Articolo
de Il Giornale del 2010
L’energia
pulita tanto auspicata dal presidente Obama dopo il disastro ambientale del
Golfo del Messico forse esiste già da un pezzo, ma qualcuno la tiene nascosta
per inconfessabili interessi economici. Ma non solo. Negli anni Settanta,
infatti, un gruppo di scienziati italiani ne avrebbe scoperto il segreto, ma
questa nuova e stupefacente tecnologia, che di fatto cambierebbe l'economia
mondiale archiviando per sempre i rischi del petrolio e del nucleare, sarebbe
stata volutamente occultata nella cassaforte di una misteriosa fondazione
religiosa con sede nel Liechtenstein,
dove
si troverebbe tuttora. Sembra davvero la trama di un giallo internazionale
l'incredibile storia che si nasconde dietro quella che, senza alcun dubbio, si
potrebbe definire la scoperta epocale per eccellenza, e cioè la produzione di
energia pulita senza alcuna emissione di radiazioni dannose.
In
altre parole, la realizzazione di un macchinario in grado di dissolvere la
materia, intendendo con questa definizione qualunque tipo di sostanza fisica,
producendo solo ed esclusivamente calore.
Una
scoperta per caso
Come
ogni giallo che si rispetti, l'intricata vicenda che si nasconde dietro la
genesi di questa scoperta è stata svelata quasi per caso. Lo ha fatto un
imprenditore genovese che una decina d'anni fa si è trovato ad avere rapporti
di affari con la fondazione che nasconde e gestisce il segreto di quello che,
per semplicità, chiameremo «il raggio della morte». E sì, perché la storia che
stiamo per svelare nasce proprio da quello che, durante il fascismo, fu il mito
per eccellenza: l'arma segreta che avrebbe rivoluzionato il corso della seconda
guerra mondiale. Sembrava soltanto una fantasia, ma non lo era. In quegli anni
si diceva che persino Guglielmo Marconi stesse lavorando alla realizzazione del
«raggio della morte». La cosa era solo parzialmente vera. Secondo quanto
Mussolini disse al giornalista Ivanoe Fossati durante una delle sue ultime
interviste, Marconi inventò un apparecchio che emetteva un raggio
elettromagnetico in grado di bloccare qualunque motore dotato di impianto
elettrico. Tale raggio, inoltre, mandava in corto circuito l'impianto stesso,
provocandone l'incendio. Lo scienziato dette una dimostrazione, alla presenza
del duce del fascismo, ad Acilia, sulla strada di Ostia, quando bloccò auto e
camion che transitavano sulla strada. A Orbetello, invece, riuscì a incendiare
due aerei che si trovavano ad oltre due chilometri di distanza. Tuttavia, dice
sempre Mussolini, Marconi si fece prendere dagli scrupoli religiosi. Non voleva
essere ricordato dai posteri come colui che aveva provocato la morte di
migliaia di persone, bensì solo come l'inventore della radio. Per cui si
confidò con Papa Pio XII, il quale gli consigliò di distruggere il progetto
della sua invenzione. Cosa che Marconi si affretto a fare, mandando in bestia
Mussolini e gerarchi. Poi, forse per il troppo stress che aveva accumulato in
quella disputa, nel 1937 improvvisamente venne colpito da un infarto e morì a
soli 63 anni.
La
fine degli anni Trenta fu comunque molto prolifica da un punto di vista
scientifico. Per qualche imperscrutabile gioco del destino, pare che la
fantasia e la creatività degli italiani non fu soltanto all'origine della prima
bomba nucleare realizzata negli Stati Uniti da Enrico Fermi e dai suoi colleghi
di via Panisperna; altri scienziati, continuando gli studi sulla scissione
dell'atomo, trovarono infatti il modo di «produrre ed emettere sino a notevoli
distanze anti-atomi di qualsiasi elemento esistente sul nostro pianeta che,
diretti contro una massa costituita da atomi della stessa natura ma di segno
opposto, la disgregano ionizzandola senza provocare alcuna reazione nucleare,
ma producendo egualmente una enorme quantità di energia pulita».
