DI SERGIO DI CORI MODIGLIANI
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La simbolica, e la simbologia, sono elementi fondamentali nella costruzione
dell’immaginario collettivo popolare. Lo sanno bene, da almeno 8000 anni, tutti
coloro che, su questo pianeta, hanno deciso di auto-eleggersi come elite superiore
–chi per un motivo, chi per un altro- schiacciando, opprimendo e sfruttando i
propri simili nel nome di una presupposta superiorità. Bandiere, vessilli,
gonfaloni, feticci, statue, immagini, divise militari, sono diventati, nei
millenni, simboli rappresentativi di una specifica etnia, popolo o gruppo
sociale, il cui compito consiste nel fondare una coesione rassicurante per
gestire l’ansia provocata dalla paura.
Sono gli stessi detentori del potere a produrre la paura, per avere poi, in
seconda battuta, la splendida opportunità di poter offrire la cura per lenirla,
presentando quindi se stessi come gli amorevoli curatori della nostra psiche:
bandiere che unificano, eserciti che marciano indossando quella specifica
uniforme, inni musicali che commuovono e terrorizzano il nemico, spostando
quindi la paura verso l’esterno. Dovunque è sempre stato così.
I simboli sono potentissimi e rappresentano il pericolo più forte per il
potere costituito.
Non è certo un caso che, ogni dittatura, come primo atto formale quando
assume il controllo del potere, lancia una furiosa caccia alle streghe per
eliminare ogni simbolo che possa riferirsi a qualche idea, persona, ente,
volontà, contraria e antagonista ai simboli del nuovo regime. La folla scende
in piazza e brucia i simboli del nemico: che siano dei libri o delle bandiere
poco importa. E’ una lotta tra simboli; perché ogni simbolo si porta appresso
eserciti di idee, di utopie, di persone piene di speranza che si ritrovano, per
l’appunto, simbolicamente affratellate, quindi unite, alleate. Parenti. La
società mercatista nella quale noi viviamo ha inventato un meccanismo quasi
perfetto per fare in modo di potersi permettere il lusso di non dover
costituire delle dittature “ufficiali” per abbattere e cancellare i “simboli
pericolosi” facendolo in maniera legale, amichevole, pacifica: non appena un
simbolo diventa pericoloso lo acquistano, pagandolo qualunque prezzo; fanno lo
stesso con le persone quando diventano “icone” ovverossia “immagini in carne e
ossa a fortissimo impatto simbolico”. Le acquistano pagandole qualunque prezzo
e ne fanno dei divi. Le eliminano soltanto quando comprendono che non sia
possibile gestirle attraverso il denaro. Ma per un mercatista l’idea che
l’espressione “ogni uomo ha il suo prezzo” non sia valida, è inconcepibile,
impensabile. Non è certo un caso che in Usa, nell’autunno del 1980, non appena
il potere oligarchico transnazionale dei colossi finanziari assunse il potere
con l’elezione di Ronald Reagan, compì un atto di devastante manifestazione di
potere forte che pose la parola fine alla rivoluzione socio-psicologica degli
anni’60: l’assassinio di John Lennon, una delle persone più blande, armoniche e
pacifiche del mondo, un cantante in pensione che viveva ritirato dall’attività
pubblica. Ma i risultati delle analisi psico-metriche della Cia parlavano
chiaro: “rappresenta un pericolo reale per la carica simbolica della sua
persona: è imbattibile perché inattaccabile ma soprattutto insostituibile”.
Bastava quindi eliminarlo a pistolettate per dare un segnale forte e chiaro
all’intera civiltà occidentale su quale fosse il nuovo trend.
La forza e la potenza del “simbolo” consiste nel fatto che, tecnicamente,
esso esprime un contenuto di significato ideale (nel caso di John Lennon la
pace, il potere alla cittadinanza, una società basata sull’amore) e ne diventa
però anche il significante. In tutto l’occidente, fino al 1980, entrare nella
stanza di qualcuno e vedere sul muro una immagine di John Lennon voleva dire
incorporare subito l’idea, la nozione, l’informazione, che si aveva a che fare
con una persona pacifica, che aveva l’amore come valore assoluto
dell’esistenza. E non il danaro.
