SULLO STIPENDIO CHE SI E’ AUTOCONFERITO DOPO AVER
STROMBAZZATO CHE NON PRENDEVA UN EURO (DAGO-SCOOP), STELLA SI DOMANDA: “È
GIUSTO CHE CHI GUIDA UN GRANDE MUSEO LO FACCIA GRATIS? DIPENDE. SE FOSSE UNA
PRESIDENZA PURAMENTE ONORIFICA, OVVIAMENTE SÌ. SE SI TRATTA DI UN
PROFESSIONISTA FAMOSO ALLORA NO” -
“QUESTO TIPO DI PROFESSIONISTI, PERÒ, SI VANNO A CERCARE SUL MERCATO.
NON SI SCELGONO, TRA COMPAGNI DI PARTITO O AMABILI FREQUENTATORI DELLE TERRAZZE
ROMANE” - E POI: SE IL MAXXI È “UN ENTE
DI RICERCA”, A CARICO DELLO STATO, PERCHÈ LA BIBLIOTECA È CHIUSA E L'ACCESSO
AGLI ARCHIVI BLOCCATO? RICERCA DE CHE? DELLO STIPENDIO!
Gian Antonio Stella per Corriere della Sera
«Totalmente gratuitamente». Per chiudere le polemiche sul
suo trasloco dal seggio di deputata alla poltrona di presidente del Maxxi,
Giovanna Melandri buttò sul tavolo due avverbi marmorei: ci andava «totalmente
gratuitamente». Mercoledì ha convocato il cda: «Ordine del giorno: compenso del
presidente». Cesello finale a una precisazione: la promessa valeva un anno. E
va a scadere come uno yogurt.
Sgomberiamo subito il terreno: è giusto che chi guida un
grande museo lo faccia gratis? Dipende. Se fosse una presidenza puramente
onorifica, concessa a un miliardario noto per il mecenatismo o a un vecchio
genio della pittura perché ci mettano il nome e vadano a qualche inaugurazione
con cocktail, ovviamente sì. Se si tratta di un professionista famoso e magari
strappato alla concorrenza perché venga a lavorare una dozzina di ore al giorno
con l'obiettivo di far di quel museo una straordinaria vetrina nel pianeta,
allora no, non deve lavorare gratis. Deve essere pagato e pagato bene.
Questo tipo di professionisti, però, proprio come i grandi
chirurghi e i grandi fisici nucleari e i grandi architetti, si vanno a cercare
sul mercato. Possibilmente (e già qui l'Italia è zoppa) il mercato
internazionale. Non si scelgono, quei professionisti, tra amici, colleghi,
compagni di partito o amabili frequentatori delle terrazze romane.
E fu lì che in Parlamento la destra scatenò l'inferno.
Francesco Giro accusò la collega di essersi fatta «riciclare dopo la mancata
ricandidatura per la regola vigente Pd di non presentare chi abbia superato il
limite dei 15 anni in Parlamento». Maurizio Gasparri parlò di «selvaggia
lottizzazione». Fabrizio Cicchitto disse che la nomina era «incredibile».
Stefano de Lillo sbottò: «Ora aspettiamoci Massimo D'Alema per il Teatro alla
Scala».Ed è su questo punto che la nomina di Giovanna Melandri, l'anno scorso,
sollevò un putiferio. Perché la deputata del Pd, che sedeva in Parlamento da 5
legislature, era appunto una parlamentare in carica con un netto profilo politico.
Era indecoroso averlo? Per niente. Un grande direttore potrebbe essere
destrorso o sinistrorso senza essere intaccato nella sua statura. Ma se facesse
il senatore, la sua nomina alla guida di una grande istituzione statale,
bianco, rosso o verde che fosse, sarebbe comunque inopportuna.
Lei, Giovanna Melandri, parlò di «maccartismo».
Ma mentre l'udc Gian Luca Galletti ribadiva che si trattava
di una cosa così inopportuna che «non dovremmo neanche spiegarne le ragioni»,
le perplessità dilagarono a sinistra. E se la dipietrista Giulia Rodano
contestava «l'errore compiuto dal ministro nell'opacità del metodo scelto»,
Matteo Renzi sbuffò: «Facciamoci del male! Com'è possibile dopo il Parlamento
avere subito lo scivolo del Maxxi?».
