoconto rimando al numero 73 de
l'Uomo libero.
Mi consenta di citare la
testimonianza di Agnès-Mariam de la Croix, suora carmelitana libanese,
attiva in Siria da vent'anni, resa nell'ormai lontano 25 luglio 2012 in
un convegno a Roma: «Per quanto riguarda il massacro di Homs attribuito
all’Esercito governativo, ho constatato con i miei occhi un centinaio di
cadaveri all’obitorio. Erano civili sgozzati dai ribelli per
distruggere la vita sociale della Siria. Ho contattato e incontrato i
loro familiari, che in parte conoscevo, erano cristiani e musulmani
baathisti. Ho capito che il fine dei rivoltosi è la distruzione della Siria così come è stata sino ad ora. Per far ciò bisogna prima
distruggere la vita sociale, ad esempio si impedisce al medico di
curare gli ammalati e se non obbedisce lo si sgozza, al panettiere di
sfornare il pane e così via, e poi si giunge alla distruzione della Siria. Tutto è finalizzato a far collassare la Società civile siriana. I cento morti di Homs erano cittadini che hanno osato non obbedire ai ribelli e sono stati sgozzati. Oggi la medesima tattica, impiegata ieri ad Homs, è stata perfezionata in peggio. A Damasco seimila mercenari stranieri hanno invaso la zona residenziale della capitale per seminare il terrore tra i civili; ad Aleppo dodicimila mercenari stranieri
e qualche centinaio di siriani stanno seminando il panico nella
"capitale economica" della Siria. Ma a Damasco i cittadini in 48 ore
hanno evacuato la città ed hanno permesso all’Esercito di reprimere i
rivoltosi. Questa è legittima difesa, non "crimine di
guerra" come dice la stampa occidentale. Ad Aleppo non vi sono mai state
dimostrazioni pacifiche o violente, come invece vi erano state a
Damasco per dare l’impressione e la parvenza di una "rivoluzione
spontanea primaverile" che chiedesse la libertà. Come mai adesso
dodicimila miliziani, che son sbucati fuori dal nulla, marciano verso
Aleppo e sono entrati nella città? Chi sono? Chi li manda? [...] Sono
turchi, libici, afghani, pachistani, sudanesi, e vogliono portare solo
caos e distruzione, non vogliono la libertà dei siriani come dicono i 'media'. Da Homs a Damasco si contano 13.000 cristiani uccisi dai mercenari islamisti radicali. Cosa avverrà ad Aleppo? I vescovi siriani si sono riuniti oggi per smascherare il complotto che si cela dietro le apparenze di democrazia e libertà e fare in modo che tutti sappiano chi si nasconde dietro la rivolta, ma la stampa occidentale non vuol ascoltare».
8) Alla luce dei recenti fatti che si stanno succedendo nel Vicino Oriente, chi sono oggi i veri “nemici dei Popoli”?
Per
rispondere compiutamente alla Sua domanda occorre alzare lo sguardo
dalle motivazioni economiche e geopolitiche. Andare al fondo delle cose.
Dal punto di vista ideologico le finalità – basate sull'eterno delirio
dell'Unico Mondo guidato dagli Unici Eletti – sono quelle vantate, in
otto sole parole, da un personaggio buffo ma pericoloso,
l'amministratore delegato FIAT Sergio Marchionne. Quello dei maglioncini
e della barba incolta. Della delocalizzazione e della miseria
nazionale. Dei contributi statali a fondo perduto e degli Elkann. Cito
tra virgolette tanta saggezza: «Bisogna superare l'attaccamento
emozionale al proprio paese». La stessa concezione anima mister Mario
Monti, nel novembre 2011 unto senatore a vita dal quirinalizio comunista
e da lui messo a capo del governo. Sei mesi prima, il 28 maggio, alla
Bocconi, l'esimio Salvatore delle Banche si era augurato che si
estinguesse «il senso di appartenenza dei cittadini ad una collettività
nazionale». Si veda su Google il video di tre minuti titolato «Monti le
parole di un pazzo».
