Chi governa il potentissimo social network oscura le campagne di supporto al popolo curdo che combatte l’Isis ed è aggredito dal governo turco. I guardiani di Zuckerberg contro una vignetta di ZeroCalcare.
di Giampaolo Martinotti
Facebook contro i curdi. Già nell’agosto 2013 l’associazione ReteKurdistan aveva annunciato che una raccolta di firme era stata recapitata proprio al presidente e amministratore delegato di Facebook Inc. Mark Zuckerberg, per chiedere di interrompere la rimozione dei contenuti curdi dal social network statunitense. In aggiunta una petizione era stata lanciata sul sito www.change.org per difendere il diritto alla libertà di espressione del popolo curdo preso di mira, secondo quanto riportato, per conto del governo turco. Intanto gli attivisti curdi della regione del Rojava, nel Kurdistan occidentale, riferivano della cancellazione di diverse pagine e profili. Ma a distanza di due anni la situazione non sembra proprio essere cambiata di molto.
Nelle settimane scorse la censura aveva attaccato il popolare fumettista Zerocalcare, attivo nella piattaforma solidale Rojava Calling a sostegno della Staffetta romana per Kobane, presente sul territorio curdo con iniziative che vanno dal trasporto di aiuti, economici e sanitari, alla preziosa campagna di controinformazione. Il motivo? La vignetta che aveva disegnato e pubblicato denunciava i cruenti fatti di Cizre, cittadina all’estremo sud-est della Turchia, e per questo veniva oscurata dai guardiani di Facebook senza tante spiegazioni. Forse, il brutale massacro subito a settembre dalla popolazione civile nella cittadina del Kurdistan turco da parte dell’esercito del presidente turco Recep Tayyip Erdoğan avrebbe potuto essere un dettaglio molto scomodo per il governo e per gli alleati occidentali; gli stessi infatti che si servono del regime turco in qualità di strategico avamposto militare e campo di prigionia destinato ai profughi curdo-siriani.
Si apprende invece in questi giorni, dalla redazione di StreetPress, che la scure della censura digitale si è nuovamente abbattura sui sostenitori della causa del popolo curdo. Alcuni giorni dopo la strage di Parigi del 13 novembre, vari collettivi antifascisti francesi, belgi e canadesi avevano dato vita ad una campagna di sostegno per i combattenti rivoluzionari curdi, “Fuck Daesh, support PKK”, firmando l’appello proposto sempre su change.org. In poche parole nella petizione si chiede all’Unione europea di rimuovere il PKK (Partito dei lavoratori del Kurdistan) dalle liste del terrorismo internazionale, riconoscere le zone autonome curde e i diritti del popolo curdo, rompere i rapporti diplomatici con la Turchia, l’Arabia Saudita e con tutti i paesi che “presumibilmente” finanziano Daesh, e di sostenere economicamente, logisticamente e militarmente le forze curde (PKK/Ypg/Ypj) che combattono realmente sul campo le formazioni islamiste.
Negli ultimi mesi Erdoğan ha voluto intensificare i bombardamenti ai danni della resistenza curda e contro le postazioni del PKK, interrompendo con violenza il processo di pace. Questi attacchi hanno come bersaglio dei combattenti, in gran parte musulmani e comunisti, impegnati nell’arginare l’avanzata dello Stato islamico. Questo dovrebbe essere già sufficiente per intuire l’ambiguità di certe dinamiche regionali. Ma dopo l’ultimo “incidente” che ha coinvolto un jet militare russo è assurdo il fatto che l’Europa non voglia rendersi conto dello scellerato e ambiguo atteggiamento del governo turco, che alla lunga potrebbe avere conseguenza davvero disastrose.
