Alla fine
dell’Ottocento il carbone, un combustibile fossile solido, era praticamente
l’unico combustibile usato nel mondo; il carbone era noto da secoli e sul suo
uso si era fondata, nel 1700 e nel 1800, la prima rivoluzione industriale.
Il
petrolio era stato scoperto soltanto nella meta’ del 1800 e alla fine del 1800
la separazione dal petrolio greggio di varie frazioni liquide, come benzina e
oli carburanti, era ancora nella sua infanzia. Del resto la richiesta
industriale di carburanti liquidi è rimasta limitata fino a quando, negli
ultimi anni del 1800, e’ stato perfezionato il motore a scoppio — un
dispositivo che non può funzionare con il carbone, ma che deve bruciare
combustibili liquidi. Quando, agli inizi del Novecento, il motore a scoppio è
stato applicato ai veicoli, ad un veicolo “automobile”, la richiesta di
combustibili liquidi e’ rapidamente aumentata, e di conseguenza è aumentata la
richiesta di petrolio greggio e si sono moltiplicati i pozzi e le raffinerie.
L’avvento dell’epoca dell’automobile e del petrolio ha spostato gli equilibri
geopolitici mondiali. I giacimenti di petrolio si trovano in alcune aree —
America settentrionale, centrale e meridionale, Medio Oriente, sud-est
asiatico, Russia — per lo più diverse da quelle in cui si trovano i grandi
giacimenti di carbone.
La
rivoluzione industriale, basata sul carbone, era stata una rivoluzione europea,
che aveva visto come protagonisti i paesi carboniferi: Germania, Francia,
Inghilterra, Russia; con l’era del petrolio il centro dello sviluppo
industriale ed economico passava in America, dove si trovavano i pozzi
petroliferi (allora) ricchissimi. Proprio in un periodo in cui le grandi
potenze europee — Francia, Germania, Inghilterra — si disponevano alla
conquista del mondo, questi stessi paesi si trovavano ad essere privi della
principale materia prima necessaria per i nuovi mezzi di trasporto. Era
abbastanza naturale che proprio in Germania, dove le ambizioni imperialistiche
coincidevano con un formidabile potenziale scientifico e industriale, gli
industriali e gli scienziati si siano chiesti se non fosse possibile
trasformare il carbone solido in combustibili liquidi. In definitiva la
differenza fra i due tipi di combustibili dipende dal contenuto di idrogeno: i
carboni sono costituiti da grandi molecole composte da carbonio combinato con
pochi atomi di idrogeno, circa un atomo di idrogeno ogni due atomi di carbonio,
mentre i prodotti petroliferi sono molecole composte da carbonio combinato con
più idrogeno, circa due atomi di idrogeno ogni atomo di carbonio. Trattando il
carbone con idrogeno (un gas che si ottiene industrialmente da varie fonti, fra
l’altro per scomposizione dell’acqua che contiene due atomi di idrogeno per
ogni atomo di ossigeno) si sarebbero dovuti ottenere dei composti liquidi con
le proprietà dei prodotti petroliferi.
La via
dell’idrogenazione del carbone fu affrontata da Friedrich Bergius (1884-1949)
alla vigilia della prima guerra mondiale nel corso della quale avrebbero fatto
il loro debutto tre nuovi formidabili strumenti militari, tutti funzionanti a
benzina o a derivati del petrolio: le automobili e i camion, i carri armati (o
tanks, come si chiamavano allora), e gli aeroplani. Le guerre nel Novecento
sarebbero state vinte dal petrolio. Bergius aveva lavorato nei laboratori di
due giganti della chimica tedesca, H.W. Nerst (1864-1941) e Fritz Haber
(1868-1934) (tutti e due premi Nobel) che nei primi anni del 1900 avevano
inventato un processo per produrre sinteticamente l’ammoniaca, essenziale per
gli esplosivi e i concimi, dalla combinazione sotto pressione di idrogeno e
azoto. L’invenzione dell’ammoniaca sintetica avrebbe liberato la Germania dalle
importazioni di materie prime essenziali per la guerra; le tecniche impiegate
per produrre l’ammoniaca sintetica avrebbero potuto essere applicate anche per
trasformare il carbone in idrocarburi.
