Google brevetta software per spiare email. Google non ha
paura di fare la spia, anzi. Dopo aver agitato i garanti della Privacy di mezza
Europa, pronti a infliggere al colosso multe su multe (anche se per adesso è
meglio parlare di multicine, visto che nel vecchio continente finora le
sanzioni somministrate ammontano a poche decina di migliaia di dollari,
noccioline per Big G), il motore di ricerca si prepara a spifferare ai capi
ufficio cosa scrivono di sconveniente i loro dipendenti nelle email.
A tale scopo ha appena depositato un brevetto dal titolo
eloquente, «Policy Violation Checker», dove si parla di un software in grado di
spiare email e le tastiere degli utenti al fine di leggere in tempo reale cosa
scrivono, non solo nella loro casella di posta elettronica ma in tutti i
documenti digitali raggiungibili. Per giunta cancellando, se necessario, parole
e frasi considerate a rischio. Altro che grande fratello.
Google presto se ne starà appostato in silenzio sulla spalla
dello scrivente pronto a farsi sentire al primo accenno di pericolo, dicendo
(intimando) al dipendente controllato cosa potrà o non potrà scrivere. E se
l’imprudente di turno non dovesse dare ascolto al gigante di Mountain View
allora il programma non esiterà a denunciare l’imperizia all’ufficio legale,
mettendo l’azienda in condizione d’intervenire.
L’obbiettivo del software in fase di concepimento è di
evitare che il personale, involontariamente o meno, scriva cose in contrasto
con la policy dell’azienda o che possano dare vita a una causa di tipo legale.
Impedendogli nel contempo di rivelare, anche solo per errore, informazioni
considerate sensibili da parte dei vertici, capaci di sottoporre la compagnia a
potenziali danni economici e d’immagine.
Per riuscire nell’intento il nuovo grande fratello 2.0 userà
astuti algoritmi e un database di frasi e termini etichettati come
problematici. Scongiurando in questa maniera il ripetersi di gaffe
elettroniche. Gaffe che in passato hanno coinvolto anche la banca d’affari
Goldman Sachs, giusto per fare un esempio, e che ad oggi fanno parte a pieno
titolo della storia delle email. Ma nel mirino delle aziende non c’è solo la
posta elettronica.
Oggi sono tutti i canali di comunicazione online a
impensierire i vertici delle compagnie, in particolare quelli che attraversano
i social network. Se fino a poco tempo fa Facebook e compagnia bella erano poco
più di un sassolino nella scarpa, degli oggetti che inficiavano la produttività
dei dipendenti spingendoli a perdere tempo tra un post e un cinguettio, oggi
sono visti come delle finestre virtuali aperte su reali precipizi, attraverso
le quali rischiano di prendere il volo segreti e indiscrezioni che, nelle mani
sbagliate, possono fare a pezzi un’azienda.
Tanto che la Finra, l’ente che vigila sul comparto
finanziario Usa, ha chiesto il mese scorso di rimettere mano al Social media
privacy act, legge che tutela il diritto alla riservatezza sui social network,
adottata oltre Atlantico da un numero crescente di Stati, ma che a molte
società, quelle quotate in particolare, sembra proprio non andare giù.
Difficile che la richiesta venga presa in considerazione in sede legislativa.
Un motivo in più per credere che in futuro saranno in molti a chiedere a Google
una soffiata.
Fonte Huffingtonpost.it
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