martedì 9 aprile 2013

CORPORATE EUROPE: TROIKA 'CON BENEFITS'







Su segnalazione dell'amico Pierluigi, un articolo da Corporate Europe Observatory che ci  illustra il prossimo pacco per le democrazie incaprettate dell'eurozona. 
 





 Un'offerta che non si può rifiutare 



(traduzione di Alex, l'asso nella manica)
La scorsa settimana, mentre tutti gli occhi erano puntati sulla crisi di Cipro, due comunicati della Commissione europea sono passati inosservati.   Comunicati con cui si intenderebbe estendere  il potere della commissione sulle economie degli stati membri. La proposta si riferisce ad  accordi vincolanti tra la Commissione e gli Stati membri a proposito delle riforme strutturali neoliberiste, che comporterebbero misure quali ulteriori privatizzazioni, riduzione del tenore  di vita e dei salari.


Particolarmente significativa è la proposta sulle riforme strutturali, avanzata in prima battuta l'anno scorso dal presidente del Consiglio europeo Herman Van Rompuy. In sintesi, la Commissione richiederebbe agli Stati membri dell'eurozona di  firmare accordi bilaterali – sotto forma del  cosiddetto "Strumento per la Convergenza e la Competitività" – su una serie di riforme strutturali. Come contropartita lo Stato membro verrebbe ricompensato con incentivi finanziari.

Questo tipo di riforme strutturali sono una parte cruciale del programma neoliberista. Benché la proposta della Commissione non sia ancora chiara in tutti i dettagli, ciò che viene esplicitato chiaramente sono le aree di intervento coinvolte da quelle che,  in modo vago, sono definite come  'riforme strutturali': "in particolare  misure  che riguardino la competitività, che promuovano  la stabilità finanziaria e che migliorino  il funzionamento del lavoro, del mercato dei beni e dei servizi ". (1)

La realtà è che questo tipo di riforme saranno tutt'altro che blande, come si può ben vedere nei paesi europei - dalla Grecia al Portogallo – assoggettati ai diktat della Troika e alla pressione dei mercati finanziari: esse consisteranno  nell'abolizione della contrattazione collettiva, nello smantellamento delle garanzie sul lavoro, nella privatizzazione di servizi pubblici come l'acqua o in ulteriori diminuzioni dei salari del settore pubblico. La logica alla  base delle riforme è semplice: tanto l’indebolimento delle garanzie sul  lavoro quanto  la privatizzazione dei servizi pubblici  aumenteranno la quota parte del profitto privato e indirizzeranno  l'Europa verso una crescita trainata dalle esportazioni. E’ a questa idea  cui si fa riferimento quando si sente la frase  "aumentare la competitività Europea". Ed in effetti, per raggiungere tale obiettivo, le élites economiche e politiche Europee stanno attualmente aggressivamente spingendo in direzione dell'abbassamento dei salari e del tenore  di vita e dell'apertura di mercati esteri per “esportare” se stessi fuori dalla crisi.

Questo non solo è in linea con gli interessi delle Corporate aziendali, ma anche con l'ordine del giorno del governo tedesco. Nel gennaio 2013 Angela Merkel al World Economic Forum ha richiesto un “patto per la competitività”.  Nel discorso di Davos,  la Merkel ha esplicitato chiaramente il perché questo tipo di accordi vincolanti si rendano necessari: "L'esperienza  politica dimostra  che per ottenere delle riforme strutturali è necessario mettere   sotto pressione [il sistema N.d.t.]" (2)   Insomma pare che, secondo i neoliberisti,  solo in tempi di crisi, si manifesterebbe  il bisogno  di ricercare soluzioni al di là del controllo di quella che essi chiamano la quotidianità politica (N.d.t. il celebre  mantra Montiano “Al riparo del processo elettorale”), o di quello  che noi comuni mortali chiamiamo  democrazia parlamentare.  Angela Merkel si riferisce alla  'best practice' (N.d.t. caso esemplare) che ci proviene dalla Germania stessa,  in cui l’alto tasso di disoccupazione sperimentato  nei primi anni del secolo  ha spianato la via  alle riforme Hartz del mercato del lavoro, uno  dei principali motivi per cui i salari tedeschi non sono successivamente aumentati in linea con quelli degli altri paesi europei negli ultimi dieci anni e che sono alla base del successo tedesco di tipo mercantilista (N.d.t. basato sulle esportazioni).
  