Bergius
cominciò i suoi esperimenti in un proprio laboratorio ad Hannover nel 1910 e
riuscì a ottenere dei prodotti petroliferi sintetici nell’estate del 1913. In pochissimi mesi,
con pochi collaboratori, con limitati investimenti, Bergius riuscì a
identificare quali tipi di carbone consentivano di ottenere maggiori quantità
di benzina e in quali condizioni la produzione era maggiore. Nel 1914 Bergius
cominciò a collaudare il processo su scala produttiva in una piccola raffineria
di petrolio di Essen; il 1 agosto dello stesso anno scoppiava la prima guerra
mondiale. La guerra fu vittoriosa per la Germania fino al mese di settembre
1914 quando la controffensiva francese sulla Marna fermo’ quella che sembrava
una inarrestabile avanzata tedesca su Parigi. Gli alti comandi tedeschi
capirono che la vittoria sarebbe dipesa dalla produzione industriale di
esplosivi, macchine, carburanti e finanziarono senza economia lo sviluppo di
nuove tecniche e processi. Nel 1916 Bergius poté costruire uno stabilimento
vicino a Mannheim, ma l’importanza dell’idrogenazione del carbone passo’ in
seconda linea dopo che la Germania ebbe conquistati i giacimenti petroliferi
romeni. Nel 1918, con la sconfitta della Germania, comincio’ un lungo periodo
di crisi.
L’invenzione
di Bergius comunque sembrava importante anche in un periodo di libero mercato e
Bergius interessò dei finanziatori tedeschi e olandesi che gli consentirono di
costruire e far funzionare, negli anni 1922-1925, una vera fabbrica capace di
produrre benzina sintetica dal carbone. Gli studi sull’idrogenazione del
carbone furono condotti in Inghilterra, negli Stati Uniti, pur ricchi di
petrolio naturale, e anche in Italia, ma Bergius fu il primo a dimostrare che
il processo poteva essere applicato su scala industriale.
Nel 1925
la produzione di benzina sintetica attrasse l’attenzione della grande compagnia
tedesca Badische Anilin und Soda Fabrik (la BASF, che esiste ancora oggi e che
molti lettori conoscono come produttore, fra l’altro, di nastri per
registratori). La Germania in questi anni 20 era colpita da una terribile
inflazione e da crisi politiche; in questi tempi turbolenti i proprietari delle
grandi industrie chimiche tedesche, fra cui la BASF, decisero di fondere le
proprie società e di creare, il 9 dicembre 1925, un gigantesco “cartello”
monopolistico che prese il nome di IG Farben (abbreviazione di raggruppamento
dell’industria dei coloranti e dei prodotti chimici). Veniva così creato il più
grande gruppo industriale del mondo che si sarebbe trovato direttamente
coinvolto anche nell’avvento del nazismo in Germania e nella seconda guerra
mondiale.
Il
direttore generale della IG Farben era Carl Bosch (1874-1940) l’uomo che aveva
messo a punto il processo di sintesi dell’ammoniaca. Bosch prese vigorosamente
in mano lo sviluppo del processo Bergius; nell’aprile 1927 fu avviata la
costruzione a Leuna della prima grande fabbrica di benzina sintetica che nel
1931 era in grado di produrre 300.000 tonnellate di benzina sintetica all’anno.
Nello stesso 1931 a
Bosch e Bergius venne assegnato il premio Nobel per la chimica.
Quasi
negli stessi anni in cui Bosch inventava il sistema di idrogenazione del
carbone, altri due chimici tedeschi, Franz Fischer (1877-1947) e Hans Tropsch
(1889-1935), inventavano un differente processo di produzione della benzina
sintetica. In tale processo il carbone e’ dapprima trattato con vapore acqueo
ad alta temperatura; si ottiene così una miscela di ossido di carbonio e di
idrogeno. Modificando opportunamente le proporzioni di questi due gas e
sottoponendo la nuova miscela ad alta temperatura in presenza di catalizzatori,
si ottengono degli idrocarburi simili a quelli presenti nella benzina.
A partire
dal 1925 il processo Fischer-Tropsch era applicato su scala industriale e si
affiancava a quello Bergius per la produzione di benzina sintetica. Si stavano
pero’ preparando per la Germania anni drammatici, destinati ad avere
conseguenze sull’industria tedesca e anche sulle stesse vicende personali di
questi scienziati.
