E voi direte, ma cosa c’è di nuovo sotto il sole? E’
dall’inizio della crisi dell’eurozona che governi e contribuenti pagano per il
salvataggio delle banche e attraverso la manipolazione mediatica la cosa ormai
è diventata una prassi comunemente accettata. La novità però questa volta è che
i tecnocrati di Bruxelles, in vista del prossimo Consiglio europeo di fine
mese, hanno messo nero su bianco su un documento ufficiale
regole, metodi, cifre, vincoli per descrivere come si deve
svolgere l’intero processo, lasciando poco spazio all’improvvisazione e
all’immaginazione.
In pratica i criminali hanno finalmente confessato la loro
colpa, sperando negli effetti terapeutici dell’outing e spiegando chiaramente
agli europei quanto ancora devono pagare (e si tratta di cifre da capogiro) per
tenere in piedi l’idiozia dell’euro. Qualcuno diceva che il miglior modo per
nascondere la verità, è renderla palese e visibile a tutti. Ecco, confidando
nella nostra incapacità di interpretare gli eventi e capire la realtà che ci
gira intorno, pare che i tecnocrati e i politicanti europei abbiano decisamente
intrapreso questa strada.
Ma vediamo come funzionerà l’ennesimo meccanismo infernale
messo a punto da tecnocrati e banchieri per distruggere la democrazia,
l’economia reale, la coesione sociale. Già sapevamo che gli accordi del MES,
Meccanismo Europeo di Stabilità, prevedevano al loro interno, oltre al sostegno
diretto agli stati (che serviva poi a finanziare le banche in difficoltà, vedi
il caso Irlanda, Spagna e Cipro, o a pagare i creditori francesi e tedeschi,
vedi il caso Grecia e Portogallo), anche la possibilità di ricapitalizzare le
banche “zombie” dell’eurozona. Ora conosciamo i termini in cui avverranno
queste operazioni di ricapitalizzazione, e vi anticipo già che saranno ancora dolori,
lacrime e sangue per tutti i contribuenti, che già hanno dovuto una prima volta
pagare e stanno ancora pagando per mettere in piedi la trappola del MES.
Insomma nell’eurozona, fra mille indecisioni e tentennamenti, di una cosa
possiamo sempre essere certi: la socializzazione delle perdite bancarie e la
privatizzazione dei profitti non è più una raccapricciante anomalia dovuta
all’emergenza ma laprassi, la normalità, la forma principale di “buon governo”
dell’economia e della finanza. E siccome, come abbiamo anticipato, i capitali
necessari per salvare l’intero settore bancario fallito raggiungono a spanne
numeri ciclopici, non sappiamo quanto saranno ancora bravi gli europei a
reggere l’urto e capaci di bere l’amaro calice. E’ davvero così difficile capire
che ciò che sta accadendo in Europa corrisponde alla più grande espropriazione
collettiva di ricchezza mai avvenuta nella storia dell’umanità?
Prima però di analizzare nei dettagli il piano micidiale,
vediamo da cosa nasce tutto l’affanno e la fretta con cui i tecnocrati sono
arrivati a concepire il documento e le procedure incriminate. In Europa, per
usare una metafora, c’è un vero e proprio iceberg gigantesco che giace nella
profondità degli abissi, nel più assoluto riserbo e silenzio degli addetti ai
lavori, e solo sporadicamente emerge in superficie: il credito in sofferenza
delle banche (in inglese bad loan o NPL, Non Performing Loan). In pratica una
parte sempre più ingente e in continuo aumento degli attivi di bilancio delle
banche è ormai inesigibile o incagliato, perché il debitore (che sarebbero poi
i privati mutuatari, le aziende, i governi e le stesse banche) è fallito o è
tecnicamente insolvente. Questo processo vizioso, simile ad un enorme cane che
si morde la coda, come sappiamo è stato innescato dalle misure di austerità
imposte a tutta l’Europa per salvare proprio le banche: i governi tassano i
cittadini e le aziende, tagliano le spese pubbliche, rastrellano capitali da
destinare al settore bancario, ma così facendo deprimono l’economia,
costringono al fallimento i debitori privati e le banche alla fine hanno più
danni che benefici dalle politiche rigoriste, perché se da una parte ricevono
capitali freschi dai governi, dall’altra perdono sempre di più la possibilità
di recuperare i crediti pregressi contratti con il settore privato. L’immagine
del colapasta è forse quella più efficace per descrivere il fenomeno: la
liquidità arriva abbondante dall’alto ma se ne va subito attraverso i buchi (di
bilancio) che intanto si aprono in basso. Ma di quali cifre stiamo parlando?
