mercoledì 3 luglio 2013

L'ITALIA PAGA 3,4 MILIARDI DI DOLLARI ALLA BANCA DOVE LAVORA IL FIGLIO DI MARIO DRAGHI: COMPLIMENTI!.

Analisi di Sten Jakobsen messa a disposizione dei clienti Saxo Bank.
Quando Morgan Stanley lo scorso gennaio annunciò di aver tagliato la sua "esposizione netta" verso l'Italia di 3,4 miliardi di dollari, non spiegò agli investitori che il paese aveva pagato l'intera cifra alla banca per uscire da una scommessa sui tassi d'interesse.


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L'Italia, il secondo paese più indebitato dell'Unione Europea, ha pagato l'ammontare per svincolarsi da dei contratti derivati risalenti agli anni 90 che le si erano rivoltati contro, spiega una persona direttamente a conoscenza del pagamento effettuato dal Tesoro. Per l'Italia era diventato meno costoso cancellare i contratti piuttosto che rinnovarli, ha spiegato la fonte che ha chiesto di non essere citata.

Il costo, che equivale a circa la metà dell'ammontare che l'Italia conta di incassare quest'anno dall'aumento dell'Iva, sottolinea i rischi posti dai derivati che i paesi utilizzano per abbassare i costi di indebitamento e mettersi al riparo dagli alti e bassi dei tassi d'interesse e dei mercati valutari e di come questi contratti possano diventare un costo per i contribuenti.


In base ai dati raccolti dalla newsletter Bloomberg Brief Risk, l'Italia, che è già oberata da un debito record di 2.500 miliardi di dollari, ha perso più di 31 miliardi di dollari agli attuali valori di mercato sui suoi derivati. "Queste perdite dimostrano la natura speculativa di questi contratti e la supremazia della finanza sui governi" spiega il senatore e presidente di Adusbef Elio Lannutti.
Morgan Stanley ha comunicato alla Securities and Exchange Commission statunitense di aver "effettuato alcune ristrutturazioni sui derivati che sono state chiuse il 3 gennaio 2012" e di aver ridotto la sua esposizione verso l'Italia di 3,4 miliardi di dollari.

Mary Claire Delaney, una portavoce per la banca newyorchese, ha preferito di non aggiungere altri commenti. Analogamente i funzionari del ministero del Tesoro hanno preferito non rilasciare dichiarazioni sui contratti.

Ma il vero mistero è su chi abbia stipulato il contratto. Se infatti, come si dice a Londra, tale contratto in realtà nascondeva un vero e proprio prestito concesso alla Repubblica Italiana poteva un funzionario del Tesoro sottoscriverlo?

Non stava forse compiendo un atto di esclusiva prerogativa del Parlamento? E la Corte dei Conti, che dice di aver acquisito le carte, perché a distanza di un anno ancora tace? E qual è stato il ruolo dell'ex Direttore Generale del Tesoro e Ministro delle Finanze Domenico Siniscalco (poi passato a Morgan Stanley) nella vicenda?

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La cosa certa è che tre miliardi dei cittadini italiani sono stati pagati in segreto alla banca dove lavora il figlio di Mario Draghi e nessuno ha pensato di chiedere se i contratti fossero validi dal punto di vista formale e sostanziale.

Probabilmente una domanda di questo genere aprirebbe un ginepraio su tutti i contratti derivati sottoscritti fra il 1994 ed il 1999 dal Tesoro italiano e metterebbe in luce particolari imbarazzanti per gli europeisti all'amatriciana di via XX settembre.

Come riporta l'articolo di Repubblica, Morgan Stanley ha registrato profitti per 600 milioni nel quarto trimestre del 2011 grazie alla risoluzione dei contratti con l'Italia. Questi guadagni rappresentano un capovolgimento dei costi sopportati precedentemente per tener conto del rischio che il paese non pagasse per intero la cifra dovuta, ha spiegato nel corso di un'intervista effettuata il 19 gennaio il chief financial officer Ruth Porat.

I 600 milioni di utili rappresentano circa la metà di quanto fatturato dalle attività di trading a reddito fisso nel quarto trimestre, escludendo i costi legato a una transazione con Mbia Inc. e i guadagni contabili legati legati agli spread creditizi della banca medesima.

Quando i debiti contratti dall'Italia hanno sfondato la soglia dei mille miliardi di euro a metà anni 90, il paese ha iniziato a utilizzare gli swap sui tassi d'interesse e le cosiddette swaptions (opzioni per entrare in uno swap) per tagliare i costi a servizio del debito, spiega una persona a conoscenza dei contratti sottoscritti dall'Italia.


Molti bond venduti all'epoca avevano scadenze a 5 o 10 anni e alcuni pagavano cedole fino al 10% secondo i dati raccolti da Bloomberg. L'Italia ha usato gli swap per spalmare su un arco temporale di 30 anni e più, ha spiegato una fonte. Il paese ha anche ridotto i suoi costi per gli interessi emettendo swaptions, impiegando le entrate incassate dalla vendita dei derivati per pagare i debiti.

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