Quando il
colosso chimico tedesco IG Farben iniziò la produzione di benzina sintetica,
agli inizi degli anni Trenta, dal punto di vista strettamente economico
fabbricava una merce che costava di più della benzina ottenibile in abbondanza
dal poco costoso petrolio americano. L’industria avrebbe potuto sopravvivere
soltanto se protetta con sovvenzioni governative, e queste non tardarono a
venire. Nel 1933 Hitler salì al potere in Germania con un programma che
prevedeva, a breve distanza, una guerra che avrebbe consentito alla Germania di
vendicarsi della sconfitta del 1918. Hitler capì subito che la guerra avrebbe
richiesto un gigantesco impegno industriale anche per rendere autonoma la
Germania dalle importazioni di alcune materie strategiche, fra cui il petrolio
e la gomma. Già
alla fine del 1933 il ministero dell’economia del terzo Reich e le industrie IG
Farben si accordarono per la produzione entro il 1935 di 400.000 tonnellate di
benzina sintetica all’anno fino al 1944; lo stato avrebbe pagato alla IG Farben
la differenza fra il costo di produzione e il prezzo sul mercato libero della
benzina, impegnandosi a comprare la benzina eventualmente invenduta, in modo da
assicurare in ogni modo un profitto agli azionisti della IG Farben.
Nel
settembre 1936 Hitler annuncio’ il suo piano quadriennale alla fine del quale
la Germania avrebbe dovuto essere pronta per la guerra, con una economia resa
indipendente dalle importazioni. In tale piano un ruolo importante aveva la
benzina sintetica fabbricata sia col processo Bergius, basato sulla
idrogenazione del carbone, sia col processo Fischer-Tropsch di sintesi degli
idrocarburi da una miscela di ossido di carbonio e idrogeno ottenuta anch’essa
dal carbone, materia prima abbondante in Germania. Con il finanziamento governativo
furono costruite varie fabbriche di benzina sintetica. In questa operazione fu
coinvolta anche l’Italia dove fu creata l’ANIC, Azienda Nazionale Idrogenazione
Combustibili, per trasformare i carboni e i bitumi in benzina. Furono costruiti
due stabilimenti gemelli, uno a Livorno e uno a Bari. Il programma di
produzione di benzina sintetica, sostenuto dal governo fascista, prevedeva,
dopo la conquista dell’Albania, di sottoporre a idrogenazione i bitumi, delle
specie di petroli di pessima qualità, molto viscosi, esistenti in quel paese. I
processi di idrogenazione a Bari mossero pochi limitati passi (dove saranno gli
archivi e i documenti di quel periodo ?); lo stabilimento fu acquistato, dopo
la Liberazione, dalla Standard Oil, la proprietaria della società petrolifera
Esso, e, col nome Stanic, funzionò come raffineria fino alla fine degli anni
settanta del Novecento, quando fu chiusa. Lo stabilimento Stanic di Livorno ha
funzionato sempre soltanto come raffineria di petrolio.
Ma
torniamo agli anni Trenta del Novecento: la produzione di benzina sintetica,
allo scoppio della seconda guerra mondiale, il 1 settembre 1939, era, in
Germania, già di alcune centinaia di migliaia di tonnellate all’anno. Lo sforzo
continuò negli anni successivi e nel 1944 la produzione di benzina sintetica
con i processi Bergius e Fischer-Tropsch raggiunse i tre milioni di tonnellate
all’anno; di queste, due milioni di tonnellate erano di benzina ad alto numero
di ottano adatta per i motori da aviazione. I nomi di alcune di queste
fabbriche suscitano ricordi terribili; uno degli stabilimenti di benzina
sintetica e di gomma sintetica si trovava ad Auschwitz ed usava, come mano
d’opera, prigionieri antifascisti e ebrei, di fatto schiavi, catturati in tutti
i paesi d’Europa. In questa fabbrica lavoro’, come deportato ebreo, Primo Levi
che era un chimico e che parla a lungo di questa esperienza nei suoi drammatici
libri: “Se questo e’ un uomo” e “Il sistema periodico”. Il carbone, il sangue e
uno sterminato dolore erano le materie prime per questa gigantesca impresa
industriale. Le fabbriche di benzina sintetica furono esposte ai bombardamenti
alleati, quella di Leuna, una delle piu’ grandi, fu distrutta il 12 maggio
1944.
Gli Stati
Uniti sapevano che la Germania aveva fatto nel settore chimico, meccanico,
industriale, grandi progressi, anche se pagati dal dolore di innumerevoli
persone, e organizzarono delle squadre di scienziati e ingegneri che, dopo lo
sbarco alleato in Europa, seguivano — in qualche caso precedevano — l’avanzata
delle truppe in modo da occupare gli stabilimenti e sequestrare, prima che
andassero distrutti, gli archivi, i materiali di laboratorio, le informazioni.