Tanto
per fare un esempio concreto, ionizzando un grammo di ferro si sviluppa un
calore pari a 24 milioni di KWh, cioè oltre 20 miliardi di calorie, capaci di
evaporare 40 milioni di litri d'acqua. Per ottenere un uguale numero di
calorie, occorrerebbe bruciare 15mila barili di petrolio. Sembra quasi di
leggere un racconto di fantascienza, ma è soltanto la pura e semplice realtà.
Almeno quella che i documenti in possesso dell'imprenditore genovese Enrico M.
Remondini dimostrano.
La
testimonianza
«Tutto
è cominciato - racconta Remondini - dal contatto che nel 1999 ho avuto con il
dottor Renato Leonardi, direttore della Fondazione Internazionale Pace e
Crescita, con sede a Vaduz, capitale del Liechtenstein. Il mio compito era
quello di stipulare contratti per lo smaltimento di rifiuti solidi tramite le
Centrali termoelettriche polivalenti della Fondazione Internazionale Pace e
Crescita. Non mi hanno detto dove queste centrali si trovassero, ma so per
certo che esistono. Altrimenti non avrebbero fatto un contratto con me. In quel
periodo, lavoravo con il mio collega, dottor Claudio Barbarisi. Per ogni
contratto stipulato, la nostra percentuale sarebbe stata del 2 per cento.
Tuttavia, per una clausola imposta dalla Fondazione stessa, il 10 per cento di questa
commissione doveva essere destinata a favore di aiuti umanitari. Considerando
che lo smaltimento di questi rifiuti avveniva in un modo pressoché perfetto,
cioè con la ionizzazione della materia senza produzione di alcuna scoria,
sembrava davvero il modo ottimale per ottenere il risultato voluto. Tuttavia,
improvvisamente, e senza comunicarci il perché, la Fondazione ci fece sapere
che le loro centrali non sarebbero più state operative. E fu inutile chiedere
spiegazioni. Pur avendo un contratto firmato in tasca, non ci fu nulla da fare.
Semplicemente chiusero i contatti».
Remondini
ancora oggi non conosce la ragione dell'improvviso voltafaccia. Ha provato a
telefonare al direttore Leonardi, che tra l'altro vive a Lugano, ma non ha mai
avuto una spiegazione per quello strano comportamento. Inutili anche le
ricerche per vie traverse: l'unica cosa che è riuscito a sapere è che la
Fondazione è stata messa in liquidazione. Per cui è ipotizzabile che i suoi
segreti adesso siano stati trasferiti ad un'altra società di cui, ovviamente,
si ignora persino il nome. Ciò significa che da qualche parte sulla terra oggi
c'è qualcuno che nasconde il segreto più ambito del mondo: la produzione di
energia pulita ad un costo prossimo allo zero.
Nonostante
questo imprevisto risvolto, in mano a Remondini sono rimasti diversi documenti
strettamente riservati della Fondazione Internazionale Pace e Crescita, per cui
alla fine l'imprenditore si è deciso a rendere pubblico ciò che sa su questa
misteriosa istituzione. Per capire i retroscena di questa tanto mirabolante
quanto scientificamente sconosciuta scoperta, occorre fare un salto indietro
nel tempo e cercare di ricostruire, passo dopo passo, la cronologia
dell'invenzione. Ad aiutarci è la relazione tecnico-scientifica che il 25
ottobre 1997 la Fondazione Internazionale Pace e Crescita ha fatto avere
soltanto agli addetti ai lavori. Ogni foglio, infatti, è chiaramente marcato
con la scritta «Riproduzione Vietata». Ma l'enormità di quanto viene rivelato
in quello scritto giustifica ampiamente il non rispetto della riservatezza
richiesta.
Il
«raggio della morte», infatti, pur essendo stato concepito teoricamente negli
anni Trenta, avrebbe trovato la sua base scientifica soltanto tra il 1958 e il
1960. Il condizionale è d'obbligo in quanto riportiamo delle notizie scritte,
ma non confermate dalla scienza ufficiale. Non sappiamo da chi era composto il
gruppo di scienziati che diede vita all'esperimento: i nomi non sono elencati.
