Analisi di Sten Jakobsen messa a disposizione dei clienti Saxo Bank.
Quando Morgan Stanley lo scorso gennaio annunciò di aver tagliato la sua
"esposizione netta" verso l'Italia di 3,4 miliardi di dollari, non
spiegò agli investitori che il paese aveva pagato l'intera cifra alla banca per
uscire da una scommessa sui tassi d'interesse.
L'Italia, il secondo paese più indebitato dell'Unione Europea, ha pagato
l'ammontare per svincolarsi da dei contratti derivati risalenti agli anni 90
che le si erano rivoltati contro, spiega una persona direttamente a conoscenza
del pagamento effettuato dal Tesoro. Per l'Italia era diventato meno costoso
cancellare i contratti piuttosto che rinnovarli, ha spiegato la fonte che ha
chiesto di non essere citata.
Il costo, che equivale a circa la metà dell'ammontare che l'Italia conta di
incassare quest'anno dall'aumento dell'Iva, sottolinea i rischi posti dai
derivati che i paesi utilizzano per abbassare i costi di indebitamento e
mettersi al riparo dagli alti e bassi dei tassi d'interesse e dei mercati
valutari e di come questi contratti possano diventare un costo per i
contribuenti.
In base ai dati raccolti dalla newsletter Bloomberg Brief Risk, l'Italia,
che è già oberata da un debito record di 2.500 miliardi di dollari, ha perso
più di 31 miliardi di dollari agli attuali valori di mercato sui suoi derivati.
"Queste perdite dimostrano la natura speculativa di questi contratti e la
supremazia della finanza sui governi" spiega il senatore e presidente di
Adusbef Elio Lannutti.
Morgan Stanley ha comunicato alla Securities and Exchange Commission
statunitense di aver "effettuato alcune ristrutturazioni sui derivati che
sono state chiuse il 3 gennaio 2012" e di aver ridotto la sua esposizione
verso l'Italia di 3,4 miliardi di dollari.
Mary Claire Delaney, una portavoce per la banca newyorchese, ha preferito
di non aggiungere altri commenti. Analogamente i funzionari del ministero del
Tesoro hanno preferito non rilasciare dichiarazioni sui contratti.
Ma il vero mistero è su chi abbia stipulato il contratto. Se infatti, come
si dice a Londra, tale contratto in realtà nascondeva un vero e proprio
prestito concesso alla Repubblica Italiana poteva un funzionario del Tesoro
sottoscriverlo?
Non stava forse compiendo un atto di esclusiva prerogativa del Parlamento?
E la Corte dei Conti, che dice di aver acquisito le carte, perché a distanza di
un anno ancora tace? E qual è stato il ruolo dell'ex Direttore Generale del
Tesoro e Ministro delle Finanze Domenico Siniscalco (poi passato a Morgan
Stanley) nella vicenda?
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va
La cosa certa è che tre miliardi dei cittadini italiani sono stati pagati
in segreto alla banca dove lavora il figlio di Mario Draghi e nessuno ha
pensato di chiedere se i contratti fossero validi dal punto di vista formale e
sostanziale.
Probabilmente una domanda di questo genere aprirebbe un ginepraio su tutti
i contratti derivati sottoscritti fra il 1994 ed il 1999 dal Tesoro italiano e
metterebbe in luce particolari imbarazzanti per gli europeisti all'amatriciana
di via XX settembre.
Come riporta l'articolo di Repubblica, Morgan Stanley ha registrato
profitti per 600 milioni nel quarto trimestre del 2011 grazie alla risoluzione
dei contratti con l'Italia. Questi guadagni rappresentano un capovolgimento dei
costi sopportati precedentemente per tener conto del rischio che il paese non
pagasse per intero la cifra dovuta, ha spiegato nel corso di un'intervista
effettuata il 19 gennaio il chief financial officer Ruth Porat.
I 600 milioni di utili rappresentano circa la metà di quanto fatturato
dalle attività di trading a reddito fisso nel quarto trimestre, escludendo i
costi legato a una transazione con Mbia Inc. e i guadagni contabili legati
legati agli spread creditizi della banca medesima.
Quando i debiti contratti dall'Italia hanno sfondato la soglia dei mille
miliardi di euro a metà anni 90, il paese ha iniziato a utilizzare gli swap sui
tassi d'interesse e le cosiddette swaptions (opzioni per entrare in uno swap)
per tagliare i costi a servizio del debito, spiega una persona a conoscenza dei
contratti sottoscritti dall'Italia.
Molti bond venduti all'epoca avevano scadenze a 5 o 10 anni e alcuni
pagavano cedole fino al 10% secondo i dati raccolti da Bloomberg. L'Italia ha
usato gli swap per spalmare su un arco temporale di 30 anni e più, ha spiegato
una fonte. Il paese ha anche ridotto i suoi costi per gli interessi emettendo
swaptions, impiegando le entrate incassate dalla vendita dei derivati per
pagare i debiti.
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