Nichi Vendola storse la bocca: «La sua nomina è
stilisticamente complicata da digerire». E Stefano Fassina chiuse il cerchio:
«Giovanna è una figura di primissima qualità, ma mi pare inopportuno transitare
dalla poltrona di deputata a quella di un istituzione come il Maxxi, che non è
di responsabilità politica».
Fu in questo contesto che la parlamentare pd spiegò che non
solo si sarebbe dimessa da deputata «anche se la legge non prevede nessuna
incompatibilità» ma sarebbe andata a svolgere quel ruolo gratuitamente, per
amore dell'arte e dell'Italia. E il ministro Lorenzo Ornaghi, che l'aveva
scelta, emise un comunicato: era proprio «il decreto numero 78 del 2010 ad
imporre che presidente e componenti di cda delle fondazioni culturali non
debbano percepire alcun compenso».
Dopo di che lei stessa sostenne di essere stata «scelta da
un tecnico come tecnica» e dettò un comunicato che ironizzava sulle
«illazioni»: al massimo avrebbe preso «30 euro come gettone di presenza per le
sedute del cda». Insomma: «È tutto molto chiaro, la mia indennità al Maxxi è
zero. Mi auguro che la nota del Mibac chiuda definitivamente il caso
misterioso».
Non bastasse, il giorno dopo spiegò a Maria Latella a
SkyTg24 (vedi YouTube) che secondo lei quella legge sulla gratuità era
sbagliata ma pazienza: «So benissimo che la proposta di Ornaghi mi è arrivata
in questo contesto e come ho detto più volte ho accettato "pro bono",
cioè gratuitamente. La mia indennità è: zero».
GIOVANNA MELANDRI GIULIA MINOLI E SALVO NASTASI
Quindi, ricordando di sentirsi «un po' la mamma del Maxxi»,
insistette: «Non c'è il passaggio da una poltrona a una poltrona perché come ho
detto vado a svolgere questo incarico gratuitamente». Anzi, come dicevamo,
«totalmente gratuitamente». Uffa, le polemiche!
Già sei mesi dopo, però, usciva un'altra Ansa. Con una
versione postuma di cui non c'è traccia negli archivi: «Giovanna Melandri
manterrà la promessa di "regalare un anno di lavoro per il rilancio del
Maxxi": a sottolinearlo è la stessa presidente della Fondazione Maxxi, in
una nota in cui spiega che la trasformazione del Museo nazionale delle arti del
XXI secolo in ente di ricerca è stata avviata dal precedente cda». Conseguenza:
lo stipendio ora era possibile.
«Lo prenderò da settembre-ottobre», ha spiegato a Panorama ,
«nell'ottobre 2012, quando ho accettato l'incarico, sapevo che il Maxxi era una
fondazione e che in base alla legge Tremonti avrei prestato la mia opera
gratuitamente. Legge sbagliatissima, me lo si lasci dire, perché la cultura ha
bisogno di grandi manager, e questi vanno pagati. Sapevo anche che era in corso
una procedura, avviata dai precedenti amministratori e conclusa ad aprile, per
il riconoscimento del Maxxi come ente di ricerca. Ho detto all'allora ministro
dei Beni culturali, Lorenzo Ornaghi: "Comunque vada, per un anno regalo il
mio tempo prezioso". Ho sbagliato: dovevo dire che non appena avrei potuto
prendere uno stipendio me lo sarei preso, eccome. Scherzo, ovviamente. Ma sarà
uno stipendio sobrio, pari a quello di altri dirigenti». Di qui l'ordine del
giorno.
Congratulazioni. Sarebbe bello, ora, se la post-deputata e
neo-manager dedicasse un po' del suo tempo prezioso alla lettera pubblica di un
gruppetto di ricercatori che chiede i motivi, se il Maxxi è «un ente di
ricerca», della sorpresa di fine giugno: «la Biblioteca chiusa, l'accesso agli
archivi bloccato e nessuna assicurazione sui tempi e sulle modalità della
riapertura. Per l'accesso alla biblioteca abbiamo pagato una tessera annuale e
proprio nel periodo degli esami e di preparazione delle tesi di laurea e di
dottorato il servizio pubblico è sospeso. Se un Museo pubblico, che vive con
soldi dello Stato, è un ente di ricerca perché sospende proprio queste
attività? Che ente di ricerca è?».
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