Arrivati a questo punto la faccenda diventa sempre più
nebulosa e confusa, perché grazie alla complicità che esiste fra gli organismi
di vigilanza europei (BCE, banche centrali, EBA) e le stesse banche, è molto
difficile e complicato se non impossibile capire quanto ci sia di vero e di
falso nei bilanci bancari. Secondo alcune stime, il totale del credito in
sofferenza nell’eurozona ammonta a circa €720 miliardi, di cui €500 miliardi
relativi alle banche della periferia. Il calcolo però è molto approssimativo
perché si riferisce soltanto a ciò che viene riportato pubblicamente sui
bilanci bancari e all’andamento aggiornato periodicamente dell’indice NPL delle
banche, che come si può notare dal grafico sotto, soprattutto nelle periferia
più colpita dalle misure di austerità, ha avuto una progressione esponenziale
in questi ultimi anni, con una media di incremento del 2,5% l’anno. A causa del
meccanismo perverso descritto in precedenza, per l’Italia attualmente l’indice
NPL è arrivato a sfiorare punte del 13,4% sul totale degli attivi bancari,
raggiungendo così in questa particolare classifica Spagna e Portogallo, ma
rimanendo sempre dietro alle due prime della classe: Grecia con il 25% e
Irlanda con il 19%.
Tuttavia se dovessimo andare un poco più a fondo nella faccenda,
le cose sarebbero molto più preoccupanti. Drammatiche, direi. Come emerge da un
recente studio di due economisti olandesi, Harry Huizinga e Harald Benink,
pubblicato su Vox.eu, il rapporto fra il valore di mercato dei cespiti bancari
e quello riportato a bilancio ormai raggiunge la soglia dello 0,5 (vedi grafico
sotto): ciò significa che le informazioni fornite dai bilanci bancari sono
troppo ottimistiche e sovrastimate, e un attivo che viene registrato a bilancio
con il valore di 1000 in realtà ne vale 500. In questo modo, continuando a manipolare i bilanci per nascondere la
polvere sotto il tappeto, sarà sempre più complicato tarare un piano di
salvataggio adeguato dell’intero settore bancario europeo, perché non tenendo
conto di questo macroscopico margine di errore avrebbe sempre effetti parziali
e provvisori. Inutile dire che l’economista Harry Huizinga sia un eurista
convinto e abbia svolto mansioni di consulenza per la Commissione europea: lo
studio infatti dal titolo emblematico “L’urgente necessità di ricapitalizzare
le banche europee” doveva servire a creare nell’opinione pubblica il clima
adatto di emergenza e a fare da apripista al documento poi pubblicato dalla
stessa Commissione europea. Per intenderci, Huizinga propone uno schema di salvataggio
bancario sul modello di Cipro, che pesi maggiormente sui bail-in interni
tramite tagli in prima battuta sulle obbligazioni subordinate non garantite, e
poi su quelle senior e i depositi (quindi prelievi forzosi ai risparmiatori e
ai clienti della banca). Anche perché come rivela sfacciatamente lo stesso
economista molti di questi strumenti sono garantiti dallo Stato e quindi in
ultima istanza sarebbero sempre i governi a pagare. E così, conclude il geniale
economista, si eviterebbe di utilizzare il MES: un giro di parole incredibile
per nascondere il fatto che sia con i bail-in interni che con il MES sarebbero
sempre i contribuenti a pagare i costi delle perdite bancarie. Siamo alla beffa
allo stato puro e allo sberleffo in salsa olandese.