Detto questo, lo zelo della censura di Facebook nei confronti delle tematiche a sostegno della lotta del popolo curdo lascia ben poco spazio all’immaginazione: l’imparzialità dei vertici dell’azienda di Palo Alto risulta spesso molto controversa, al pari del giudizio e delle strategie dei governanti europei.
di Giampaolo Martinotti
Facebook contro i curdi. Già nell’agosto 2013 l’associazione ReteKurdistan aveva annunciato che una raccolta di firme era stata recapitata proprio al presidente e amministratore delegato di Facebook Inc. Mark Zuckerberg, per chiedere di interrompere la rimozione dei contenuti curdi dal social network statunitense. In aggiunta una petizione era stata lanciata sul sito www.change.org per difendere il diritto alla libertà di espressione del popolo curdo preso di mira, secondo quanto riportato, per conto del governo turco. Intanto gli attivisti curdi della regione del Rojava, nel Kurdistan occidentale, riferivano della cancellazione di diverse pagine e profili. Ma a distanza di due anni la situazione non sembra proprio essere cambiata di molto.
Nelle settimane scorse la censura aveva attaccato il popolare fumettista Zerocalcare, attivo nella piattaforma solidale Rojava Calling a sostegno della Staffetta romana per Kobane, presente sul territorio curdo con iniziative che vanno dal trasporto di aiuti, economici e sanitari, alla preziosa campagna di controinformazione. Il motivo? La vignetta che aveva disegnato e pubblicato denunciava i cruenti fatti di Cizre, cittadina all’estremo sud-est della Turchia, e per questo veniva oscurata dai guardiani di Facebook senza tante spiegazioni. Forse, il brutale massacro subito a settembre dalla popolazione civile nella cittadina del Kurdistan turco da parte dell’esercito del presidente turco Recep Tayyip Erdoğan avrebbe potuto essere un dettaglio molto scomodo per il governo e per gli alleati occidentali; gli stessi infatti che si servono del regime turco in qualità di strategico avamposto militare e campo di prigionia destinato ai profughi curdo-siriani.
Si apprende invece in questi giorni, dalla redazione di StreetPress, che la scure della censura digitale si è nuovamente abbattura sui sostenitori della causa del popolo curdo. Alcuni giorni dopo la strage di Parigi del 13 novembre, vari collettivi antifascisti francesi, belgi e canadesi avevano dato vita ad una campagna di sostegno per i combattenti rivoluzionari curdi, “Fuck Daesh, support PKK”, firmando l’appello proposto sempre su change.org. In poche parole nella petizione si chiede all’Unione europea di rimuovere il PKK (Partito dei lavoratori del Kurdistan) dalle liste del terrorismo internazionale, riconoscere le zone autonome curde e i diritti del popolo curdo, rompere i rapporti diplomatici con la Turchia, l’Arabia Saudita e con tutti i paesi che “presumibilmente” finanziano Daesh, e di sostenere economicamente, logisticamente e militarmente le forze curde (PKK/Ypg/Ypj) che combattono realmente sul campo le formazioni islamiste.
Negli ultimi mesi Erdoğan ha voluto intensificare i bombardamenti ai danni della resistenza curda e contro le postazioni del PKK, interrompendo con violenza il processo di pace. Questi attacchi hanno come bersaglio dei combattenti, in gran parte musulmani e comunisti, impegnati nell’arginare l’avanzata dello Stato islamico. Questo dovrebbe essere già sufficiente per intuire l’ambiguità di certe dinamiche regionali. Ma dopo l’ultimo “incidente” che ha coinvolto un jet militare russo è assurdo il fatto che l’Europa non voglia rendersi conto dello scellerato e ambiguo atteggiamento del governo turco, che alla lunga potrebbe avere conseguenza davvero disastrose.
Detto questo, lo zelo della censura di Facebook nei confronti delle tematiche a sostegno della lotta del popolo curdo lascia ben poco spazio all’immaginazione: l’imparzialità dei vertici dell’azienda di Palo Alto risulta spesso molto controversa, al pari del giudizio e delle strategie dei governanti europei.
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