Sappiamo invece che vi furono diversi tentativi di realizzare una macchina che
corrispondesse al modello teorico progettato, ma soltanto nel 1973 si arrivò ad
avere una strumentazione in grado di «produrre campi magnetici, gravitazionali
ed elettrici interagenti, in modo da colpire qualsiasi materia, ionizzandola a
distanza ed in quantità predeterminate».
Ok
dal governo Andreotti
Fu
a quel punto che il governo italiano cominciò ad interessarsi ufficialmente a
quegli esperimenti. E infatti l'allora governo Andreotti, prima di passare la
mano a Mariano Rumor nel luglio del '73, incaricò il professor Ezio Clementel,
allora presidente del Comitato per l'energia nucleare (Cnen), di analizzare gli
effetti e la natura di quei campi magnetici a fascio. Clementel, trentino
originario di Fai e titolare della cattedra di Fisica nucleare alla facoltà di
Scienze dell'Università di Bologna, a quel tempo aveva 55 anni ed era uno dei
più noti scienziati del panorama nazionale e internazionale. La sua
responsabilità, in quella circostanza, era grande. Doveva infatti verificare se
quel diabolico raggio avesse realmente la capacità di distruggere la materia
ionizzandola in un'esplosione di calore. Anche perché non ci voleva molto a
capire che, qualora l'esperimento fosse riuscito, si poteva fare a meno
dell'energia nucleare e inaugurare una nuova stagione energetica non soltanto
per l'Italia, ma per il mondo intero. Tanto per fare un esempio, questa
tecnologia avrebbe permesso la realizzazione di nuovi e potentissimi motori a
razzo che avrebbero letteralmente rivoluzionato la corsa allo spazio,
permettendo la costruzione di gigantesche astronavi interplanetarie.
Il
professor Clementel ordinò quindi quattro prove di particolare complessità. La
prima consisteva nel porre una lastra di plexiglass a 20 metri dall'uscita del
fascio di raggi, collocare una lastra di acciaio inox a mezzo metro dietro la
lastra di plexiglass e chiedere di perforare la lastra d'acciaio senza
danneggiare quella di plexiglass. La seconda prova consisteva nel ripetere il
primo esperimento, chiedendo però di perforare la lastra di plexiglass senza
alterare la lastra d'acciaio. Il terzo esame era ancora più difficile:
bisognava porre una serie di lastre d'acciaio a 10, 20 e 40 metri dall'uscita
del fascio di raggi, chiedendo di bucare le lastre a partire dall'ultima, cioè
quella posta a 40 metri. Nella quarta e ultima prova si doveva sistemare una
pesante lastra di alluminio a 50 metri dall'uscita del fascio di raggi,
chiedendo che venisse tagliata parallelamente al lato maggiore.
Ebbene,
tutte e quattro le prove ebbero esito positivo e il professor Clementel,
considerando che la durata dell'impulso dei raggi era minore di 0,1 secondi,
valutò la potenza, ipotizzando la vaporizzazione del metallo, a 40.000 KW e la
densità di potenza pari a 4.000 KW per centimetro quadrato. In realtà, venne
spiegato a sperimentazione compiuta, l'impulso dei raggi aveva avuto la durata
di un nano secondo e poteva ionizzare a distanza «forma e quantità
predeterminate di qualsiasi materia».
Tra
l'altro all'esperimento aveva assistito anche il professor Piero Pasolini,
illustre fisico e amico di un'altra celebrità scientifica qual è il professor
Antonino Zichichi. In una sua relazione, Pasolini parlò di «campi magnetici,
gravitazionali ed elettrici interagenti che sviluppano atomi di antimateria
proiettati e focalizzati in zone di spazio ben determinate anche al di là di
schemi di materiali vari, che essendo fuori fuoco si manifestano perfettamente
trasparenti e del tutto indenni».