La parola simbolo viene dal greco antico (Σύμβολον) e per quella civiltà
significava “tessera di riconoscimento”; era usanza degli antichi ellenici,
quando ci si accordava su qualcosa (un matrimonio, una società di affari, una
compra-vendita, un prestito) spezzare un vaso di terracotta o un anello:
ciascuno dei due contraenti conservava uno dei due pezzetti come “prova del
patto sancito”. Se le due parti combaciavano alla perfezione, allora
quell’accordo aveva valore legale.
Ancora oggi, il termine “simbolo” contiene lo stesso significato: è un
patto stabilito e la “icona simbolica” ne diventa il veicolo: può essere in
carne e ossa oppure no.
Edward Snowden è in carne e ossa.
E’ in assoluto la cosa peggiore che possa accadere al potere costituito; è
l’unico aspetto dell’esistenza che mette davvero nei guai Mario Draghi e non lo
fa dormire. E lui che è un massone appartenente a una specifica loggia per lo
più composta da dotti esperti in simbologia, lo sa molto bene. In meno di una
settimana, Edward Snowden, da semplice icona (a scelta: eroe dei diritti civili
oppure geniale spione) si è trasformato in simbolo. Diventa perfino complicato,
per non dire ormai impossibile, ucciderlo: potrebbe –da morto- diventare
addirittura più pericoloso. Perché sta facendo proseliti, e come ogni simbolo
che si rispetti: senza dire né fare nulla. Ha fatto scattare un’onda che dilaga,
anomala, forse imprevista dal sistema finanziario (a meno che non lo abbiano
inventato loro, ma io lo escludo) che può portare molto più lontano di quanto
non si possa immaginare.
Tanto è vero che, oggi, si sono verificati degli eventi che lui non ha
prodotto, ma sono il risultato della irruzione del primo simbolo post-Maya
nell’immaginario collettivo del pianeta.
Ci sono voluti sei mesi per produrlo.
E’ stato anche veloce.
L’effetto è stato decuplicato dal fatto che, sullo scenario geo-politico
internazionale, si è appaiato non soltanto un altro simbolo potente, ma
addirittura il padre fondatore dell’era post-Maya, colui che l’ha lanciata
“ufficialmente”, nel corso di una grande festa, il 21 dicembre 2012: il
presidente della Bolivia Evo Morales, un occidentale di etnia india autoctona.
E va a toccare (certamente non a caso) proprio il cuore del problema: la
BCE.
Mentre sto scrivendo questo post (ore 13,45) “l’effetto Snowden” post-Maya
sta producendo una perdita sui mercati europei di circa 180 miliardi di euro su
titoli (soprattutto bancari) in conseguenza del crollo della borsa portoghese e
sta provocando un terremoto finanziario che preannuncia severi dolori per
l’Italia. Poveri lusitani! La loro economia è talmente piccola, la borsa valori
di Lisbona è talmente modesta (vale dieci volte meno di quella di Milano, il
che è tutto dire) da non aver mai influito sul resto d’Europa. Se Lisbona
crolla o vola alle stelle, nella city di Londra non avviene nessuna reazione,
quindi non è mai notizia economica ciò che accade nell’estrema periferia
occidentale del continente europeo. I greci sono ricchi in confronto.
Ma oggi è diverso.
Raccontiamo la storia delle ultime 30 ore fin dall’inizio.