Alla fine della guerra, nel maggio 1945, gli Alleati avevano così a
disposizione un’ampia documentazione.
Con la
conferenza di Potsdam del 16 luglio 1945, gli Alleati imposero ai tedeschi la
cessazione di qualsiasi attività nel campo della produzione di benzina
sintetica dal carbone. Nell’aprile del 1949 gli alleati ordinarono lo
smantellamento degli impianti, ma — in seguito al miglioramento dei rapporti
con la Germania — l’ordine fu revocato nel novembre dello stesso anno; gli
impianti furono così trasformati in raffinerie di petrolio. Gli stabilimenti
che si trovavano nella zona di occupazione sovietica furono utilizzati per
alcuni anni anche dopo la guerra o furono trasferiti nell’URSS.
Sembrava
che la storia della benzina sintetica fosse destinata all’oblio quando si
verifico’, nel 1973, l’aumento del prezzo del petrolio, prima di tre volte e
poi di dieci volte. Forse la trasformazione del carbone in benzina diventava di
nuovo conveniente e il Dipartimento dell’energia degli Stati Uniti incaricò
alcuni scienziati di esplorare fra i rotoli di microfilm, su cui erano stati
copiati i documenti sequestrati nelle fabbriche tedesche durante gli ultimi
mesi della seconda guerra mondiale, per vedere se ci fosse qualche scoperta
dimenticata, qualche invenzione segreta. Di sicuro l’esame degli archivi delle
industrie tedesche di guerra non ha svelato nessuna innovazione rivoluzionaria.
E’ perfettamente possibile anche oggi ottenere, per varie vie, per
idrogenazione diretta o indiretta del carbone, benzina, il cui prezzo pero’ è
piu’ elevato di quello della benzina ottenuta dal petrolio. L’operazione
sarebbe conveniente soltanto in un paese con una economia chiusa, priva di
petrolio e con grandi riserve di carbone; e’ stato il caso del Sud Africa, nel
quale per molti anni hanno funzionato stabilimenti di produzione della benzina
dal carbone col processo Fischer-Tropsch. Gli impianti, denominati Sasol, per
alcuni decenni hanno prodotto dal carbone anche i due terzi del fabbisogno
sudafricano di prodotti petroliferi.
Ma è
proprio davvero chiusa la tecnologia della trasformazione del carbone ? La
combustione diretta del carbone comporta l’inquinamento dell’atmosfera a causa
dei derivati dello zolfo, delle polveri, delle sostanze cancerogene, dei
metalli tossici. Le leggi sempre più rigorose per la lotta all’inquinamento
atmosferico hanno perciò indotto gli scienziati a studiare nuovi metodi di
trattamento del carbone in modo da ottenere combustibili meno inquinanti. A
maggior ragione le norme antinquinamento impediscono di utilizzare i carboni
più ricchi di zolfo e di ceneri che sono molto abbondanti sulla Terra. Anche in
Italia, nel bacino sardo del Sulcis, si trovano carboni di qualità merceologica
scadente, che contengono dal 6 all’8 per cento di zolfo e circa il 20 per cento
di ceneri; tali carboni praticamente non possono essere bruciati direttamente,
benché le loro riserve siano molto grandi: un miliardo di tonnellate,
equivalente, come valore energetico, a 400 milioni di tonnellate di petrolio.
Le tecniche di idrogenazione consentirebbero di trasformare in combustibili
liquidi o gassosi, non inquinanti, questa risorsa carbonifera sarda,
inutilizzata da trenta anni.
Su scala
mondiale le riserve di carbone contengono cinquanta volte più energia di tutte
le riserve di petrolio, gas naturale e uranio messe insieme. Dai tempi in cui
Bergius, Fischer e Tropsch fecero i loro primi esperimenti sono stati fatti
grandi progressi nelle sintesi ad alta pressione, nell’uso dei catalizzatori; è
perciò possibile che i processi di trasformazione dei carboni in altri
combustibili siano destinati ad avere nuova vita, sia per la scarsità del
petrolio, sia per la crescente importanza della difesa dell’ambiente.
Forse si
tratta di rimettersi di buona lena a studiare i caratteri e sperimentare nuovi
processi sul carbone, la più abbondante fonte di energia esistente nel mondo,
dopo l’energia solare.
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