In
pratica, ma qui entriamo in una spiegazione scientifica un po' più complessa,
gli scienziati italiani che avevano realizzato quel macchinario, sarebbero
riusciti ad applicare la teoria di Einstein sul campo unificato, e cioè
identificare la matrice profonda ed unica di tutti i campi di interazione, da
quello forte (nucleare) a quello gravitazionale. Altri fisici in tutto il mondo
ci avevano provato, ma senza alcun risultato. Gli italiani, a quanto pare,
c'erano riusciti.
L'insabbiamento
In
un Paese normale (ma tutti sappiamo che il nostro non lo è) una simile scoperta
sarebbe stata subito messa a frutto. Non ci vuole molta fantasia per capire le
implicazioni industriali ed economiche che avrebbe portato. Anche perché,
quella che a prima vista poteva sembrare un'arma di incredibile potenza,
nell'uso civile poteva trasformarsi nel motore termico di una centrale che, a
costi bassissimi, poteva produrre infinite quantità di energia elettrica.
Perché,
dunque, questa scoperta non è stata rivelata e utilizzata? La ragione non viene
spiegata. Tutto quello che sappiamo è che i governi dell'epoca imposero il
segreto sulla sperimentazione e che nessuno, almeno ufficialmente, ne venne a
conoscenza. Del resto nel 1979 il professor Clementel morì prematuramente e si
portò nella tomba il segreto dei suoi esperimenti. Ma anche dietro Clementel si
nasconde una vicenda piuttosto strana e misteriosa. Pare, infatti, che le sue
idee non piacessero ai governanti dell'epoca. Non si sa esattamente quale fosse
la materia del contendere, ma alla luce della straordinaria scoperta che aveva
verificato, è facile immaginarlo. Forse lo scienziato voleva rendere pubblica
la notizia, mentre i politici non ne volevano sapere. Chissà? Ebbene, qualcuno
trovò il sistema per togliersi di torno quello scomodo presidente del Cnen.
Infatti venne accertato che la firma di Clementel appariva su registri di esame
all'Università di Trento, della quale all'epoca era il rettore, in una data in
cui egli era in missione altrove. Sembrava quasi un errore, una svista. Ma gli
costò il carcere, la carriera e infine la salute. Lo scienziato capì
l'antifona, e non disse mai più nulla su quel «raggio della morte» che gli era
costato così tanto caro. A Clementel è dedicato il Centro ricerche energia
dell'Enea a Bologna.
C'è
comunque da dire che già negli anni Ottanta qualcosa venne fuori riguardo un
ipotetico «raggio della morte». Il primo a parlarne fu il giudice Carlo Palermo
che dedicò centinaia di pagine al misterioso congegno, affermando che fu alla
base di un intricato traffico d'armi. La storia coinvolse un ex colonnello del
Sifar e del Sid, Massimo Pugliese, ma anche esponenti del governo americano
(allora presieduto da Gerald Ford), i parlamentari Flaminio Piccoli (Dc) e
Loris Fortuna (Psi), nonché una misteriosa società con sede proprio nel
Liechtenstein, la Traspraesa. La vicenda durò dal 1973 al 1979, quando
improvvisamente calò una cortina di silenzio su tutto quanto.
Erano
comunque anni difficili. L'Italia navigava nel caos. Gli attentati delle
Brigate rosse erano all'ordine del giorno, la società civile soffocava nel
marasma, i servizi segreti di mezzo mondo operavano sul nostro territorio
nazionale come se fosse una loro riserva di caccia. Il 16 marzo 1978 i
brigatisti arrivarono al punto di rapire il presidente del Consiglio, Aldo
Moro, uccidendo i cinque poliziotti della scorta in un indimenticabile
attentato in via Fani, a Roma. E tutti ci ricordiamo come andò a finire. Tre
anni dopo, il 13 maggio 1981, il terrorista turco Mehmet Ali Agca in piazza San
Pietro ferì a colpi di pistola Giovanni Paolo II.