In Usa, l’effetto Snowden sta montando con vigore, seguendo una
prospettiva, una inclinazione e una penetrazione nella collettività e nel mondo
mediatico completamente diversa e insospettabile da quella prevista da chi
gestisce il potere. Invece di dar vita a manifestazioni sui diritti civili,
proteste della serie basta con gli 007, abbasso le spie, non vogliamo essere
controllati, ecc., con l’inevitabile proliferare delle due solite fazioni, i
liberals di sinistra e i conservatori di destra, è montato un inedito
schieramento trasversale post-ideologico che invece di parlare di diritti parla
di “economia e banche”. La gente vuole sapere come, quando, quanto, i grandi
colossi bancari d’occidente siano coinvolti nella crisi economica, vogliono
essere messi al corrente subito; a Wall Street è esplosa una grana
inconcepibile fino a cinque giorni fa e si capisce molto bene che non sanno che
pesci prendere. La grana di Wall Street è relativa alle storie raccontate da ex
agenti della Cia al prof. Davies, che hanno spinto ben 123 società di
intermediazione bancaria, con sede a Wall Street, all’azione immediata; si
tratta di aziende dove circa un migliaio di promotori finanziari free lance
hanno protestato formalmente spingendo le suddette agenzie a presentare
legittima richiesta di interpellanza parlamentare al Congresso Usa, presso la
commissione economia & finanza, per avere ragguagli rispetto alla fornitura
di “materiale informativo prezioso e strategico fornito da militari americani
in carica, a un ristretto pool di personalità europee nel mondo bancario,
finanziario, mediatico e istituzionale, i quali hanno potuto godere di
informazioni di mercato privilegiate violando le regole della democrazia di
mercato garantite dalla costituzione”. A questo va aggiunta la lettera aperta
firmata Prof. Simon Davies, nella quale dichiara “Ecco perché non metterò mai
più piede per il resto della mia vita sul suolo americano” (la lettera reca la
data del 27 giugno 2013 e la trovate sul suo blog personale, ha scelto di renderla
pubblica) rinunciando al suo eminente ruolo di docente nella più prestigiosa
università diplomatica Usa, la Georgetown University di Washington. “Se mi
vogliono, posso fare lezione in streaming da Londra” ha dichiarato Davies.
E già questo provoca fibrillazioni non da poco.
Mentre tutto ciò stava accadendo, il presidente della Bolivia, Evo Morales,
si trovava a Mosca per partecipare a un importante convegno internazionale che
raduna i più importanti produttori di gas al mondo (Italia quindi esclusa); ci
partecipava per la prima volta dato che la Bolivia, fino a sei anni fa
“ufficialmente” non produceva nulla essendo tutte le aziende locali nelle mani
di multinazionali straniere. Ora è diverso. Il gas boliviano è gas boliviano.
Finito il convegno, il presidente è salito sull’aereo della aereonautica
militare boliviana per ritornare a casa, con tappa prevista su suolo europeo
per motivi tecnici. . A Roma gli è stato negato l’atterraggio. A Parigi gli è
stato negato l’atterraggio. A Lisbona gli è stato negato l’atterraggio. Lì è
finita l’Europa: è riuscito ad atterrare a Vienna. Buon per gli austriaci.
Contemporaneamente, in quel di Lusitania, il ministro degli esteri
portoghese si dimetteva.
Con furore.
Si chiama Paulo Portas, ed è una delle figure politiche più importanti del
Portogallo.
