Nel film di Dino Risi ‘Caro papà’, del 1979, Albino Milozza (alias Vittorio Gassman) l’imprenditore che vota a sinistra, ma ha fatto i soldi appoggiandosi ed intrallazzando con i vari governi Dc, vive uno un rapporto di continua tensione con il figlio Marco, poiché quest’ultimo simpatizza con gli ambienti della contestazione contigui alla lotta armata. L’ennesimo acceso confronto verbale si svolge nei seguenti termini:
Padre: “All’età tua io ero in montagna a sparare ai tedeschi!“
Marco: “Ci avete rotto i coglioni con i
partigiani e con la resistenza … siete diventati peggio dei garibaldini
… con una retorica che fa schifo!“
Padre: “Adesso basta! Guarda che non ti permetto di insultare il mio passato.”
Marco: “E il tuo presente fa ancora più schifo del tuo passato.”
Credo che questo
‘dialogo’ esprima adeguatamente la categoria storico-politica coniata da
Gianfranco La Grassa, di ‘antifascismo del tradimento’. Con essa, egli
ha voluto sia riferirsi al contesto storico 1943-45 ma anche alla
trasformazione del Pci, iniziata dalla fine degli anni Sessanta, che si è
ideologicamente manifestata con l’assunzione di tale tipo di
antifascismo—analogo a quello savoiardo-badogliano—che ricercava ed
accettava la servile sottomissione agli Stati Uniti. Segnalo qui che,
forse, un antecedente prossimo del concetto di ‘antifascismo del
tradimento’ lo si può ritrovare nell’ipotesi di lavoro—casualmente non
portata avanti da altri?—che lo storico Guido Quazza (presidente dal
1972 dell’Istituto Nazionale per la Storia del Movimento di Liberazione
in Italia), formulò a metà anni ’70. Questa ipotesi sosteneva la
compresenza di tre tipi di antifascismo.
Il primo, denominato ‘antifascismo politico’, “tempratosi
nel ventennio e forte di una ricca esperienza politica ma anche carico
del peso di tante sconfitte e di tanti contrasti, nonché del settarismo e
dell’estraniazione rispetto alla realtà intanto maturata nell’Italia
dominata dal fascismo”.E’ “l’antifascismo organizzato:
l’antifascismo dei pochissimi coraggiosi o eroici combattenti della
generazione anziana e di quella di mezzo, dei processati, confinati,
carcerati o esuli.”1 Il secondo, definito come ‘antifascismo esistenziale’, “nato
dalla quotidiana e drammaticamente vissuta esperienza del divario fra
le promesse del regime fascista e la realtà delle sue disfatte, oppure
dalla continua sofferta partecipazione nelle fabbriche e nei campi alla
lotta di classe”. E’ “l’antifascismo sempre meno passivo e in
molti casi attivo, con le armi o con le lotte, di giovani dei ceti medi,
operai e contadini, al quale dà una carica decisiva d’urto, dopo l’8
settembre, la spinta rivendicativa della classe operaia accesasi e
rimasta viva dal marzo attraverso grandi scioperi”2. Ma Quazza osservava che “Accanto
a questo primo e secondo antifascismo, dai quali nasce la lotta armata,
ce n’è un terzo, del quale è necessario tener conto per cogliere la
debolezza della spinta innovatrice della resistenza se la si prende come
fenomeno complessivo, unitariamente considerato”. Questo terzo tipo di antifascismo, lo chiama ‘antifascismo del capitale’ o “antifascismo
‘dei fascisti’, cioè l’antifascismo di quelle forze che, responsabili
principali dell’ascesa del fascismo e del suo consolidamento—grande
capitale, monarchia, centri di potere dello Stato, vertice della
chiesa—, l’abbandonano al primo sentore dell’inevitabile disfatta e,
dopo aver compiuto il colpo di Stato, tutto interno alla classe
dominante, del 25 luglio ’43, penetrano nella resistenza non certo per
combattere, salvo pochissime eccezioni personali, ma per condizionarla
con strumenti organizzativi e denaro e alleanze internazionali ed
evitarne appunto possibili esiti di rivoluzione.”3 Lo storico ne deduceva che “un’ipotesi di lavoro seria su Resistenza e storia d’Italia non può evitare di misurarsi su quest’intreccio”4,
per cogliere, proseguiamo noi, il perchè questo terzo tipo di
antifascismo sia stato vincente, prima negli anni 1943-’45 e poi sia
stato vincente anche politicamente ed ideologicamente anche nel Pci.
Sempre verso la metà
degli anni Settanta, Pasolini intuì lucidamente che l’antifascismo, in
senso storico specifico era finito: “Esiste oggi una forma di
antifascismo archeologico che è poi un buon pretesto per procurarsi una
patente di antifascismo reale. Si tratta di un antifascismo facile che
ha per oggetto ed obiettivo un fascismo arcaico che non esiste più e che
non esisterà mai più. […] Ecco perché buona parte
dell’antifascismo di oggi, o almeno di quello che viene chiamato
antifascismo, o è ingenuo e stupido o è pretestuoso e in malafede:
perché dà battaglia o finge di dar battaglia ad un fenomeno morto e
sepolto, archeologico appunto, che non può più far paura a nessuno.
Insomma, un antifascismo di tutto comodo e di tutto riposo.”5
Noi possiamo e dobbiamo andare oltre queste pur notevoli, in primis per
gli anni in cui furono formulate, considerazioni. Quello che Pasolini
intravedeva, era l’avvento di un antifascismo vuoto e retorico, qual è
appunto l’antifascismo del tradimento, in quanto forma ideologica
adeguata—insieme con il più evanescente eurocomunismo—negli anni del
cosiddetto ‘compromesso storico’, in cui in realtà si consumava il
passaggio di campo (geo)politico del Pci. Tale contenitore nella sua
indeterminatezza apparente, era talmente flessibile da essere
successivamente poi, facilmente reimpiegato in accostamento e
sovrapposizione all’antiberlusconismo (Berlusconi=fascismo,
Antiberlusconismo=antifascismo!!!).
Per questo il 25 aprile, da memoria storica della resistenza—nella sua parte prevalente composta dai comunisti—quale ‘fenomeno che ha tentato dei cambiamenti sociali’
è si è trasformata in celebrazione della Liberazione, trasfigurazione
ideologica della occupazione Usa. In questo periodo, il termine
Liberazione assume il senso di azione che libererà l’Italia dalle sue
aziende strategiche nei settori di punta, libererà l’Italia quindi dal
disporre di autentici margini d’azione autonoma e con ciò la libererà
dal grave fardello dell’avere ancora una qualche dignità. A quel punto
la Liberazione sarà completa e la festa ci sarà stata fatta per intero,
saremo completamente sottomessi agli Usa. Nelle nefaste parole del
premier in pectore, Enrico Letta: “bisogna cominciare a mettere nel mirino ulteriori privatizzazioni di pezzi di Eni, Enel, Finmeccanica”6
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