Ma la disgrazia,
per Marchionne, per Monti, per tutti i mondialisti del «volemose bene»
intergalattico, è che ci sono popoli, come i siriani, che al loro paese –
alla loro gente, alla loro nazione, ai loro padri, ai loro figli, a se
stessi – non vogliono rinunciare. Lo si intenda una volta per tutte! Non
siamo all'interno di una disputa scolastica, ma di una guerra di
civiltà! È una guerra politica, una guerra intellettuale, una guerra
morale, una guerra spirituale, è una guerra totale quella che ci
coinvolge. La posta in gioco, nel suo senso più profondo, non è il
Potere, ma la Memoria e l'esistenza dei popoli, la sopravvivenza
dell'Anima stessa dell'uomo.
Come ho
detto a Milano il 14 luglio in una manifestazione pro-Siria, non sono
mai stato politicamente corretto, non ho paura delle parole. Non è il
tempo dei compromessi. È il tempo delle affermazioni assolute e delle
negazioni radicali. Non è tempo di neutralità. Non è il tempo degli
utili idioti che strillavano «né con Saddam né con Bush, né con
Milosevic né con la NATO». Il privilegio dell'ignoranza e il vanto
dell'idiozia li lascio a chi sventolò gli stracci arcobaleno con
iscritto «pace». A coloro che usano ancora termini ammuffiti come
colonialismo e imperialismo. Il nemico dell'uomo, il nemico dei popoli
liberi non è oggi l'imperialismo. È il Nuovo Ordine Mondiale. È il
mondialismo, l'universalismo. È il cosmopolitismo, la cittadinanza
planetaria. Il termine imperialismo proietta le menti in un'atmosfera
fuorviante, in un quadro emotivo e relazionale ottocentesco, epoca nella
quale ancora vivevano e si mobilitavano le nazioni. Combattendosi l'un
l'altra per i propri valori, i propri sogni, i propri deliri, i propri
interessi. Legittimi o illegittimi, a noi graditi o meno che fossero. Il
quadro è radicalmente mutato. Oggi stanno per scomparire tutte le
nazioni, stanno per decomporsi tutti i popoli, per divenire sezioni di
un osceno ammasso planetario dominato neanche più da una singola
nazione, ma da una mostruosa entità finanziaria. Da una entità globale
che ha inventato a suo uso e consumo, ed imposto a tutti i popoli, la
farsa dei Diritti Umani. Una entità apolide che se ne serve a scopo del
più bieco sfruttamento. Il re oggi è nudo, nudissimo.
L'umanitarismo,
il capitalismo finanziario del quale gli Stati Uniti sono
l'espressione più compiuta, è il male assoluto, un disastro come il
mondo non ha mai conosciuto. Perché comporta l'annientamento di
ogni cosa. Se in passato qualche sistema politico ha distrutto gli
individui, fin dalla sua infanzia il Sistema ha decomposto tutte le
culture, attaccato i valori che fanno la specificità delle civiltà,
privato l'uomo delle sue appartenenze naturali, ridotto le nazioni a
folklore. Quando pure, nella sua giovinezza e maturità, non ha
distrutto, fisicamente, interi popoli. Dei suoi complici sono
parte gruppi come Amnesty International, Human Rights Watch, gli
altermondialisti, i neoglobal... altro che no global! Dei suoi complici è
parte il Tribunale Internazionale dell'Aja, responsabile
dell'assassinio in carcere di Slobodan Milosevic e del massacro di
Libia. Tribunale mobilitato oggi contro il popolo siriano, avallando con
la sua «autorità» l'operato dei tagliagole e ponendo le premesse per
un'ennesima guerra. Gli «aiuti umanitari» mascherano i più torbidi
interessi, quando non dirette forniture di armi. Già disse Proudhon:
«Chi dice umanità cerca di ingannarti».
Se
non si capisce che l'universalismo è la tara di fondo, che non è mai
esistito né mai esisterà un «cosmopolita», cioè un «cittadino del
mondo», che la «vera democrazia» esiste solo nella mente di Giove, che
la democrazia è solo questa bieca democrazia reale, non si è capito
nulla. La differenza non è più tra destra e sinistra, tra rossi e neri, e
così via. La differenza è fra mondialisti e difensori del diritto dei
popoli ad essere se stessi. Per distruggere le appartenenze al mondo
reale – fatto di razze, stirpi, nazioni, popoli e Stati – tre sono le
strategie dei Nemici degli uomini liberi.