La sua dimissione fa seguito a quella del Ministro delle Finanze Victor
Gaspar (uomo di ferro cultore dell’austerità) quattro giorni fa. La nuova
nomina era stata attribuita a Maria Albuquerque, in soldoni una vecchia amicona
della Merkel. Il ministro degli esteri Portas ha protestato dicendo “lei mai,
la Germania sta esagerando” e in Portogallo si è scatenato il putiferio. Lui ha
perso e l’hanno buttato fuori. Ma il signor Paulo Portas non è il solito
politicante, è la figura più famosa del paese ed è attivo da 35 anni. E’ figlio
di Nuno Portas, grande attivista per i diritti civili e dell’economista Helena
Cabral. La sua famiglia appartiene a una lunga tradizione di cattolici sociali,
suddivisi in due tronconi: il vecchio padre Nuno è il più progressista (amico
intimo di Rafael Correa e di Cristina Kirchner, cultore della necessità di
un’opera francescana e nemico giurato dello Ior e dell’Opus dei) la mamma Helena è la più
tradizionalista, e il fratello Miguel è il più estremista, leader del movimento
nazionale per la sovranità nazionale e l’immediata uscita dall’euro. Paulo
Portas è stato anche ministro della difesa, e nel corso del suo mandato era
stato (2008 e 2010) al centro di una oscura vicenda che aveva visto coinvolti
Lisbona e Berlino, passato alla storia mediatica portoghese con il nome di “o
caso de o submarinos”, esploso in tutta la sua virulenza tre anni fa in quel di
Portogallo, da cui era venuto fuori che alcuni accordi economici e finanziari a
Bruxelles avevano imposto al Portogallo l’acquisto di sottomarini tedeschi pena
“l’immediata interruzione del flusso creditizio da parte della troika” con
relative tangenti. La vicenda era esplosa e aveva contaminato il ministro della
difesa greco, il quale aveva confessato a sua volta che identica procedura in
Grecia era stata applicata nel 2010. Alla fine, avevano risolto il tutto,
diciamo così, all’italiana: il ministro greco è finito in galera, identificato
come persona corrotta, calunniatore, mitomane. In Portogallo, hanno imposto a
Paulo Portas di dimettersi. La BCE e il Fondo Monetario Internazionale hanno
inviato un pool di ispettori a Lisbona, ma quando sono arrivati è stato detto
loro “tutta la documentazione si è bruciata accidentalmente e non esiste più”.
E così hanno chiuso il caso, licenziando Portas. Ma lui si è portato via 65.000
file segreti che fanno riferimento a tutte le attività “ufficiali” tra le
istituzioni finanziarie portoghesi, le industrie tedesche e la BCE (la vicenda
è stata resa pubblica nel 2012). Grazie a quei file è successivamente rientrato
nel governo come ministro degli esteri. Ma quattro giorni fa, a Lisbona si è
scatenato il putiferio. Perché Portas ha protestato il ministro delle finanze
costringendolo alle dimissioni. Ha successivamente dichiarato che “non siamo
affatto contenti delle decisioni prese prima in Irlanda al G8 e poi a Bruxelles
e non seguiremo le indicazioni della troika” e infine è stato costretto a
dimettersi su richiesta della BCE. Portas ha fatto sapere che l’ultima riunione
a Bruxelles ha rappresentato una “accelerazione in progressione geometrica
delle politiche di austerità che distruggeranno il Portogallo e altre nazioni
in poche settimane”. Stessa cosa sta accadendo in Grecia dove la troika ha dato
al governo 48 ore di tempo per approvare il piano di licenziamenti imposto nei
confronti di 45.000 dipendenti pubblici, pena la cancellazione di un prestito
di 8 miliardi di euro. A Lisbona
sostengono che a Bruxelles hanno usato il pugno duro nei riguardi di tutti. I
greci lo confermano a livello ufficiale. Soltanto Enrico Letta è contento.
Ma lui, è cosa nota, è pre-Maya.
Portas ha dichiarato questa mattina “Che il Signore possa illuminare la via
di Snowden, e che il Santo Padre, da Roma, ci benedisca tutti; ci sembra che la
linea sia quella”.
Alle ore 13 di oggi, l’ambasciatore boliviano a Roma Antoliano Ayavari ha
tenuto una conferenza stampa nel corso della quale ha protestato ufficialmente
contro il governo italiano, consegnando nelle mani di Emma Bonino l’atto
formale, definendo l’atto del governo “lesivo della dignità di un popolo amico
e un atto che viola il rispetto delle norme internazionali di sicurezza
posizionandosi al di fuori della Legge”. La Bolivia ha annunciato che denuncerà
il governo italiano all’Onu. Denunceranno anche il governo francese e quello
portoghese e chiederà “un dibattito in aula a New York su questa vicenda”.