La Commissione intende accompagnare   questo  suo tipico approccio – di  forzare la mano   agli Stati membri in merito agli   accordi di  politica economica – con degli incentivi finanziari.  La Commissione propone agli Stati membri degli accordi su una serie di riforme strutturali in cambio  di assistenza finanziaria,  ancora non ben definita,   ed ottenibile  entro un certo lasso di tempo. L'assistenza finanziaria - che in ogni caso è probabile risulterà  piuttosto limitata – potrà  essere sospesa  o addirittura oggetto di richieste di rimborso qualora gli Stati membri non dovessero riuscire a raggiungere gli obiettivi concordati. Questo mix di forzature e aiuti   finanziari - il bastone e la carota - (N.d.t. aridaiie con la carota...) si spiega se interpretata   come una   concessione [N.d.t. di facciata] alle rivendicazioni dei  così detti progressisti ‘Eurofavorevoli’ ed alle loro richieste  di “più Europa” da perseguirsi  tramite l’instaurazione nell’Eurozona di capacità finanziarie comuni.

Non è ancora ben  chiaro quanto “volontari” saranno questi accordi. Al momento gli accordi  sono stati progettati  per quei  paesi attualmente non soggetti all’  'amorevole durezza' della Troika od ai piani di azioni correttive previsti dalla   procedura per gli squilibri macroeconomici. E' molto probabile che la Commissione troverà un modo per forzare la mano o addirittura costringere  gli Stati membri a stipulare gli accordi.  A tal proposito molto istruttivo risulta il seguente eufemismo  (N.d.t. Eufemismo per “intimidazione mafiosa” presumo)  "L’impiego dello strumento di convergenza e competitività dovrebbe venire sollecitato ad uno stato Membro tramite un “invito” ad utilizzarlo". Probabilmente proprio quel tipo di 'invito' che sarebbe molto imprudente rifiutare.

In soldoni,  questi contratti minano ulteriormente il processo decisionale democratico. Sebbene si ipotizzi che  i parlamenti nazionali abbiano voce in capitolo nella fase di discussione degli accordi,  una volta che  lo Stato interessato ha raggiunto l'accordo, una qualsiasi successiva deviazione dal percorso concordato, per esempio, a seguito dell’istaurarsi di una  nuova maggioranza parlamentare, può comportare la perdita o addirittura la richiesta di rimborso  del contributo finanziario.  Inoltre la scelta del  tipo di riforme strutturali su cui i parlamenti possono esprimere volontà di 'accordo' non sarà comunque di loro pertinenza. Dalle raccomandazioni della Commissione specifiche per singolo paese che stanno alla base degli accordi, ci si rende conto della loro matrice neoliberista. La partecipazione dei parlamenti nazionali è richiesta quindi più per  dare una parvenza di legittimità al processo che non per intraprendere un qualsivoglia vero  processo democratico.  

Finora nessuna decisione è stata presa,  ma questi 'accordi' saranno un importante oggetto  di discussione  in occasione del vertice UE di giugno. Dopo il Six Pack e il Fiscal Compact che hanno imposto dei limiti molto stringenti al  processo decisionale democratico a riguardo dei  bilanci nazionali, anche quest’ultimo si configura come un altro tentativo di limitare direttamente e influenzare le politiche economiche a livello europeo e, in particolare, di rafforzare ulteriormente la Commissione europea, già di per sé una  delle istituzioni con la minor legittimazione  democratica esistenti  in Europa.


Note:
(1). Towards a Deep and Genuine Economic and Monetary Union; The introduction of a Convergence and Competitiveness Instrument, Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo e al Consiglio,   20 marzo 2013, COM (2013) 165 definitivo, pag. 5.

(2). Rede von Bundeskanzlerin Merkel beim Jahrestreffen 2013 des World Economic Forum di Davos, 24. Januar 2013.

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