(A)
La prima è la distruzione armata degli Stati che non s'inchinano ai
loro voleri: nel Vicino Oriente, in Africa, in America Latina. Ma anche
in paesi europei come la Serbia. Le cito al proposito, non si potrebbe
essere più chiari, il detto Glucksmann, quello dal caschetto argenteo a
paggetto, sul Corrierone del 15 dicembre: «Il nuovo ordine mondiale ora
passa anche per Damasco».
(B) La
seconda sono le rivoluzioni colorate – arancioni, viola, gialle, rosa,
verdi, dei tulipani e chi più ne ha più ne metta – contro l'Iran e i
paesi ex comunisti: Serbia, Macedonia, Moldavia, Ucraina, Bielorussia,
Russia (vedi le tre efebiche pussy riot, traduzione più cruda: "la
rivolta della figa"), Georgia, Kirghizistan. «Rivoluzioni» studiate a
tavolino da gruppi come la Fondazione Società Aperta del
supermiliardario, guarda caso sempre ebreo, George Soros. L'affondatore
della lira nel 1992. Il superspeculatore inventore dell'acronimo PIIGS
nel 2010 coi confratelli Steven Cohen e John Paulson. Il compare di
Prodi, da Prodi fatto premiare a Bologna con una laurea honoris causa.
(C)
La terza è la strategia contro l'Europa. In quattro fasi: rieducazione
dei suoi popoli mediante il lavaggio del cervello con le cosiddette
«colpe» della guerra mondiale, in particolare la Fantasmatica
Olocaustica; invasione migratoria; distruzione dello Stato sociale;
riduzione in miseria dei suoi popoli. In particolare, dell'ultima fase
sono artefici, attraverso colpi di Stato chiamati governi tecnici, i
portaborse dell'Alta Finanza. Sempre quelli della «cittadinanza
planetaria», dei predicatori della pace perpetua. Della pace eterna. Di
tali golpe, due soli esempi. In Italia mister Monti, in Grecia un altro
maggiordomo Goldman Sachs. E su tutto, l'occhio insonne del ciambellano
Mario Draghi, già Goldman Sachs. Colpi di Stato coordinati dalle massime
cariche istituzionali e avallati dalla quasi totalità dei politici,
camerieri dei banchieri, complici consapevoli o semplici idioti.
Intervistato
l'11 ottobre dalla TV siriana, l'ex generale libanese, cristiano,
Michel Aoun, capo del Blocco per il Cambiamento e le Riforme, ha
pronosticato che la Siria non cadrà. I paesi che cospirano non
riusciranno a sottometterla: «La fermezza della Siria contro il
complotto è molto forte, perché la crisi non ha potuto colpire il
settore amministrativo, né quello giudiziario, né quello militare,
nonostante tutte le enormi perdite umane ed economiche». RingraziandoLa
per l'opportunità offertami, riassumo il senso della questione siriana
in due frasi. 1° L'unica possibilità di salvezza per la
Siria sta nel suo esercito, nei giovani militari in difesa del loro
popolo; l'unica possibilità di non essere inghiottiti dalla cloaca
dell'Occidente è Bashar al-Assad. 2° La Siria di Bashar
al-Assad, la Siria del popolo siriano, è un esempio unico di fierezza e
dignità, un rimprovero perenne per i popoli vili, un baluardo della
residua libertà.