Penso che in Italia i media cercheranno di parlare poco o nulla della vicenda.
In Sudamerica, Australia, Nuova Zelanda e Usa, invece, la percezione
collettiva è completamente diversa. Si ha la netta sensazione che, poco a poco,
goccia dopo goccia, alcuni “file sensibili” di Snowden stiano già circolando e
i governanti europei si trovano dinanzi alla possibilità di scegliere da che
parte stare e come usare quel materiale. La dichiarazione di Emma Bonino è
talmente deplorevole che non merita commenti.
Nel fornire spiegazioni ufficiali sul perché non ha dato asilo politico a
Snowden ha detto: “La domanda è stata presentata via fax e non di persona
quindi non vale”.
Riassumendo per sintetizzare:
ritorniamo ai tempi della guerra delle due Cristine, ai tempi dello scontro
tra politiche iper-liberiste eurocentriche e quelle keynesiane, con i
sudamericani in prima linea nello spingere verso una lettura nuova e più ampia
del problema: è finita l’epoca dei grandi imperi (militari o finanziari è irrilevante)
e in un pianeta piccolo le nazioni hanno il diritto e il dovere “etico” di
pretendere l’autoregolamentazione, l’affermazione della propria sovranità,
affermando un principio (base portante del post-Maya) di necessità di chiarezza
e trasparenza per abbattere il cancro politico del nostro pianeta: il potere
occulto, i club delle elite, l’esercizio sotterraneo, clandestino e nascosto,
nell’amministrazione dei popoli, delle nazioni, delle vite di ogni singolo
cittadino privato.
Ciò che l’affaire Snowden ci sta insegnando, e non è un caso che vi sia
finito dentro il fondatore-ideatore di quella che io definisco l’era post-Maya,
è proprio questo: le esistenze sono nostre e abbiamo il diritto di
salvaguardarle e di decidere come gestirle; non esistono stati, popoli, etnie,
gruppi, classi, individui, superiori ad altri. Snowden ci aiuta a comprendere
la necessità inderogabile di passare da Cosa Nostra a Casa Nostra, per
abbattere la mafia mentale delle omertà che ogni nazione si porta appresso.
Nel 1961 Leonardo Sciascia scriveva: “Temo che l’Italia stia per diventare
sempre di più Sicilia”.
A me sembra, parafrasando Sciascia, “che l’Europa sta diventando sempre più
Italia”.
Edward Snowden porta la necessità di un vento di chiarezza in Europa. Paulo
Portas, lusitano, porta la furia civile dei cattolici sociali contro
l’esclusione: Papa Francesco comincia a dare i suoi primi frutti reali. Evo
Morales, indio sudamericano, e l’ignobile maniera in cui è stato trattato, ci
ricordano che il Diritto è un elemento imprescindibile della Civiltà. Non solo
in Europa, dovunque.
Il totale e chiassoso silenzio della classe politica dirigente italiana
sull’affaire Snowden la dice tutta sulla pochezza attuale di noi italiani.
Siamo fuori dal dibattito internazionale.
Da noi non danno più, ormai, neppure le notizie su ciò che accade nella
cronaca, pur sapendo che la gente attraverso la rete e il satellite se le può
guardare alla tivvù o sul web.
Così va oggi l’Europa.
In conclusione un commento sull'immagine che vedete in bacheca. E' una sintesi tra un mouse del computer e il
mandala, che contiene lo ying e lo yang.
Mi sembra una buona coniugazione tra l'antica saggezza della civiltà
orientale e l'innovazione tecnologica della società occidentale. L'armonia
verso la quale tendiamo passa attraverso entrambi.
Mi sembra un ottimo simbolo come didascalia dell'era post-Maya. Che ne
dite?
Sergio Di Cori Modigliani
Fonte: http://sergiodicorimodiglianji.blogspot.it
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