Ad ogni modo, tenendo conto dei margini di errore dei valori
contabili, la cifra esorbitante dei piani di salvataggio salirebbe
realisticamente ben oltre i €1000 miliardi, e considerando altri fattori
progressivi legati alla stagnazione economica generale e ai prossimi fallimenti
che si verificheranno tra i debitori privati, le stime più pessimistiche
parlano addirittura di €3000 miliardi, ovvero €3 trilioni. E qui viene il
bello, perché nonostante queste cifre pazzesche nel documento della Commissione
europea il programma di ricapitalizzazione diretta del MES e quindi la
copertura a livello europeo delle singole perdite bancarie è limitata a soli
€50-70 miliardi, con la possibilità di ampliamento soltanto in caso di
emergenza dopo approvazione del consiglio dei governatori. Mentre il resto deve
essere a carico di ogni singolo stato membro. E quindi dei governi, dei
contribuenti, dei risparmiatori e dei clienti della banca. Ma anche le modalità
con cui il MES dovrebbe attivarsi sono piuttosto bizzarre. Vediamone in estrema
sintesi alcune:
· Il MES si attiva quando lo stato membro non
ha la capacità finanziaria di ricapitalizzare da solo le sue banche
· Il MES si attiva anche quando la situazione
fiscale dello stato membro è talmente delicata da compromettere l’accesso ai
mercati dei capitali e da richiedere il sostegno dello stesso MES
· L’assistenza finanziaria del MES è
indispensabile per la salvaguardia della stabilità finanziaria dell’area euro
nel suo complesso o dei suoi stati membri
· La banca non ha i requisiti patrimoniali
richiesti dalla BCE nella sua veste di ente di vigilanza centralizzato ed è
incapace di attrarre capitali tramite il settore privato, gli investitori, gli
azionisti, la conversione del debito (qui dovrebbero stare attenti i titolari
di obbligazioni strutturate convertibili in azioni) e la ristrutturazione del
debito esistente (qui dovrebbero stare attenti tutti gli obbligazionisti e i
depositanti, perché si tratta dello schema bail-incipriota)
· La banca è un istituto di rilevanza sistemica
e un suo eventuale fallimento rappresenterebbe una minaccia per la stabilità
dell’area euro nel suo complesso o dei suoi stati membri (bisognerebbe capire
come si fa a capire quali banche abbiano queste caratteristiche e se nei
precedenti casi di salvataggio bancario con fondi europei, Anglo-Irish Bank in
Irlanda, Bankia in Spagna e Laiki a Cipro, il MES si sarebbe potuto attivare)
· Se la banca non raggiunge la soglia minima
legale del 4,5% del parametro CET1 (Common Equity Tier 1, rapporto fra
patrimonio di vigilanza e attivi ricalcolati per il rischio), come previsto
dagli Accordi di Basilea III, sarà lo stato membro a fornire un’immediata
iniezione di capitali al fine del raggiungimento di questo livello, prima che
si attivi il MES
· Se la banca raggiunge la soglia minima legale
del 4,5%, lo stato membro sarebbe comunque obbligato a fornire un equivalente
importo pari al 10/20% del capitale totale erogato dal MES
· Il consiglio dei governatori del MES può
decidere di sospendere parzialmente o totalmente il suo piano di aiuti in
accordo con lo stato membro qualora quest’ultimo non fosse più in grado di
contribuire al programma o la sua adesione comporta delle implicazioni negative
per l’accesso al mercato dei capitali
· Condizionalità: oltre a poter decidere sui
livelli retributivi e bonus dei managers della banca, il MES potrà avanzare
richieste di politica economica e fiscale ai singoli stati membri (austerità,
insomma, sempre e solo austerità), allegandole al memorandum d’intesa che in
ogni caso deve essere stipulato con il MES per avere diritto agli aiuti
pattuiti
Penso che ce ne sia abbastanza per capire che questa
ennesima trovata diabolica avrà l’effetto di mettere gli stati in ginocchio
qualora dovesse scoppiare in tutta la sua enormità il bubbone del credito in
sofferenza delle banche europee. Malgrado tutti i roboanti proclami, i
tecnocrati non hanno alcuna intenzione di scindere lo stretto legame che
intercorre fra i governi e le banche: i primi si finanziano grazie ai secondi e
i secondi si salvano solo con gli aiuti di stato, causando l'espansione
incontrollata del debito pubblico. Ma quello che deve più spaventare i semplici
risparmiatori e depositanti delle banche è che ormai il ricorso ai prelievi
forzosi è diventato uno strumento istituzionale regolarmente previsto dagli
accordi intergovernativi europei. Ovviamente la giustificazione di facciata di
tutta questa operazione è favorire l’uscita dell'eurozona dal lungo periodo di
stagnazione, del tipo giapponese, grazie al salvataggio degli istituti
finanziari e alla ripresa del credito bancario nei confronti di aziende e
famiglie. E nelle analisi degli economisti e commentatori vicini agli ambienti
comunitari si prende spesso a modello il caso degli Stati Uniti, che sono
riusciti a riemergere dalla recessione economica solo in seguito alle
tempestive ricapitalizzazione di stato delle sue principali banche nazionali.
Ma come al solito, non fatevi fregare dal chiacchiericcio da bar e dalla
propaganda di regime.
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