Gianantonio Valli, nato a Milano nel 1949 da famiglia valtellinese e medico-chirurgo, ha ● pubblicato saggi su l'Uomo libero e Orion; ● curato la Bibliografia della Repubblica Sociale Italiana (19891), i saggi di Silvano Lorenzoni L'abbraccio mortale - Monoteismo ed Europa e La figura mostruosa di Cristo e la convergenza dei monoteismi, i libri di Joachim Nolywaika La Wehrmacht - Nel cuore della storia 1935-1945 (Ritter, 2003), Agostino Marsoner Gesù tra mito e storia - Decostruzione del dio incarnato (Effepi, 2009), Wilhelm Marr, La vittoria del giudaismo sul germanesimo (Effepi, 2011) e Johannes Öhquist, Il Nazionalsocialismo - Origini, lotta, Weltanschauung (Thule Italia, 2012); ● redatto la cartografia e curato l'edizione di L'Occidente contro l'Europa (Edizioni dell'Uomo libero, 19841, 19852) e Prima d'Israele (EUl, 19962) di Piero Sella, Gorizia 1940-1947 (EUl, 1990) e La linea dell'Isonzo - Diario postumo di un soldato della RSI. Battaglione bersaglieri volontari “Benito Mussolini” (Effepi, 2009) di Teodoro Francesconi; ● tradotto, del nazionalsocialista Gottfried Griesmayr, Il nostro credo - Professione di fede di un giovane tedesco (Effepi, 2011). È autore di: ● Lo specchio infranto - Mito, storia, psicologia della visione del mondo ellenica (EUl, 1989), studio sul percorso e il significato metastorico di quella Weltanschauung; ● Sentimento del fascismo - Ambiguità esistenziale e coerenza poetica di Cesare Pavese
(Società Editrice Barbarossa, 1991), nel quale sulla base del
taccuino «ritrovato» evidenzia l'adesione dello scrittore alla
visione del mondo fascista; ● Dietro il Sogno Americano - Il ruolo dell'ebraismo nella cinematografia statunitense (SEB, 1991), punto di partenza per un'opera di seimila pagine di formato normale: ● I complici di Dio - Genesi del Mondialismo,
edito da Effepi in DVD con volumetto nel gennaio 2009 e, corretto, in
quattro volumi per 3030 pagine A4 su due colonne nel giugno 2009; ● Colori e immagini del nazionalsocialismo: i Congressi Nazionali del Partito (SEB, 1996 e 1998), due volumi fotografici sui primi sette Reichsparteitage; ● Holocaustica religio - Fondamenti di un paradigma (Effepi, 2007, reimpostato nelle 704 pagine di Holocaustica religio - Psicosi ebraica, progetto mondialista, Effepi, 2009); ● Il prezzo della disfatta - Massacri e saccheggi nell'Europa "liberata" (Effepi, 2008); ● Schindler's List: l'immaginazione al potere - Il cinema come strumento di rieducazione (Effepi, 2009); ● Operazione Barbarossa - 22 giugno 1941: una guerra preventiva per la salvezza dell'Europa (Effepi, 2009); ● Difesa della Rivoluzione - La repressione politica nel Ventennio fascista (Effepi, 20091, 20122); ● Il compimento del Regno - La distruzione dell'uomo attraverso la televisione (Effepi, 2009); ● La razza nel nazionalsocialismo - Teoria antropologica, prassi giuridica (in La legislazione razziale del Terzo Reich, Effepi, 2006 e, autonomo, Effepi, 2010); ● Dietro la bandiera rossa - Il comunismo, creatura ebraica (Effepi, 2010, pp. 1280); ● Note sui campi di sterminio - Immagini e statistiche (Effepi, 2010); ● L'ambigua evidenza - L'identità ebraica tra razza e nazione (Effepi, 2010, pp. 736); ● La fine dell'Europa - Il ruolo dell'ebraismo (Effepi, 2010, pp. 1360); ● La rivolta della ragione - Il revisionismo storico, strumento di verità (Effepi, 2010, pp. 680); ● Trafficanti di sogni - Hollywood, creatura ebraica (Effepi, 2011, pp. 1360); ● Invasione - Giudaismo e immigrazione (Effepi, 2011, pp. 336); ● Il volto nascosto della schiavitù - Il ruolo dell'ebraismo (Effepi, 2012); ● L'occhio insonne - Strategie ebraiche di dominio (Effepi, 2012, pp. 604);.Quale complemento di L'occhio insonne ha in preparazione ZOG - Governi di occupazione ebraica, cui seguirà Giudeobolscevismo - Il massacro del popolo russo, aggiornamento e rielaborazione della prima parte di Dietro la bandiera rossa.
Riconoscendosi nel solco del realismo pagano (visione del mondo
elleno-romana, machiavellico-vichiana, nietzscheana ed infine
compiutamente fascista) è in radicale opposizione ad ogni
allucinazione ideo-politica demoliberale e socialcomunista e ad ogni
allucinazione filosofico-religiosa giudaica/giudaicodiscesa. Gli sono
grati spunti critico-operativi di ascendenza volterriana. Non ha mai
fatto parte di gruppi o movimenti politici e continua a ritenere
preclusa ai nemici del Sistema la via della politica comunemente
intesa. Al contrario, considera l'assoluta urgenza di prese di
posizione puntuali, impatteggiabili, sul piano dell'analisi storica e
intellettuale.
Fonte: Europeanphoenix 1 Marzo 2013
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