È
in questo contesto, che il «raggio della morte» scomparve dalla scena. Del
resto, ammesso che la scoperta avesse avuto una consistenza reale, chi sarebbe
stato in grado di gestire e controllare gli effetti di una rivoluzione
industriale e finanziaria che di fatto avrebbe cambiato il mondo? Non ci vuole
molto, infatti, ad immaginare quanti interessi quell'invenzione avrebbe
danneggiato se soltanto fosse stata resa pubblica. In pratica, tutte le
multinazionali operanti nel campo del petrolio e dell'energia nucleare
avrebbero dovuto chiudere i battenti o trasformare da un giorno all'altro la
loro produzione. Sarebbe veramente impossibile ipotizzare una cifra per
quantificare il disastro economico che la nuova scoperta italiana avrebbe
portato.
Ma
queste sono solo ipotesi. Ciò che invece risulta riguarda la decisione presa
dagli autori della scoperta. Infatti, dopo anni di traversie e inutili
tentativi per far riconoscere ufficialmente la loro invenzione, probabilmente
temendo per la loro vita e per il futuro della loro strumentazione, questi
scienziati consegnarono il frutto del loro lavoro alla Fondazione
Internazionale Pace e Crescita, che l'11 aprile 1996 venne costituita apposta,
verosimilmente con il diretto appoggio logistico-finanziario del Vaticano, a Vaduz,
ben al di fuori dei confini italiani. In quel momento il capitale sociale era
di appena 30mila franchi svizzeri (circa 20mila Euro). «Sembra anche a noi - si
legge nella relazione introduttiva alle attività della Fondazione - che sia
meglio costruire anziché distruggere, non importa quanto possa essere
difficile, anche se per farlo occorrono molto più coraggio e pazienza, assai
più fantasia e sacrificio».
A
prescindere dal fatto che non si trova traccia ufficiale di questa fantomatica
Fondazione, se non la notizia (in tedesco) che il primo luglio del 2002 è stata
messa in liquidazione, parrebbe che a suo tempo l'organizzazione fosse stata
costituita in primo luogo per evitare che un'invenzione di quella portata fosse
utilizzata solo per fini militari. Del resto anche i missili balistici (con
quello che costano) diventerebbero ben poca cosa se gli eserciti potessero
disporre di un macchinario che, per distruggere un obiettivo strategico,
necessiterebbe soltanto di un sistema di puntamento d'arma.
Secondo
voci non confermate, la decisione degli scienziati italiani sarebbe maturata
dopo una serie di minacce che avevano ricevuto negli ambienti della capitale.
Ad un certo punto si parla pure di un attentato con una bomba, sempre a Roma.
Si dice che, per evitare ulteriori brutte sorprese, quegli scienziati si
appellarono direttamente a Papa Giovanni Paolo II e la macchina che produce il
«raggio della morte» venisse nascosta per qualche tempo in Vaticano. Da qui la
decisione di istituire la fondazione e di far emigrare tutti i protagonisti
della vicenda nel più tranquillo Liechtenstein. In queste circostanze, forse
non fu un caso che proprio il 30 marzo 1979 il Papa ricevette in Vaticano il
Consiglio di presidenza della Società Europea di Fisica, riconoscendo, per la
prima volta nella storia della Chiesa, in Galileo Galilei (1564-1642) lo
scopritore della Logica del Creato. Comunque sia, da quel momento in poi, la parola
d'ordine è stata mantenere il silenzio assoluto.
Le
macchine del futuro
Qualcosa,
però, nel tempo è cambiata. Lo prova il fatto che la Fondazione Internazionale
Pace e Crescita non si sarebbe limitata a proteggere gli scienziati cristiani
in fuga, ma nel periodo tra il 1996 e il 1999 avrebbe proceduto a realizzare
per conto suo diverse complesse apparecchiature che sfruttano il principio del
«raggio della morte». Secondo la loro documentazione, infatti, è stata prodotta
una serie di macchinari della linea Zavbo pronti ad essere adibiti per più
scopi. L'elenco comprende le Srsu/Tep (smaltimento dei rifiuti solidi urbani),
Srlo/Tep (smaltimento dei rifiuti liquidi organici), Srtp/Tep (smaltimento dei
rifiuti tossici), Srrz/Tep (smaltimento delle scorie radioattive), Rcc
(compattazione rocce instabili), Rcz (distruzione rocce pericolose), Rcg (scavo
gallerie nella roccia), Cls (attuazione leghe speciali), Cen (produzione
energia pulita).
A
quest'ultimo riguardo, nella documentazione fornita da Remondini si trovano
anche i piani per costruire centrali termoelettriche per produrre energia
elettrica a bassissimo costo, smaltendo rifiuti. C'è tutto, dalle dimensioni
all'ampiezza del terreno necessario, come si costruisce la torre di
ionizzazione e quante persone devono lavorare (53 unità) nella struttura.
Un'intera centrale si può fare in 18 mesi e potrà smaltire fino a 500 metri
cubi di rifiuti al giorno, producendo energia elettrica con due turbine
Ansaldo.
C'è
anche un quadro economico (in milioni di dollari americani) per calcolare i
costi di costruzione. Nel 1999 si prevedeva che una centrale di questo tipo
sarebbe costata 100milioni di dollari. Una peculiarità di queste centrali è che
il loro aspetto è assolutamente fuorviante. Infatti, sempre guardando i loro
progetti, si nota che all'esterno appaiono soltanto come un paio di basse
palazzine per uffici, circondate da un ampio giardino con alberi e fiori. La
torre di ionizzazione, dove avviene il processo termico, è infatti
completamente interrata per una profondità di 15 metri. In pratica, un pozzo di
spesso cemento armato completamente occultato alla vista. In altre parole,
queste centrali potrebbero essere ovunque e nessuno ne saprebbe niente.
Da
notare che, secondo le ricerche compiute dalla International Company Profile di
Londra, una società del Wilmington Group Pic, leader nel mondo per le
informazioni sul credito e quotata alla Borsa di Londra, la Fondazione
Internazionale Pace e Crescita, fin dal giorno della sua registrazione a Vaduz,
non ha mai compiuto alcun tipo di operazione finanziaria nel Liechtenstein, né
si conosce alcun dettaglio del suo stato patrimoniale o finanziario, in quanto
la legge di quel Paese non prevede che le Fondazioni presentino pubblicamente i
propri bilanci o i nomi dei propri fondatori. Si conosce l'indirizzo della sede
legale, ma si ignora quale sia stato quello della sede operativa e il tipo di
attività che la Fondazione ha svolto al di fuori dei confini del Liechtenstein.
Ovviamente mistero assoluto su quanto sia accaduto dopo il primo luglio del
2002 quando, per chissà quali ragioni, ma tutto lascia supporre che la
sicurezza non sia stata estranea alla decisione, la Fondazione ufficialmente ha
chiuso i battenti.
Ancora
più strabiliante è l'elenco dei clienti, o presunti tali, fornito a Remondini.
In tutto 24 nomi tra i quali spiccano i maggiori gruppi siderurgici europei, le
amministrazioni di due Regioni italiane e persino due governi: uno europeo e
uno africano. Da notare che, in una lettera inviata dalla Fondazione a Remondini,
si parla di proseguire con i contatti all'estero, ma non sul territorio
nazionale «a causa delle problematiche in Italia». Ma di quali «problematiche»
si parla? E, soprattutto, com'è che una scoperta di questo tipo viene
utilizzata quasi sottobanco per realizzare cose egregie (pensiamo soltanto alla
produzione di energia elettrica e allo smaltimento di scorie radioattive),
mentre ufficialmente non se ne sa niente di niente?
Interpellato
sul futuro della scoperta da Remondini, il professor Nereo Bolognani, eminenza
grigia della Fondazione Internazionale Pace e Crescita, ha detto che «verrà
resa nota quando Dio vorrà». Sarà pure, ma di solito non è poi così facile
conoscere in anticipo le decisioni del Padreterno. Neppure con la santa e
illustre mediazione del Vaticano.
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